Percorsi di Fede

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Dio è la nostra Giustizia e Santificazione
Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a favore dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra

a servizio della giustizia per la vostra santificazione  (San Paolo ai Romani 6,19)

Castel Gandolfo (Roma) 23 Marzo 2013: Visita al Papa emerito Benedetto XVI

 

Dalla Lettera Enciclica di Benedetto XVI del 30 Novembre 2007 "Spe salvi"

 

1. « SPE SALVI facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24). La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.

 

44. La protesta contro Dio in nome della giustizia non serve. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza (cfr Ef 2,12). Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa. L'immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un'immagine terrificante, ma un'immagine di speranza; per noi forse addirittura l'immagine decisiva della speranza. Ma non è forse anche un'immagine di spavento? Io direi: è un'immagine che chiama in causa la responsabilità. Un'immagine, quindi, di quello spavento di cui sant'Ilario dice che ogni nostra paura ha la sua collocazione nell'amore [35]. Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Gesù, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31), ha presentato a nostro ammonimento l'immagine di una tale anima devastata dalla spavalderia e dall'opulenza, che ha creato essa stessa una fossa invalicabile tra sé e il povero: la fossa della chiusura entro i piaceri materiali, la fossa della dimenticanza dell'altro, dell'incapacità di amare, che si trasforma ora in una sete ardente e ormai irrimediabile. Dobbiamo qui rilevare che Gesù in questa parabola non parla del destino definitivo dopo il Giudizio universale, ma riprende una concezione che si trova, fra altre, nel giudaismo antico, quella cioè di una condizione intermedia tra morte e risurrezione, uno stato in cui la sentenza ultima manca ancora.

45. Questa idea vetero-giudaica della condizione intermedia include l'opinione che le anime non si trovano semplicemente in una sorta di custodia provvisoria, ma subiscono già una punizione, come dimostra la parabola del ricco epulone, o invece godono già di forme provvisorie di beatitudine. E infine non manca il pensiero che in questo stato siano possibili anche purificazioni e guarigioni, che rendono l'anima matura per la comunione con Dio. La Chiesa primitiva ha ripreso tali concezioni, dalle quali poi, nella Chiesa occidentale, si è sviluppata man mano la dottrina del purgatorio. Non abbiamo bisogno di prendere qui in esame le vie storiche complicate di questo sviluppo; chiediamoci soltanto di che cosa realmente si tratti. Con la morte, la scelta di vita fatta dall'uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell'intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all'amore (Sunt quidam qui veritatis desiderium amorisque alacritatem deleverint). Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l'odio e hanno calpestato in se stesse l'amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno [37]. Dall'altra parte possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d'ora l'intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono [38].

Gesù, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31), ha presentato a nostro ammonimento l'immagine di una tale anima devastata dalla spavalderia e dall'opulenza, che ha creato essa stessa una fossa invalicabile tra sé e il povero: la fossa della chiusura entro i piaceri materiali, la fossa della dimenticanza dell'altro, dell'incapacità di amare, che si trasforma ora in una sete ardente e ormai irrimediabile. Dobbiamo qui rilevare che Gesù in questa parabola non parla del destino definitivo dopo il Giudizio universale, ma riprende una concezione che si trova, fra altre, nel giudaismo antico, quella cioè di una condizione intermedia tra morte e risurrezione, uno stato in cui la sentenza ultima manca ancora.

45. Questa idea vetero-giudaica della condizione intermedia include l'opinione che le anime non si trovano semplicemente in una sorta di custodia provvisoria, ma subiscono già una punizione, come dimostra la parabola del ricco epulone, o invece godono già di forme provvisorie di beatitudine. E infine non manca il pensiero che in questo stato siano possibili anche purificazioni e guarigioni, che rendono l'anima matura per la comunione con Dio. La Chiesa primitiva ha ripreso tali concezioni, dalle quali poi, nella Chiesa occidentale, si è sviluppata man mano la dottrina del purgatorio. Non abbiamo bisogno di prendere qui in esame le vie storiche complicate di questo sviluppo; chiediamoci soltanto di che cosa realmente si tratti. Con la morte, la scelta di vita fatta dall'uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell'intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all'amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l'odio e hanno calpestato in se stesse l'amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno [37]. Dall'altra parte possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d'ora l'intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono [38].

 

Dall’articolo di Padre Giandomenico Mucci S.I. su Civiltà cattolica - Aprile 2008

