Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  L'Insostenibile pesantezza della Peperonata - per leggere gli antefatti di questa storia, leggi Cenerentolo e Cenerentolo 2 - La Vendetta
autrice: Lalla Usai
e-mail: lallausai@tiscali.it
data di edizione: 28/03/2003
argomento della storia: Giacomo Leopardi Cantacesso... - per leggere le altre storie scritte da lalla, cerca nell'indice delle fanfiction
riassunto breve: Un magico viaggio nel passato...
lettura vietata ai minori di anni: 
note:  

 

L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELLA PEPERONATA

 

PARTE PRIMA: L’ANTEFATTO

Non ne posso più: basta! Ah, è non è del lavoro che mi lamento, anche se mi è toccato andare avanti e indietro tutto il giorno dagli uffici dell’Assessorato al giardinone del megavillone del commendator Brambilla, dal sottosuolo del quale, mentre erano in corso d’opera gli scavi per la costruzione di un gazebo che sembra il Duomo di Milano è emerso un sarcofago di epoca romana con relativo contenuto di mummia e corredo funerario.

Sui piedi mi sono spuntati certi vesciconi che li fanno rassomigliare a due rospi nella stagione degli amori, visto che, come minimo mi è toccato macinarmi una quarantina di chilometri per accompagnare dal sito all’ assessorato e dall’assessorato al sito almeno venti volte un manipolo di archeologi testé spediti dalla Soprintendenza, nessuno dei quali rassomigliava, per mia disgrazia. ad Indiana Jones, anzi, il più carino era il ritratto parlante di Nicola di Bari ai suoi tempi d’oro.

Ma lungi da me lamentarmi di tutto questo!!! Ben peggio erano i tempi infausti trascorsi a timbrare scartoffie nel bunker dell’ufficio accettazione della ASL numero 20, da cui sono fortunosamente riuscita ad evadere grazie a colui che ora è la mia croce, che mi risparmierà nell’altra vita,di questo sono sicura, duecento anni almeno di purgatorio: Giacomo Leopardi Cantacesso, il re della carta igienica.

Ogni volta che squilla il telefono, mi produco in un salto degno di Sergeji Bubka alle Olimpiadi, e senza l’ausilio dell’asta. Mi incute più terrore il cellulare dei due rottweiller addestrati all’attacco che il commendator Brambilla tiene nel giardinone del megavillone temendo di essere sequestrato. Penso che, uno di questi giorni, lo scaraventerò dalla finestra: il cellulare, beninteso, non il Brambilla con i suoi rottweiller. Il Motorola Timeport che mi è costato un occhio e dal quale,annunciata da uno squillo che simula la “Toccata e Fuga,” sortisce sistematicamente la voce chioccia del Leopardi Cantacesso che scarica su di me i suoi problemi e le sue paturnie, neanche mi avesse presa per un’operatrice del Telefono Azzurro.

Non che gli affari vadano male, anzi è vero il contrario: è ormai appurato che nemmeno i calciatori della Nazionale conoscono l’Inno di Mameli, ma il motivetto della carta vaniglia che la voglia ti piglia lo canticchiano anche le suore di clausura del convento di Santa Redegonda.Giusto ieri, sul solito Novella 2000 sfogliato distrattamente mentre aspettavo il mio turno dall’estetista,ho letto che grazie ad esso quella faccia da culo che sembra il Grillo Parlante con la parrucca di maga Magò sta diventando ricca e famosa: più del suo fascinoso e bravissimo consorte, che, roso dall’invidia e dalla rabbia,si sarebbe gettato a corpo morto nel lavoro, starebbe girando tre film contemporaneamente, incidendo quattro album doppi, programmando una tournée in giro per il mondo isole comprese, avrebbe perso una ventina di chili e chiesto il divorzio. E per festeggiare si sarebbe scolato una cantina.

Gli affari dicevo.Meglio di così non potrebbero andargli:la Premiata Ditta Cantacesso ha ottenuto, grazie ai buoni uffici del Cavaliere, l’appalto delle forniture dei gabinetti (non intendo i ministeri, mi pare ovvio) di Palazzo Chigi;ma grazie ad un’oculata politica super partes, anche i leader dell’opposizione, compreso Nanni Moretti con i suoi girotondini, sarebbero diventati suoi affezionatissimi clienti.Immagino rotoli di soffice carta velina azzurra, rossa, candida,tricolore, delicatamente stampata a margheritine, foglioline d’ulivo,falcette, martellini, biancofiori… sono perfino arrivata a fantasticare di una ruvida carta color verde pistacchio per gli uomini del Senatur, che a sentir loro ce l’hanno duro… e che amano sentirsi grattare il sedere da una rude cartaccia degna d’un vero maschio. Insomma, il Leopardi ha capito che gli affari sono affari e per lui non esistono distinzioni tra destra e sinistra. Tantopiù che l’articolo da lui trattato finisce sempre al centro.

