CENERENTOLO 2 LA VENDETTA
Non era passato molto tempo dal fattaccio, e non l’avevo
mai più visto. Volevo dimenticare, e non era facile.
Dimenticare il lavoro infame di passacarte che s’era
mangiato vent’anni della mia vita, dimenticare il tiro
mancino che quel povero infelice del Leopardi Giacomo,
sul quale non avremmo scommesso un soldo, aveva giocato
a tutte quante quando un’accidentale o voluta
esposizione alle radiazioni nell’ambulatorio di
radiologia l’aveva trasformato, transitoriamente
purtroppo per lui, nella copia conforme dell’attore
strafigo e lui s’era trombato tutto il personale
femminile dell’ufficio… Ancora adesso, nonostante
siano passati due anni dai fatti
summenzionati,nonostante sia riuscita a farmi trasferire
all’Assessorato ai Beni Culturali, quel ricordo mi
tormenta. Il ricordo di una notte di sesso folle con l’uomo
più bello dell’orbe terracqueo… o il pensiero che
dietro l’angelico sembiante fossero celate le orride
fattezze del cenerentolo dell’ufficio?
Dopo l’accaduto, per ben due mesi ho dovuto curare
i postumi di una feroce gastrite nervosa che, se non
altro, è servita a farmi perdere dieci chili.
E ancora adesso mi viene l’orticaria se solo sento
menzionare “L’infinito” o “A Silvia”.
Figuriamoci se mi sfiorava il semplice pensiero che
avrei potuto incontrarlo nuovamente, un giorno. Invece…
Mi ero presa qualche giorno di ferie per dare una
mano d’aiuto a mia madre che aveva traslocato e stanca
morta mi godevo il meritato riposo stravaccata sul
divano di casa mia, quando squilla il telefono. “Pronto,
Laura?”. Riconosco la voce e reprimo a stento l’impulso
(grazie a Dio sono stonata come una campana e non ho
sufficiente presenza di spirito) di cantargli “Laura
non c’è, è andata via…” Vuole vedermi, mi dice.
La faccenda è seria. Siccome sono cretina, non riesco a
dirgli di no.
L’appuntamento è in un bar del centro. Arrivo
infagottata in un giubbotto comprato dai cinesi e con le
mani infilate dentro un paio di guanti gialli di
identica provenienza. Fa un freddo cane, ma grazie al
cielo non devo aspettare troppo. Resto meravigliata
vedendolo scendere, invece che dalla 127 antidiluviana
color pupù di neonato che gli conoscevo, da un Mercedes
lustro fiammante grande quanto un transatlantico che non
guida lui ma un tizio in divisa che non è né un
poliziotto né un tassista. La ruota della fortuna deve
aver iniziato a girare dalla sua parte, mi dico
vedendolo scendere dal transatlantico. L’andatura
ricorda sempre quella di una gallina zoppa e gli abiti
gli pendono da tutte le parti, ma il cappotto di
cammello che indossa deve essergli costato una fortuna.
Lo avrei riconosciuto da dieci chilometri, eppure è
cambiato. Sul cranio a uovo ora se ne sta appollaiato un
parrucchino color pannocchia,stile Mike Buongiorno prima
maniera e non appena apre bocca noto che, invece dei
ponti sghimbesci ancorati alle gengive da ganci di
metallo, sfoggia un dentierone d’un biancore
abbagliante che mi ricorda un’esposizione di stoviglie
ai grandi magazzini. Mi porge la sua gelida manina e m’invita
ad accomodarmi dentro. Ti offro un caffè, mi dice. Ha
buttato via gli occhiali e, senza lo schermo delle
grosse lenti, i suoi occhietti slavati senza ciglia
sembrano ancora più piccoli.
Mi dice di lui, dopo i soliti convenevoli. Un prozio
ricco e scapolo, di cui a stento conosceva l’esistenza,
morendo gli aveva lasciato in eredità tutte le sue
sostanze e adesso il Leopardi Giacomo non era più l’ultima
ruota del carro alla ASL numero 20, ma un imprenditore
di vaglia. La buonanima mi ha chiesto in cambio solo di
accollarmi un piccolo sacrificio. Quale?Gli chiedo io.
