Ecco uno dei tanti "volti"... del passato,
legati ai "ricordi" del pittore
Giovanni De Bettin

(Da "n'ota inera...", pp.18-20).

 Barba Checo

In piazza, poggiato al muro ruvido della casa, ormai cotto dal sole di anni, in attesa del povero pasto quotidiano, sta barba Checo. Giocherella con un pezzo di legno strisciando per terra, un po' a destra e un po' a manca, con le scarpe slacciate; le aveva infilate svogliatamente per uscire in fretta di casa e trovare qualcosa, qualcuno con cui trascinarsi verso l'ora dei dodici rintocchi. Altrettanto han fatto Bepo e Tone ed eccoli incontrarsi in vuote conversazioni. La giacca di Checo, appoggiata a mantello sulle spalle, qualche volta minaccia di cadere per effetto del gesticolare delle braccia che, insieme alle parole incerte, cercano di esprimere qualcosa; le brache, abbottonate alla meglio, sono unte e lise dal tempo e vestono la persona dal lunedì al sabato; ma alla domenica il "vistì d'la festa" dava a barba Checo quella dignità e quel sussiego che di per sé onorano e santificano il giorno del Signore. Al suono poi della grande campana, quasi come obbediente ad un richiamo sovrano, eccolo abbandonare la concitata conversazione e dirigersi, più stanco di prima, verso l'uscio di casa. Dopo un fugace riposo sulla panca al caldo della brace, col viso coperto dal cappello che nasconde agli occhi la luce del giorno, uscirà a raccogliere un fascio di legna per scaldare la sera a venire. Domani lo stesso immutato impegno lo aspetta sulla piazza a dialogare del tempo e dei trascorsi con quelli, che, come lui, trascinano l'esistenza cercando il tepore dell'ultimo sole.

De sto Checo me resta pöc da dì e cal pöco che da dì, digo!
Ne nera un "mangia Pater Nostar" e com che spö capì da la fazada, un òn pitost tavanó e dal cazol cal porta e ...com cal porta sul ció, s vöde c l avee paura snoma dal saroio, e no d la so ombria . E sozdù: un pree e du a bandì l cede e (parché no) anc la soa, la ceda d Checo. E rivó, va inze ze stó foghèr, Checo er la destiró su la bancia in ció-da-fögo e...
"Bon dì, Sior Checo, mi saria qua par benedir Lù e la so casa"
Checo leva su pompianin un fià infumlò e... Gno vaalo sto corvo pas- löghe!
"Sior Checo, mi son da zoldo salo?"
"E co t es, a mi fa n toc-va, e co proprio t es da Zoldo ne ne afar mii, ast capù-mo; va là, camina torna in Zoldo che nsugn t a ciamó cialó"
"Sior Checo, mi benediso la so casa, lù al stia in pas apò io vado!" (...parte a "spergis" par foi la cros co l 'aga santa, ...ma sempro aga era e incrodöia Checo co na spruzeda) "Cioo, porco csi, ne sta gni cialó a tirem aga pal bec-inz-no e s noo, iö inöi na söia colà e te lavo, bocon de Zoldon!"
Stó pree ciàpa la porta col so sicel e zal caminé: "Sia lodato Gesù Cristo, Sior Checo!"
"Cös ine afar toi, camina!..."
Nota a l ön però s lo vdee z gedia du in ció, col ciapel z mön ch'mostraa la plada lustra e biöncia. Tadee-là zenza manvöte e pariee a la so maniöra csi vistù da festa come ch s à bel dito.
Questo personaggio, di un tempo a noi tanto lontano, rivive nella figura di barba Checo, uomo come tanti di allora; personaggi che, stanchi di una vita di duro lavoro, trovavano conforto nell'ozio invernale passato, come questo, al sole che abbronzava e scavava quel poco di viso lasciato tra barba e cappello.


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