Basta. L’altra sera, mentre rinfrancavo i miei poveri piedi gonfi come soufflé in una catinella d’acqua bollente dove avevo sciolto mezzo chilo di sali del dottor Scholls,squilla il maledetto cellulare. So già chi è, perché ormai mi chiama tutti i giorni, più volte al dì come lo sciroppo per la tosse, durante i pasti come l’aspirina, dopo i pasti come il biochetase…Chiama per chiedermi di accompagnarlo al camposanto a deporre un bel mazzo di gladioli sulla tomba del Commendator Zelindo Cantacesso, fondatore della premiata ditta; chiama per informarmi sull’andamento delle borse e sulle prospettive di far conoscere aldilà dell’Atlantico i suoi manufatti… Chiama per parlarmi di un nuovo prodotto in rampa di lancio, una carta igienica di un elegante color terra di Siena bruciata, così lo sporco non si nota… Non chiamerà a ogni piè sospinto e con le scuse più cretine perché magari… si è innamorato di me? Mia madre, che ormai disperava di vedermi accasata gongolerebbe all’idea di un genero miliardario. Io, proprio per niente, meglio il mio stipendietto risicato e gli archeologi che somigliano a Nicola di Bari da accompagnare nel giardinone con sarcofago e rottweiller del megavillone del Commendator Brambilla. Sicchè, quando mi confida di essersi innamorato e mi chiede un consiglio per conquistarla tiro un sospiro di sollievo che si sente da qui a Capo Miseno.

Come si chiama?Faccio io, tanto per dire qualcosa.Yvonne. E’ il suo nome d’arte.Quello vero è Baldoni Cesira. Da Predappio,in provincia di Forlì, terra natale di un’altra celebrità (Mussolini,N.d.A.)... Com’è?Piccola, bionda, un gioiellino, una seconda Marylin… Penso alla diva della carta vaniglia che la voglia ti piglia e lo stomaco mi si annoda. Domani ti accompagno a vederla, vuoi?

Non riesco, secondo il mio solito, a dirgli di no. Pretende che sia io ad accompagnarlo con la mia Seicento, gli lancio un’occhiata e penso che, nonostante tutti i suoi soldi la conquista della Yvonne potrebbe rivelarsi per lui più ardua di quella della parete nord del K2. E’ vestito da cani, ha gli occhi pesti, il parrucchino di traverso e un alito degno di una fogna di Calcutta nella stagione delle piogge.Davvero niente male.

Forse, nonostante le mie 46 primavere sono rimasta un’ingenua. Quando mi ha parlato di nome d’arte, credevo che la Yvonne fosse una cantante, un’attrice, al limite una spogliarellista… Invece è una peripatetica in disarmo che batte dalle parti della Tangenziale Ovest, ha i capelli gialli,le tette flosce, una nutrita clientela di camionisti e pendolari e la stessa faccia da funerale di terza classe della protagonista dello spot. E’ in grazia della somiglianza,suppongo, che il relitto umano ha perso la testa. Poveretto.

Le donne adorano pellicce e gioielli.Gli faccio.Lui ha già un brillocco da cento milioni di vecchie lire in tasca e un visone Fendi appeso nell’armadio.E’ fatta.Penso. Contento lui…

Invece, il giorno dopo mi telefona, puntuale come la giustizia, proprio mentre sto per andare a letto dopo una giornata di duro lavoro. Con una voce da Giudizio Universale, mi dice che non ha accettato i suoi regali: il brillante glielo prenderebbe il pappa e in quanto alle pellicce è contraria: alle ultime elezioni ha votato per Pecoraro Scanio.

Crollo sul letto a corpo morto ma non riesco ad assopirmi perché, non appena chiudo gli occhi, vedo materializzarsi le immagini del Cantacesso, della Yvonne puttana animalista e perfino quella dello scheletro incartapecorito chiuso nel sarcofago del giardinone del megavillone eccetera eccetera: ha una parrucca gialla in testa ed è completamente avvolto nella carta igienica.