Quello di adottare legalmente, accanto al mio, anche il
suo cognome. Cosa di poco conto, rispondo, prima di
venire a sapere dal meschino che il cognome in questione
era Cantacesso.La derelitta creatura che mi stava
davanti era divenuto anche per l’anagrafe il ragionier
Giacomo Leopardi Cantacesso. Ancora una volta,il destino
si accaniva crudelmente contro di lui.
Mi disse che la Premiata Ditta Cantacesso era il
maggior produttore italiano di carta igienica.Bene,
pensai. Da una ditta che si chiama in quel modo certo
non potrebbero sortir cioccolatini,profumi o dadi da
brodo. Mi disse di essere diventato davvero molto, ma
molto ricco. Se i culi fossero computer, lui sarebbe il
Bill Gates dei deretani. Lo penso ma non glielo dico.
Poveretto, la vita è già stata abbastanza cattiva con
lui.
Finalmente mi chiede il famoso favore, diventando di
fronte a me prima rosso come un pomodoro fradicio,
quindi giallo piscio e infine verde come la muffa del
gorgonzola. Tra un semaforico cambiamento del colorito e
l’altro, mi racconta che è stato invitato ad un galà
di beneficenza in non so quale circolo della Milano che
conta,in pratica il suo debutto nell’alta società, e
che ha bisogno di uno smoking. Non ne ha mai posseduto
uno, e non sa dove andare a parare. Riesco, di fronte a
cotanto caleidoscopio di colori, sputacchi e sfiatate
degne degli arsenali di Saddam Hussein, a pronunciare
una parola soltanto. Armani.Il sarto che veste gli
uomini più affascinanti del mondo,compreso il
Gladiatore dei miei sogni, che quando abbandona il look
agropastorale che gli è consueto indossa con il piglio
di un principe le creazioni del grande Giorgio, vanto
dell’ imprenditorialità italiana.
Mi chiede, quasi con le lacrime agli occhi di
accompagnarlo e io accetto, dopo parecchi tentennamenti.
Milano dista solo una ventina di chilometri dal piccolo
centro dove vivo, ma il nocciolo della questione era un
altro. Con il mio modesto stipendio da parastatale, non
sono certo un'assidua frequentatrice dell'atelier Armani.
Eppoi, miliardi o non miliardi, in tutta franchezza non
era la mia massima aspirazione mostrarmi in giro con il
ragionier Leopardi-Cantacesso, che sarà il re della
carta igienica,però si porta pure appresso gobba,
parrucchino giallo, dentierone e alito di fogna. Ma ho
il cuore tenero e tant'é... Ci sono cascata.
Fresca di parrucchiere e agghindata con il meglio del
mio modesto guardaroba, me ne sto stravaccata sui sedili
odorosi di vero cuoio del Mercedes con autista (un
giovanotto di colore niente male) diretta alla volta
dell'atelier Armani, davanti al quale il Leopardi
Cantacesso mi attende con ansia. E durante il breve
viaggio ho il tempo di farmi frullare nel cervello i
pensieri più assurdi. Per esempio: se è vero che nel
nostro nome sta scritto il destino, beh... Mi viene in
mente padre Cantalamessa, il simpatico fraticello della
tv. Con un nome del genere, non poteva diventare
altro.Un secondo appena, e il pensiero torna a
Cantacesso. Cantacesso. Cantagiro. Ricordi legati a
quando, scolaretta di prima media,palpitavo per Mal e
Renato dei Profeti mi si affastellano nel cervello.
Cantagiro... Cantacesso. Come canta un cesso? Come
Pavarotti? O forse come Bruce Springsteen? O magari come
Mino Reitano? Canta da solo o preferisce cantare in
coro?
Ci siamo. Lo vedo passeggiare nervosamente avanti e
indietro. Scendo dall'auto ed insieme entriamo nel
Palazzo delle Meraviglie. Ci fanno accomodare in un
delizioso salottino e ci dicono di aspettare. Fa niente,
né io né lui abbiamo fretta.
Mi guardo intorno come una deficiente, in vita mia
non ho mai visto tanto lusso e tanto buon gusto. Lì
dentro,io e il mio ex collega stoniamo come due fette di
gorgonzola posate su un cuscino di seta. Intanto,mi
domando come se la caverà il Maestro alle prese con il
Leopardi Cantacesso, che Madre Natura non ha certamente
dotato del fisico di Brad Pitt. I miracoli, purtroppo,
neppure lui è in grado di farli e un miracolo è
l'unica cosa di cui il relitto umano avrebbe bisogno.
