del critico d'arte Enzo Santese Nello sviluppo della pittura di Giovanni De Bettin si colgono alcune linee caratterizzanti di una presenza, generosa di spunti di riflessione per chi voglia leggere l'opera non solo per quanto essa prospetta, ma anche per quello che evoca, che richiama cioè alla superficie dell'attualità dai recessi della memoria: un mondo di attività e di abitudini cancellate dai tempi che, pertanto, assume un valore di autentica testimonianza. Poi i moduli più specifici della pittura, che anche quando ricrea sulla tela situazioni di intensa partecipazione emotiva, sa collocarle in un alveo di intonazione idillica nel quale non prevale il dato del compiacimento formale, bensì una gamma di umori molteplici: dal tormento esistenziale alla calda adesione al suo mondo, dalla profonda malinconia per la fugacità del tempo, alla problematica relazione con l'attualità. Dalla fine degli anni '50, quando comincia a farsi strada in lui anche la voglia di confrontarsi con il largo pubblico delle occasioni espositive, fino ad oggi, l'artista, estraneo alle seduzioni del nuovo a tutti i costi, rimane tenacemente abbarbicato alle sue convinzioni, quelle di fissare la realtà più cara, ambientale e umana, dentro la retina della coscienza, proiettandola poi sulla superficie in una pittura che non "fotografa" il mondo ma ne elabora alcuni aspetti, quelli che maggiormente si sintonizzano con le proprie motivazioni interiori. Da questo punto di vista Giovanni De Bettin
è cantore della poesia di Costalta, inscritta nei suoi
silenzi, nella storia della gente frequentata in oltre ottant'anni
di solidale partecipazione alle sollecitazioni di una montagna,
avara eppur amica. "La retrospettiva che nessuno voleva"
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"GIOVANNI DE BETTIN LINC" |
"ESTATE 2006" |