Che fare, in simili frangenti? Ma saccheggiare il frigo e la dispensa, mi sembra ovvio! Purtroppo, ho terminato il vasetto della Nutella. Ma in un angolo del frigo trovo una terrina di peperonata avanzata da mezzogiorno.E’ letteralmente ricoperta da uno strato di brina alto come la banchisa polare, ma ho bisogno della mia dose di roba e la tracanno quasi senza masticarla, come una tossica in crisi da astinenza. Poi mi lascio andare a corpo morto sul letto, chiudo gli occhi… Lo stomaco comincia a vorticare come se ci avessero chiuso dentro un branco di criceti con le convulsioni. E la fantasia si scatena.

PARTE SECONDA:LA MACCHINA DEL TEMPO

Queste facce non mi sono affatto nuove, penso faticando a ricacciare indietro il rigurgito acido che mi sale dallo stomaco alla bocca, accompagnato da un coraggioso brandello di peperone che, come Pinocchio, tenta di emergere dalla pancia del pescecane. Dove le avrò viste? La prima appartiene a un passabile barbuto, l’altra a un tipo con gli occhialini e l’aria da bravo ragazzo della porta accanto, sexy come le mutande a costine della nonna. Non impiego molto a realizzare di trovarmi al cospetto di Alberto Angela e Alessandro Cecchi Paone i quali, senza troppi complimenti e senza neppure lasciarmi il tempo di chiedergli un autografo per il mio nipotino, mi spingono dentro un loculo che sembra un ibrido tra la cabina di pilotaggio dello Shuttle e il cesso di un aeroplano. Non oso protestare, anche perché non ne avrei il tempo. Nel giro di un nanosecondo, mi ritrovo infatti proiettata…

… a Roma, Anno Domini 180, regnante il Cesare Lucio Aurelio Antonino Commodo.

Mentre i peperoni testé ingurgitati continuano a turbinarmi nello stomaco,mi sento felice come una pasqua: mi è stata offerta l’opportunità fantastica di un viaggio a ritroso nel tempo!!! Il sogno della mia vita!!! Ho frequentato il liceo classico e sono laureata in lettere antiche, ragion per cui maneggio piuttosto bene il latino: non dovrebbe essere difficile, per me, immergermi in questa realtà, tantopiù che mi ritrovo addosso,chissà come mai, una bella tunica marrone da popolana che gratta quanto la linea discount dei prodotti Cantacesso ma mi rende perfettamente identica a centinaia di altre comuni mortali che vedo girare con la borsa della spesa. Piuttosto, non posso togliere gli occhiali perché senza non vedo un accidente e ho i capelli corti, ragion per cui chi mi incontra sul suo cammino mi guarda con un misto di curiosità e repulsione come se vedesse un incrocio malriuscito tra ET e un botolo rognoso. Si abitueranno, mi dico tra me e me continuando ad andare per la mia strada, vale a dire dove non so.

Mi guardo intorno e realizzo che Roma non è poi così cambiata, in mille ottocento e passa anni. Il traffico e il casino quelli erano e quelli restano anche se dovuti a fattori di natura diversa. Devo essere finita in un quartiere popolare (oddio, speriamo non si tratti della famigerata Suburra); le abitazioni che costeggiano la stradaccia puzzolente sono insulae (casermoni popolari N.d.A.) sbilenche e traballanti i cui muri sono pasticciati con scritte inneggianti alle prodezze di questo e di quel gladiatore e alle virtù riconosciute e apprezzate nel passato, presente e futuro della mentula e del cunnus (gli organi genitali maschile e femminile N.d.A.): il tutto condito da realistici graffiti esplicativi. Il tanfo dei canali di scolo, del piscio, delle carcasse di gallina e di quella salsetta a base di pesce guasto che i Romani mettono dappertutto, il garum, è quasi insopportabile. A momenti mi sento male, ma devo tener duro. Anche perché come farei a spiegare a un medico (pare che in città ce ne siano di bravi) che ho fatto indigestione di peperoni, se tali ortaggi sono giunti a noi dalle Americhe di cui, in codesto luogo, ancora si ignora l’esistenza?

