|
E' questo il primo romanzo di Tracy Chevalier, edito da Neri
Pozza solo quest'anno e cioè dopo che l'Autrice era gia diventata
nota (e da molti lettori anche amata) per
La ragazza con l'orecchino di perla e
La dama e l'unicorno. E questo è un bene, è il primo pregio che
attribuisco al romanzo, dato che fin dalle prime pagine ho creduto di
osservare una prosa di qualità inferiore a quella dei due romanzi
successivi. Una prosa sciolta, sì, ma ancora rozza e scontata,
con frequenti scadimenti di tono e frammentazioni di registro. Una prosa
tesa a cercare quelle atmosfere poetiche che della Chevalier sembrano
essere proprio, ma ancora inadeguata. Una prosa apprendista, rispetto
a quella che in seguito ha fatto della Chevalier un caso interessante
di nuova narratrice. Il pregio, è ovvio, consiste nel fatto che
in breve tempo e in pochi ulteriori tentativi lo stile e l'espressività
della Chevalier sono migliorati fino a raggiungere il livello che conosciamo
e che si può considerare superiore alla media.
In questa Vergine azzurra noto una certa stonatura fra l'ardita
inverosimiglianza della storia e la disinvoltura (che definirei ingenua)
con la quale l'Autrice insiste a collocarla in un contesto attuale e alquanto
realistico, anzi caratterizzato da riferimenti e stereotipi ben precisi
e riconoscibili, alcuni fin troppo caricaturali, sprecando così
l'occasione di far uso di un approccio più surreale e onirico che
senza dubbio sarebbe risultato più in armonia.
Le pagine migliori del romanzo sono quelle della ricostruzione storica,
dedicate alle vicende di una famiglia rurale coinvolta nelle persecuzioni
religiose della Francia del '500: qui si legge la Chevalier innamorata
della storia europea e della favola, alle quali dona, come poi anche nei
romanzi successivi, una scrittura dove il colore e i colori sono tangibili,
sono personaggi essi stessi.
Viceversa, le vicende ambientate al tempo odierno - e negli stessi luoghi
- risultano a tratti forzate fino a rasentare il ridicolo, soprattutto
nel tratteggio dei tipi e nei loro dialoghi. Una storia un po' tirata
per i capelli, insomma, che contrappone tra gli altri due stereotipi banali:
il marito americano, prestante, sportivo, semplice, e il seduttore latino
dall'aria intellettuale e un po' contorta. Al centro, la protagonista,
giovane donna americana con lontane origini europee, che si ritrova in
balia di fantasmi quando si impunta - spinta da un'inquietudine esistenziale
o più banalmente da un'insoddisfazione coniugale - a cercare le
proprie antiche radici in una terra, la provincia francese, così
scomodamente distante in tutto e per tutto dalla realtà lineare
e pianificata cui era abituata oltreoceano. Questa ricerca, benché
motivata dall'Autrice da un richiamo che si fa sentire in sogno, nelle
notti di disagio esistenziale, appare costruita e narrata con una certa
puerilità, e con un gusto un po' eccessivo per i colpi di scena
e le situazioni quasi da giallo.
Interessante, comunque, la mano più che buona con la quale la Chevalier
riesce a condurre in parallelo le storie delle due donne protagoniste,
quella di oggi e la sua remota ascendente del XVI° secolo, alternando
secondo una successione molto efficace e suggestiva il racconto delle
loro esperienze intrecciate e così simbolicamente affini. Un effetto
inquietante.
E', in sostanza, una storia di donne, quasi di una lunga catena di donne
tutte segnate da qualcosa che pare avere il peso di un peccato originale
e tutte imprigionate dalla natura stessa delle cose a un destino di maternità
dai risvolti più problematici che liberatori.
Della stessa Autrice, leggi anche la recensione di
La ragazza con l'orecchino di perla
La dama e l'unicorno
Quando cadono gli angeli.
torna a Libri letti
|