Storia di Costalta


"TRISTEZZA MI INVADE"
Memorie della vita militare
scritte da Celeste Casanova Fuga Bola (dal 1913 al 1915)

IV - GENNAIO 1914

Tirava un vento molto freddo. Il cielo era coperto di nubi più o meno dense, che nascondevano di quando in quando l'astro splendente. La compagnia stava rientrando dopo una lunga ricognizione a sud ovest di Mdanar e su ogni volto si poteva leggere un po' di stanchezza. Dunque si rientrava stanchi e pieni di sete, quantunque non si avesse avuto alcun brutto incontro. Solo a qualche mezza dozzina di chilometri era comparsa, e si poteva ben distinguerla, una lunga carovana di cammelli, scortati da un centinaio di uomini, chi a piedi, chi a cavallo, ma appena si accorsero della nostra presenza scavalcarono un costone vicino, perdendosi in quei grandi valloni. La sera avanzava pian piano la sua triste ombra e noi, tutti avvolti nelle nostre mantelline, si discorreva gioiosamente. Ad un tratto si avvicinò al nostro gruppo il caporale di giornata, il quale portava in mano una piccola nota e cominciò a chiamarci uno per uno e poi disse: "Quelli che sono stati chiamati devono montare di guardia questa sera". Tra questi c'ero anch'io. Subito il nostro colloquio si sciolse e corsi in baracca a vestirmi bene, perché coll'avanzare della sera il freddo aumentava sempre più. Fui destinato a montare alla seconda muta. Il vento soffiava sempre più forte; pareva che volesse portar via la ridotta intera ed il freddo si faceva sempre più intenso. Al di fuori della ridotta si poteva distinguere un po' bene delle immense quantità di cani, sciacalli, volpi, eccetera, che coi loro gridi striduli e monotoni parevano volessero attribuire un certo che di paura nel cuore delle sentinelle e massimamente a quelle che montavano per le prime sere. Ogni tanto si sentivano, una dopo l'altra, chiamarsi col grido di sentinella all'erta. La notte trascorse meglio che non si credette, ma un certo che di malessere aveva avvolto la mia persona, sicché fui costretto a marcare visita. Il medico, dopo avermi fatto alcune domande, mi mise il termometro, il quale mi segnò trantanove gradi di febbre. Trascorsi due giorni così in riposo; la febbre non voleva cessare; poi per l'impossibilità di essere curato colà, furono costretti a mandarmi all'ospedale. In capo a cinque giorni la febbre cessò, ma dovetti rimanere ancora sette giorni, per completare la convalescenza. L'appetito a poco a poco mi ritornò e rientrai in compagnia ancora con cinque giorni di riposo, seguendo poi pacificamente le nostre operazioni. Il giorno ventotto si dovette traslocare ancora, quindi dovetti anch'io mettermi lo zaino in coppa le spalle e rifare la strada che il ventitré di dicembre ci fu tanto penosa, ma fu compiuta felicemente.


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