A forza di macinare chilometri, menomale che i sandali che ho ai piedi sono piuttosto comodi, mi ritrovo fuori dal rione malfamato e più tranquilla anch’io. Ci sono dei bei giardini, da queste parti. Edifici solenni e magnifiche statue.Seduta su una panchina, mi godo il panorama e il venticello fresco che spira dal Tevere, finchè il mio occhio miope non scorge in lontananza una figura avvolta in una candida toga che s’avanza con passo sbilenco nella mia direzione. Oh, no. Penso. Oh no! Anche qui! Era lui, Giacomo Leopardi Cantacesso,l’ossessione della mia vita. Era riuscito a scovarmi anche nel passato.

Con la parrucca a ricciolini e gli stinchi rinseccoliti e lividi che spuntano da sotto alla toga fa veramente una gran figura, mi dico tra me e me. E mi domando che ci faccia anche lui qui.La risposta non si lascia attendere molto:affari. E’ riuscito a vendere la sua carta igienica anche nell’antica Roma. Molta glien’hanno comprata i lanisti (gli impresari dei gladiatori N.d.A.), visto che, prima degli scontri, capita spesso che i loro campioni se la facciano sotto dalla paura. Una carta bianca ornata dal laticlavius (il bordo color porpora sulle toghe dei senatoriN.d.A.) va a ruba tra i membri dell’alta società, rotoli di funerea carta nera sono stati acquistati per i bisogni dei suoi militi da Quinto Emilio Leto, Prefetto del Pretorio e lo stesso Cesare sembra interessato ad una morbidissima carta color porpora imperiale fabbricata esclusivamente per lui con le migliori cellulose della Scandinavia… Eppoi, mi confida, frequentando la Corte Imperiale potrò vedere la Principessa… La più bella creatura che ci sia.

Il Cantacesso ha la cotta facile, ma stavolta rischia guai davvero grossi. Probabilmente ignora che, al momento, sul trono posano le muscolose chiappe di Lucio Aurelio Antonino Commodo, un giovinastro forte come un toro,con il cervello bacato, un carattere infernale, un vocabolario degno dei peggiori bassifondi, la passione per il vino ad alta gradazione e i giochi gladiatorii che più sono truculenti e più lui si diverte. E poi dicono che lo studio della storia non serve a niente.Decido di mandarlo affanculo, vorrei morire a centovent’anni nel mio letto, non nel passato rosicchiata dai leoni del Colosseo e mi do da fare per cercare una locanda decente in cui trascorrere la notte. Ho proprio bisogno di una bella dormita.

La mattina successiva, con un po’ meno stanchezza e la mente lucida, mi fermo ad ascoltare le chiacchiere degli avventori della sottostante taverna e faccio una scoperta di rilevante importanza storica. Marco Aurelio, oltre alla bella Lucilla e al pazzo Commodo, avrebbe avuto un’altra figlia, e sarebbe proprio lei la principessa che con uno sguardo ha rubato il cuoricino sensibile del Cantacesso. La fanciulla, a nome Dania Scopilia Sportula,sarebbe nata da una frettolosa copula che l’imperatore filosofo avrebbe consumato con un’indigena in una catapecchia nel cuore della foresta del Norico (l’attuale Austria N.d.A.) per consolarsi delle corna che gli metteva a più riprese la consorte Faustina, la quale, mentre il pover’uomo era impegnato al fronte o chiuso nei suoi appartamenti a meditare, si faceva trombare dai gladiatori.

Non voglio pensare a quel che sta rischiando il povero Cantacesso e decido di uscire a farmi un giretto.Siccome anche nel Ventunesimo Secolo ho sempre avuto la passione per lo shopping e per i centri commerciali, mi dirigo verso i Mercati Traianei.

Strano a dirsi, la mia attenzione non è attirata dalle mercanzie di tutti i generi e neppure dalla folla pittoresca e cosmopolita. E’ attratta dai manifesti affissi ai muri. Alcuni reclamizzano i giochi gladiatorii più spettacolari e truculenti che mai si siano visti. Altri ribadiscono il tassativo divieto di appartenenza, conversione e proselitismo nei confronti dell’abominevole setta cristiana, pena la morte.Rabbrividisco al pensiero che, malgrado poco praticante, ho ricevuto tutti i sacramenti ad eccezione dell’Ordine, del Matrimonio e dell’Estrema Unzione e che ho pure uno zio prete.Ma la mia attenzione è calamitata da un manifesto, uno dei tanti a questo identici che campeggiano ovunque sui muri dove leggo le testuali parole:

LUCIUS SERGIUS CATILINA

PULIVIT CULUM CARTA VELINA

La reclame, nell’Urbe Imperitura, dei prodotti Cantacesso. Quando si dice che la pubblicità è l’anima del commercio.