Comincio ad annoiarmi e a domandarmi chi me l'abbia
fatto fare,quando la porta del salottino si apre e una
torma di buzzurri viene fatta accomodare proprio di
fronte a noi. Si siedono e ci guardano come se fossero
il Tribunale della Santa Inquisizione. Per reazione
comincio a sudare freddo .Credo di non averli mai visti,
se non di persona neanche sui giornali che sbircio dalla
parrucchiera. Americani, penso subito. Un mascellone
tracagnotto dai capelli a spazzola, una virago che
rassomiglia a Conan il Barbaro, due signori di una certa
età uno dei quali colpisce per l'aria insolitamente
giuliva e gli occhietti lucidi, secondo me s'è
tracannato una cantina, un'esotica matriarca intorno al
quintale,una brutta copia di Camilla Parker Bowles che
è già brutta di suo, una nanerottola con la faccia
seminascosta da una matassa di capelli stopposi color
giallo Carrà... Completa la combriccola un fotografo
con attrezzatura professionale al seguito. Cafoni. Non
faccio neppure in tempo a pensarlo, e i miei occhi
incontrano quelli di un uomo biondo, bello e più
vistoso del campanile di San Marco. Oh Dio. Penso. Oh
Dio... E per poco non rovescio il contenuto del mio
stomaco sul tappeto persiano disteso ai nostri piedi, in
preda a un attacco di gastrite nervosa.
Non sono americani, bensì australiani, e sono venuti
a visionare i bozzetti per i loro abiti nuziali,
bisbiglia qualcuno. Sì, con parentado, gorilla e
fotografo al seguito per immortalare a uso e consumo
della stampa la “felicità”dei piccioncini… Lui mi
guarda, mi sorride e io avrei voglia di spaccare tutto
quanto. Dopo averne combinate di tutti i colori, è
tornato con la fatina bionda che era stata il suo amore
di gioventù, in perfetto stile Harmony. La fatina bella
e buona, che farà di lui un uomo migliore… La guardo,
approfittando di un momento in cui mi sembra persa
appresso ai suoi pensieri. Con perfidia tipicamente
femminile, noto che è alta un metro e niente, che ha la
testa grossa, i capelli stopposi, il collo corto, le
spalle strette, il naso rifatto male e una manaccia da
lavandaia su cui scintilla un brillocco grande quanto il
fanale di un tir. Ha gli occhi gelidi come un caporale
delle SS e, le poche volte che ride (forse teme che le
crolli il lifting) il suo sorriso sa di falso,
artefatto. Non sono mai stata una bellezza, sono pure in
pre menopausa, ma vicino a questa qui mi sento Manuela
Arcuri. E mi domando, con tutte le splendide donne che
gli saranno passate per le mani, come avrà fatto a
lasciarsi irretire da questo pesce freddo, da questo
barbapapà che secondo me è interessato solo ai suoi
soldi? Uno come lui che avrebbe potuto mangiare tutti i
giorni il paté dello chef francese o al limite una
gagliarda pastasciutta, come può accontentarsi di una
minestrina scipita e per giunta riscaldata?
Noto che il divo strafigo e il Leopardi Cantacesso
per un attimo si guardano in cagnesco come Clint
Eastwood e Lee Van Cleef prima del duello finale in
tanti spaghetti western e temo per l’incolumità del
mio accompagnatore, visti i ben noti trascorsi
pugilistici e la stazza da armadio a sei ante dell’altro.
Per fortuna, veniamo subito chiamati e introdotti nel
laboratorio del Maestro che naturalmente non si fa
neanche vedere, tutto preso com’è dagli abiti di
nozze del Principe Buzzurro e di Cenerompola. Veniamo
affidati ad uno staff di suoi collaboratori e, una volta
prese le misure, liquidati senza troppe cerimonie.
Respiro di sollievo l’aria nebbiosa e inquinata di
Milano godendomela manco fosse quella del Gran Paradiso,
salgo col mio derelitto cavaliere sul Mercedes. Non mi
consola il fatto che ci aspetti un sontuoso pranzo in
uno dei migliori ristoranti della città, né il
pensiero che, se l’Uomo dei Sogni si fosse messo con
una che avesse avuto il fisico di Halle Berry, il
cervello di Madame Curie, la bontà di Madre Teresa e la
simpatia della Mondaini probabilmente le avrei trovato
lo stesso un milione di difetti… E per dimenticare di
aver visto quel che non avrei voluto, mi metto a
chiacchierare col Leopardi Cantacesso che, notoriamente,
è sempre stato un tipo di poche parole e ancor meno
argomenti.