“La Civiltà Cattolica” corregge. L’inferno non è vuoto, è solo poco affollato. La formula “l’inferno c’è ma è vuoto” è un luogo comune il cui moderno rilancio viene generalmente attribuito al teologo svizzero Urs von Balthasar, promosso cardinale alla fine della sua vita. Ai suoi critici egli replicava: «La soluzione da me proposta, secondo la quale Dio non condanna alcuno, ma è l'uomo, che si rifiuta in maniera definitiva all'amore, a condannare se stesso, non fu affatto presa in considerazione. Avevo anche rilevato che la Sacra Scrittura, accanto a tante minacce, contiene pure molte parole di speranza per tutti e che, se noi trasformiamo le prime in fatti oggettivi, le seconde perdono ogni senso e ogni forza: ma neppure di questo si è tenuto conto nella polemica. Invece sono state ripetutamente travisate le mie parole nel senso che, chi spera la salvezza per tutti i suoi fratelli e tutte le sue sorelle, "spera l'inferno vuoto" (che razza di espressione!). Oppure nel senso che chi manifesta una simile speranza, insegna la "redenzione di tutti" (apokatastasis) condannata dalla Chiesa, cosa che io ho espressamente respinto: noi stiamo pienamente sotto il giudizio e non abbiamo alcun diritto e alcuna possibilità di conoscere in anticipo la sentenza del giudice». (Von Balthasar, Sperare per tutti. Breve discorso sull'inferno, cit., 123).

Il Magistero della Chiesa sull'inferno insegna tre cose. La prima: esiste dopo la morte terrena uno stato, non un luogo, che spetta a chi è morto nel peccato grave e ha perduto la grazia santificante con un atto personale. E' la cosiddetta retribuzione dell'empio. La seconda: questo stato comporta la privazione dolorosa della visione di Dio (pena dal danno). La terza: in questo stato c'è un elemento che, con espressione neotestamentaria, è descritto come «fuoco» (pena del senso). Le due pene, e quindi anche l'inferno, sono eterne.

Sono due, dunque, i punti fermi. Esiste la possibilità di un fallimento eterno se l'uomo rifiuta la salvezza offertagli da Dio. E un pericolo contro il quale la Scrittura e la Tradizione della Chiesa, fino ai nostri tempi, ci mettono in guardia affinché non alimentiamo certezze assolute. Si deve alimentare la speranza nella salvezza di tutti gli uomini per la misericordia di Dio e il sacrificio di Cristo. Perciò, educata dalla Scrittura (1 Tim 2,4; 2 Pt 3,9), la Chiesa non cessa di pregare affinché tutti gli uomini si salvino. Né sono pochi i cristiani che sanno bene che la salvezza è condizionata alla libera cooperazione dell'uomo con la grazia e tuttavia sperano nella potenza del sacrificio della Croce.

 

Quaderno N°3788 del 19/04/2008

(Civ. Catt. II 105-208)

Articolo: L'inferno vuoto
Giandomenico Mucci S.I.

 

Approfondimento 1

Vedi: Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te (Sant’Agostino, Sermone CLXIX,13 [PL 38, 923]).

Ricordiamo inoltre, che Gesù parla della possibile realtà del fuoco eterno in Matteo 25,41.

Anche a Fatima, in Portogallo, la Regina della pace, nella terza apparizione del 13 Luglio 1917, dopo aver mostrato l'inferno disse: "Avete visto l’Inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarli Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se si fa quello che vi dico molte anime si salveranno, ci sarà la pace". (Vedi: Fatima 1917)

Il profeta Isaia ha scritto: 55,[6]Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. [7]L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona.

Tra i libri sapienziali l'annuncio si chiarisce col Salmo 92(91): [7]L'uomo insensato non intende e lo stolto non capisce: [8]se i peccatori germogliano come l'erba e fioriscono tutti i malfattori, li attende una rovina eterna: [9]ma tu sei l'eccelso per sempre, o Signore. 

Paolo ai Galati scrive: 6,[7]Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato: tutti inviti a prendere la vita sul serio, con impegno e con passione per il bene.

Come dice Gesù nel Vangelo secondo Matteo cap. 7: [13]Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; [14]quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!  

E in Luca Gesù specifica l'impegno nel cap. 13 versetto 24: <<Sforzatevi ( vedi: l'agone cristiano di sant'Agostino) di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno>>. (>Parabola del fico sterile in 13,6-9)

 

Vedi gli esclusi dal Regno di Dio nella Bibbia - "Dio castiga e salva": Udienza generale di San Giovanni Paolo II del 25 Luglio 2001

 

Approfondimento 2  

Nell'Antico Testamento c'era la convinzione che tutto si compisse sulla terra: i buoni erano ricompensati in questa vita, con la benedizione di Dio espressa in una vita lunga, e nel benessere materiale e spirituale; i cattivi invece, erano puniti con una vita breve, piena di sofferenze fisiche e spirituali (anche se non mancano eccezioni in diversi casi come quello di Tobia; di Giobbe; dei fratelli Maccabei): tutti poi si finiva nel regno dei morti: lo Sheol (l'Ade dei Greci). I Sadducei, della classe ebraica sacerdotale fedele solo alla Torah, negavano persino la risurrezione dei morti, gli angeli e gli spiriti (Atti 23,8). Con la Pasqua di Gesù, il Messia, si apre l'era pentecostale, l'era dello Spirito Santo, che illumina anche sulla interpretazione corretta dell'aldilà. Nella tradizione apostolica che approfondisce il Vangelo di Gesù si parla dei Novissimi, e dell'impegno della testimonianza evangelica delle buone opere (>Matteo 5,16; 7,24-25: di chi costruisce sulla roccia) 
 

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