Borbottando tra me e me, osservo certi gioielli di squisita fattura esposti nella bancarella di un argentiere. Pochi secondi dopo, le mie orecchie captano alcuni brandelli di conversazione e si drizzano come un radar. Un ricco mercante proveniente da Mediolanum (Milano N.d.A.) sarebbe stato arrestato e tradotto, in attesa dell’esecuzione, nelle segrete del Colosseo. Si sarebbe macchiato del delitto di lesa maestà. Impallidisco. Soffoco. Come prevedevo, il Cantacesso si è messo nei guai. Ma proprio con la sorella dell’infernale imperatore Commodo doveva mettersi a fare il cascamorto? Sento un disperato bisogno di fumarmi una sigaretta, ma, visto che il tabacco proviene dalle stesse contrade dei peperoni, dovrei aspettare fino al 1492… E non c’è tempo da perdere.

Voglio vederci chiaro in merito alla faccenda.Fermo un distinto signore dall’espressione gentile e gli chiedo di delucidarmi. Quello mi guarda perplesso gli occhiali e la zazzeretta poi mi dice sibillino che un prodotto dal mercante venduto alla Sacra Maestà Imperiale non si sarebbe rivelato all’altezza. Quindi Dania Scopilia Sportula o come accidente si chiama non c’entrerebbe niente… Riesco a captare qualche brandello di conversazione che si scambiano tra di loro due facchini senza troppi peli sulla lingua e la verità mi è chiara. Cantacesso ha usato come slogan pubblicitario per la sua carta igienica la prima parte di una filastrocca che da tempo immemorabile circola in tutti i licei italiani. Purtroppo per lui, la seconda

DITUS CARTAM LACERAVIT

ET IN CULUM PENETRAVIT

si è avverata, la carta non si è dimostrata abbastanza resistente, tra le rozze manacce abituale a maneggiare il gladio di Lucio Aurelio Antonino Commodo e il dito, senza incontrare ostacoli, è penetrato dello sfintere anale della sua sacra persona… Il povero Giacomo Leopardi Cantacesso pagherà nel passato la sua mancanza di prudenza e già immagino un leone dalla folta criniera inghiottirlo come una mentina al cospetto di cinquantamila energumeni urlanti.

Devo fare qualcosa. Già, ma CHE COSA? Cerco di captare altre chiacchiere, sperando frattanto in un’illuminazione divina, e vengo a scoprire che l’arresto del Cantacesso non sarebbe stato impresa di poco conto. Proculo e Corvino, i due risoluti pretoriani spediti dal prefetto Quinto ad eseguire l’operazione, sarebbero tornati alla base pallidi come stracci e con i capelli completamente bianchi a causa di quel che avevano visto. Decisi, secondo il loro solito, a dare una bella lezione alla vittima strattonandogli i capelli e facendogli sputare qualche dente, si erano ritrovati in mano il parrucchino del Cantacesso e, quel che è peggio, l’avevano visto raccattare da terra i denti e rimetterseli in bocca prima di seguirli docilmente. Quella era sicuramente opera di magia, dietro le spoglie dell’innocuo mercante si celava in realtà un pericoloso maleficus (stregone N.d.A.) che con le sue nefaste cartacce nettaculo chissà quali sortilegi era riuscito ad operare.

Non ci fosse da piangere, mi metterei a ridere: al poveretto era caduta la dentiera, non i denti. Ma poiché nel 180 dopo Cristo le dentiere ancora non erano state inventate, i pretoriani hanno fatto due più due uguale quattro… In ogni caso, sembra che l’Imperatore intenda scaraventare il pericoloso negromante nell’arena per farlo combattere contro il più forte gladiatore dell’Impero: i muscoli e la spada di Massimo Decimo Meridio, l’Ispanico, contro i sortilegi di Giacomo Leopardi Cantacesso che, come l’Idra di Lerna riusciva a farsi ricrescere le teste tagliate, riesce a farsi rispuntare i denti caduti.