La conversazione verte sulla prossima campagna
pubblicitaria per il lancio di una carta igienica a
colori pastello e, novità delle novità, delicatamente
profumata alla vaniglia. Non oso dirgli che non capisco
i motivi per cui si debba profumare come una torta
margherita la carta igienica, che va a finire dove va a
finire. L’entusiasmo del poveretto mi commuove:
neppure quando era innamorato dell’Allegretti era
così felice. Non voglio deluderlo.
Sai, mi fa, vogliamo realizzare qualcosa di
completamente diverso rispetto alla concorrenza. Niente
cuccioli cicciotti e neanche bambini petulanti seduti
sul vaso. Abbiamo pensato a una bella ragazza vestita da
Cappuccetto Rosso che corre, saltella e raccoglie fiori
su un bel prato canticchiando questo motivetto… ”con
la Carta VANIGLIA/se la voglia ti piglia .../dentro il
tuo camerino/sentirai il profumino…” Inorridisco per
l’insieme dei fattori concomitanti, la voce da diluvio
universale del Leopardi Cantacesso, il testo poetico che
starà facendo sicuramente rivoltare nella tomba il suo
illustre omonimo, l’immagine dell’oca che saltella
su e giù per un prato di plastica con un canestro pieno
di rotoli colorati e profumati appeso al braccio…
Resisto eroicamente come Leonida e i suoi 300 alle
Termopili e continuo ad ascoltarlo. Stiamo cercando l’interprete
dello spot. Abbiamo pensato… Alla Falchi? Troppo sexy,
faccio io. Alla Marini? Inflazionata. Alla Lorella
Cuccarini? No, quella è già impegnata a reclamizzare
le cucine. Sto per proporgli la Littizzetto, l’unica
che potrebbe dare credibilità al pateracchio condendolo
con la sua ironia al pepe di Caienna, ma… Ho un’idea
migliore. Ce l’hai presente la tipa che abbiamo
incontrato da Armani? Quella che sta col Gladiatore?
Sì, lei. Faccio io. E’ attrice e cantante, almeno
così asseriscono i giornali. Quella ti canta pure il
jingle e ti fa risparmiare. La contatterò subito,
risponde lui, e io me la rido sotto i baffi,
immaginandola vestita da Cappuccetto Rosso con le
treccine gialle ballonzolanti, il nasone a canappia e la
boccaccia da squalo, correre,saltellare e cantare quell’osceno
jingle… Pregherò tutti i santi del Paradiso che
accetti, questa soddisfazione devo togliermela ad ogni
costo.
Ha accettato. E’stato lo stesso Leopardi-Cantacesso
a comunicarmelo via telefono. Si sta girando lo spot, e
presto invaderemo tutte le televisioni, pubbliche e
private.
Ma la soddisfazione più grossa me la sono levata l’altro
giorno mentre aspettavo il mio turno dall’estetista
sfogliando l’ennesimo Novella 2000 della serie. Il
matrimonio tra il Gladiatore e la dolce Dani,previsto
per aprile, è stato rinviato a data da destinarsi a
causa degli impegni professionali (!?) della nota (?!)
attrice cantante. Ma sembra che alla decisione non sia
estranea l’amicizia che sarebbe nata tra la Spencer e
un affascinante imprenditore italiano...
Me la rido pensando alla piega presa dagli
avvenimenti. L’affascinante imprenditore italiano...
La Dolce Dani... La carta VANIGLIA che la voglia ti
piglia... Me la rido, ripensando agli occhi rapaci di
lei e al pensiero che le sarà frullato in testa quando
ha conosciuto il Cantacesso: le fortune di un attore,
per quanto bello e bravo, possono anche declinare,
mentre finchè gli esseri umani continueranno a venire
al mondo accessoriati di culo, la carta igienica si
venderà come il pane. La buonanima di mia nonna
ripeteva sempre un antico adagio popolare “GUARDALO
BENE GUARDALO TUTTO/SENZA DENARO L’UOM COM’E’
BRUTTO”... Accidenti se aveva ragione!
FINE
Lalla, 2 marzo 2003
(illustrazione: Ely) |