Seguendo più l’istinto che non la ragione, mi incammino verso il Colosseo.In altre circostanze, mi sarei fermata ad ammirare la costruzione in tutto il suo splendore,ma al momento non ho un minuto da perdere. Mi introduco in una sorta di cunicolo che non oso immaginare dove porti e, spinta dalla forza della disperazione, mi incammino in un luogo umido e tetro, rischiarato dal lume delle torce infisse nelle pareti di pietra, puzzolente di muffa, sudore, piedi sporchi, escrementi umani e animali. E sangue. Di tanto in tanto il suono di un ruggito, di un barrito, di un ululato o di un muggito mi fa accapponare la pelle.Mi pento di essere entrata, ma nessuno mi ferma e continuo ad andare avanti, per forza di inerzia. Finchè, in fondo al cunicolo, non noto una cella aperta. Entro.

Gli occhi mi schizzano fuori dalle orbite al cospetto di cotanto spettacolo: forse credevo di trovare il Cantacesso, invece, incatenato tra due colonne, e illuminato dalla luce delle torce che affumicano l’ambiente ma rendono possibile la visione in tutto il suo splendore, mi si materializza dinanzi l’uomo più bello che abbia mai visto: una montagna di muscoli sudaticci, ammaccati e contusi, coperti solo da un subiaculum ,che poi sarebbe l’antenato della mutanda, che lascia pochissimo spazio all’immaginazione… E’ lui, penso. L’Ispanico, il boia designato del povero Cantacesso.

-Ave, o Massimo Decimo Meridio…

Si china verso di me e mi sorride.E’ molto più alto della sottoscritta e devo tirare su la testa per guardarlo. Ha i lineamenti delicati,il profilo perfetto e dei bellissimi occhi blu. L’espressione è malinconica, non certo dura, feroce e un po’ ebete come ci si aspetterebbe in un gladiatore. Vorrei parlargli perché, anche se non lo conosco, mi sembra che quest’uomo meriti fiducia. Ma… Ma vorrei vedere un po’ voi, se vi trovaste all’improvviso davanti, appeso come una provola, vestito quasi di niente e completamente alla vostra mercè, l’uomo più bello dell’orbe terracqueo.

Allungo un braccio e, con sforzo sovrumano, gli accarezzo i capelli: sono bruni, molto corti e un po’ ispidi.La sua reazione non è negativa, anzi, mi sorride piegando leggermente la testa in direzione della spalla.Decido di non fermarmi.Le mie dita gli percorrono leggere la fronte, il sopracciglio, la guancia barbuta… Scendono lungo il collo,ma quanto è bello il collo dell’Ispanico,risalgono sulla nuca, riscendono ancora, gli percorrono il braccio… La pelle freme, il respiro si fa rauco. Acchiappo uno sgabello e glielo metto di fronte. Ci salgo sopra per portarmi grossomodo alla sua altezza e gli stampo sulle labbra un bacio a ventosa al quale risponde, con molta passione e molta dolcezza. La faccenda sta prendendo una piega decisamente interessante e non me ne frega niente se, con ogni probabilità, il tizio non si lava chissà da quanto e soprattutto avrà sì e no trent’anni mentre io ne ho 46, sono in pre menopausa, mi tingo i capelli altrimenti sembro babbo Natale e quando leggo il giornale devo togliermi gli occhialini da miope e inforcare gli occhialacci da presbite. Metto a tacere la mia coscienza dicendomi da me sola che, se sono nata nel 1957 e mi ritrovo nel 180 dopo Cristo, sono molto più giovane io di lui… E continuo ad esplorare i suoi rilievi, le sue valli e le sue praterie con le dita e con la lingua senza pormi alcuno scrupolo circa la mia presunta pedofilia.

Gli sbaciucchio il petto: non è molto peloso, ed è talmente largo che prima di arrivare da un capezzolo all’altro temo che avrò finito la saliva. Come molte donne,impazzisco per i capezzoli maschili, forse proprio perché non servono a niente. Se si escludono i giochetti erotici, beninteso. I suoi sono deliziosi: piccoli, morbidi, di un allettante colore ambrato e piazzati al centro di due areole perfettamente simmetriche.Poco sopra il sinistro, ha pure un vezzoso neo. Quasi appiattiti contro i muscoli pettorali, si gonfiano e s’inturgidiscono sotto l’azione delle mie dita, dei miei denti e della mia lingua.Vorrei che potesse fare altrettanto e mettere sull’attenti i miei , ma nella condizione in cui si trova, poveretto, non è che possa far molto.

Sospiro di disappunto, prima di riprendere con le esplorazioni.Le mani e le labbra scendono lungo lo stomaco, sostano sull’ombelico, sfiorano il pelo ispido del basso ventre, incontrano il subiaculum e… Riesco, alla bell’e meglio, a spacchettarlo, ma quanto sono complicati questi antichi romani, e spalanco tanto d’occhi di fronte alla visione del suo set di organi riproduttivi: forma, colore, dimensioni, tutto perfetto. Scendo dallo sgabello, mi piego per rendere a cotanta perfezione il dovuto omaggio, lo sento gemere come Meg Ryan in “Harry ti presento Sally”solo che questo qui fa sul serio… Qualcuno mi liberi le mani! Impreca con voce rauca. Al che mi frugo nella tunica e la trovo, sia reso grazie a tutti i numi: la chiave dello stipetto dell’ufficio, che apre una cinquantina almeno di altre serrature e spero tanto riesca a scardinare anche le manette del mio bellissimo Ispanico.

Consumato il rapporto amoroso, giaccio a lungo tra le sue braccia nerborute, contro il suo corpo che olezza a dire il vero di sudore stantio, ma non si può avere tutto dalla vita. Il suo viso è triste e, potrei sbagliarmi, ma mi sembra proprio di veder luccicare una lacrima in quei suoi occhi il cui colore mi ricorda il mare della Costa Smeralda, ammirato l’anno passato durante la gita dei dipendenti comunali. Che c’è?Gli faccio, coccolandolo come se fosse un bambino. C’è che domani a quest’ora potrei essere un uomo morto,risponde lui. Mi metteranno a combattere contro un terribile negromante e la mia forza non potrà niente contro la sua magia.

L’indomani è venuto, e seduta sugli spalti dell’Anfiteatro, resto in attesa di assistere alla consumazione del dramma. Sono abbastanza vicina alla tribuna imperiale, e riesco a distinguere e ad osservare i suoi occupanti: l’imperatore è un giovane dall’aspetto piacente e dai tratti regolari,ma lo sguardo gelido e la piega amara che gli storce la bocca lo rendono sgradevole quanto uno stronzo fumante nella vetrina di un gioielliere. Sua sorella,Annia Lucilla Galeria, alta, sottile, solenne, con una gran chioma di riccioli rossicci che le ruscella lungo la schiena e il pallido volto malinconico, è bellissima. Nel Ventunesimo secolo, avrebbe una carriera assicurata come fotomodella o diva di Hollywood. Le sue mani affusolate si appoggiano sulle spalle di un bel ragazzino d’una decina d’anni, che mi si dice sia il figlio Lucio Antonino Vero. L’altra sorella, Dania Scopilia Sportula, è alta quanto un hobbitt, ha i capelli che sembrano una balla di paglia, la faccia larga e piatta come un pane casereccio su cui spiccano la bocca fino alle orecchie e le narici da dromedario e un fisico in confronto al quale la lisca spolpata di una triglia sembra Carmen di Pietro. Mi ricorda tanto qualcuno di mia conoscenza, e adesso capisco perché il Cantacesso ha perso la testa e a me sta tanto antipatica.Vorrei tanto poter disporre di un canestro di patate marce e pomodori fradici per bombardarla, ma non posso aspettare il 1492 …Porca miseria, ma perché tutti gli ortaggi da lancio arrivano dall’America?

Preceduti dal suono stridulo delle buccine, i due contendenti entrano nell’arena. L’Ispanico, accolto da un boato del pubblico, si inginocchia, raccatta da terra una manciata di sabbia e se la strofina tra le mani.E’ armato di daga e di scudo ed è coperto solamente da un gonnellino a metà coscia e da due baltei di cuoio rafforzati con placche di bronzo che gli si incrociano sul petto.La sua pelle abbronzata e unta d’olio brilla al sole come oro vecchio e gli salterei molto volentieri addosso: è bellissimo.

L’ingresso del Leopardi Giacomo Cantacesso nell’arena è accolto con un silenzio sepolcrale.Gli hanno messo in mano una specie di giavellotto che lui non sa neppure come si tiene ed è intabarrato in una tunica nera lunga fino ai piedi, con cappuccio che gli copre la testa. E’ talmente brutto che, in confronto a lui, Marty Feldman nei panni del gobbo Aigor in “Frankenstein Junior” sembrava Alain Delon nello splendore dei suoi trent’anni.

Mi ritrovo con l’anima lacerata in due.Devo augurarmi la vittoria dell’Ispanico o quella di Cantacesso? Massimo, con i suoi occhi ha scatenato in me l’inferno e con tutto il resto mi ha fatto guardare il paradiso… Ma non fosse stato per il Cantacesso a quest’ora starei ancora a rodermi il fegato nell’Ufficio Accettazione della ASL numero Venti… Vorrei che la terra si spalancasse sotto i miei piedi e mi inghiottisse.

-Ci sarà un magnifico premio per il vincitore…-sibila Sua Maestà Imperiale come un serpente a sonagli a cui abbiano pestato la coda. Quindi indirizza i suoi occhi verdi, piuttosto belli per la verità, verso Dania Scopilia Sportula e le sorride.Siamo a posto, penso tra me e me. Dopodiché la contesa ha inizio.

La folla è, come al solito, tutta per l’Ispanico ma, a quanto capto dai discorsi del pubblico, i tifosi non sembrano molto soddisfatti dell’operato del loro campione.Egli gira intorno all’avversario senza avvicinarsi, come se un muro invisibile glielo impedisse. E’ sicuramente opera di magia, comincia a borbottare qualcuno. Io, che conosco bene il Cantacesso, penso che, più prosasticamente, il muro invisibile sia quello innalzato dalle pestilenziali flatulenze per cui era famoso quando prestava i suoi servizi quale archivista della ASL Ma in questo mondo anche l’esistenza dei fagioli è ancora ignorata.

L’Ispanico pianta i begli occhi blu negli occhietti porcini del Cantacesso e costui, in preda alla paura, continua con le sue fetide emissioni gassose: ma le convenzioni internazionali non avevano bandito l’uso delle armi chimiche? Non bastassero quelle, il re della carta igienica dispone altresì del fiato di un drago e il povero Ispanico si rende conto che l’impresa in cui si è imbarcato è ben più ardua della battaglia di Cartagine e della lotta contro le tigri messe insieme. Trattenendo il fiato, avanza verso l’avversario con la daga puntata. Ha lasciato cadere a terra lo scudo. Con un calcio, solleva un polverone per accecare l’avversario e…

Non sa, l’infelice, che il Cantacesso è allergico alla polvere e agli acari.Non sa che comincerà a starnutire e non la smetterà più. Né può immaginare… Portandosi le mani al petto, crolla nell’arena come una quercia schiantata.Il Colosseo ammutolisce: il brutto mago ha annientato il suo bel campione.

Accanto al corpo inerte dell’Ispanico ecco l’oggetto che ne ha provocato la sconfitta: i denti, anzi la dentiera, di Cantacesso, sparati da uno starnuto a velocità supersonica contro il plesso solare fasciato di muscoli dell’altro, ne hanno provocato il deliquio istantaneo.

Lucilla si dispera, io mi dispero, la folla si dispera, la carogna dell’Imperatore si frega le mani, Dania Scopilia Sportula ostenta la faccia indifferente di sempre… Ma grazie al cielo Massimo è solo svenuto e di lì a pochi istanti, riemerge dall’incoscienza con la fatidica domanda senza risposta: DOVE SONO?

Giacomo Leopardi Cantacesso ha vinto. Rificcatisi in bocca i denti imbrattati di sabbia zozza e pisciosa, avanza verso l’imperatore per reclamare il premio a cui ha diritto. Commodo lo guarda con i suoi occhi verdi, gelidi e beffardi e…

-Ho cambiato idea- gli fa con un sorriso sghembo  -Il premio non andrà al vincitore, ma allo sconfitto.

Vedo Massimo scattare in piedi e puntare al cielo il dito medio.E’ l’inizio del segnale della rivolta.Dopo quanto ha visto, il popolo romano non è più disposto a soggiacere agli arbitrii del tiranno.

EPILOGO PIANGE IL TELEFONO

Grazie a Dio è domenica.Se fosse lunedì, non credo proprio che sarei in condizioni di andare al lavoro, con la bocca impastata e i peperoni che mi fanno ancora il saliscendi nello stomaco. Il sogno è stato bello, però. E quanto ho maledetto lo squillo del cellulare che mi ha svegliata proprio mentre Massimo Decimo Meridio, sconfitto il tiranno, stava per stringermi tra le braccia e baciarmi appassionatamente, secondo la migliore tradizione hollywoodiana… ACCIDENTI A CANTACESSO!!!

Fine

Lalla,23 marzo 2003

 

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