Due anni d'inferno in Italia versione del 15 Gennaio '08
Inizio    L'azienda rubata  Estensi
Inizio
Siamo una famiglia veneta, e, teniamo a precisare, cristiana.  Il Sacro Cuore di Gesù ci ha portato a tagliare con il paese d’origine, perché ben radicato in giri di occultismo, spiritismo e messe nere[1].  La nostra fu una scelta ben valutata e motivata, iniziò a maturare dieci anni prima, all'inizio dell’università, quando vi è stato un progressivo distacco dalla realtà locale del paese. Dal di fuori abbiamo visto con altri occhi quello che accadeva e che non era del tutto normale. Tentammo in un primo momento di far aprire gli occhi anche alle nostre famiglie: questo però non fece altro che peggiorare la situazione, e fummo così costretti a tagliare radicalmente pure con loro, con un certo dolore. La nostra scelta non fu accettata, anche perchè noi eravamo testimoni, nostro malgrado di molti fatti e avvenimenti.
Spostammo la nostra azienda ed abitazione in altra provincia tenendo segreto il luogo. Purtroppo all'azienda risalirono poco tempo dopo, e all'incirca dopo un anno trovarono pure l'indirizzo dell'abitazione privata. Fummo costretti a cambiare residenza nuovamente, questa volta facendo attenzione ai minimi particolari sulla privacy.
Il nostro passato in qualche maniera ci rincorreva e ci impediva di svolgere una vita completamente normale. Ad esempio, evitavamo a tal proposito di fare conoscenza con i nostri vicini (i quali evidentemente si saranno chiesti perchè non avevamo mai visite di parenti). I nostri parenti si presentarono  anche alla sede dell'attività creando dei danni. Inspiegabilmente molti lavori cominciarono ad andare storti, uno dietro l'altro  tanto da non riuscire più a continuare l’attività che avevamo da più di 10 anni, e nemmeno a trovare un lavoro qualsiasi[2].
Il turbine vorticoso iniziò in Maggio 2004 quando ci recammo dai carabinieri per segnalare delle minacce ricevute da un nostro cliente/fornitore. Non facciamo querela, ma nell'occasione acceniamo  al maresciallo  la nostra situazione personale ed il desiderio di privacy. Lasciamo al maresciallo anche il nostro nuovo indirizzo, in modo che possa contattarci velocemente in caso di necessità
[2a].
Durante l'estate del 2004 la situazione non si placò, e cercammo così una soluzione anche nel lavoro a titolo personale. A Tal proposito ci fu un'azienda di Bologna che insistette con molto vigore perchè uno di noi diventasse un responsabile CED. Le trattative erano pressochè concluse, con esito favorevole, quando l'azienda non si fece più sentire e non riuscimmo più nemmeno a parlare con le persone interessate. Non fu nemmeno un caso isolato
[2b].
Dopo una serie infinita di vicissitudini,  non sapendo più cosa fare, e per nostra tutela, ci siamo decisi di scrivere un documento, con alcune nostre testimonianze, e di recarci presso un comando stazione dei carabinieri, ovviamente di un altro paese[3]. Era il 5 Ottobre 2004 ore 15.00. Ci presentammo al comando di Rovigo.
Riuscimmo a parlare con due carabinieri per circa un’ora. I due carabinieri riportarono soluzioni molto contrastanti tra di loro: uno ci disse di fuggire in Germania e l’altro ci disse che vi erano descritte alcune situazioni da mettere i brividi. Ci convinse di inviare il documento che avevamo preparato in Procura e ci spiegò come fare.
Per la difficile situazione economica ci rimandarono ai servizi sociali del comune di residenza. Prima di uscire, uno dei due carabinieri decise di tenersi il documento che avevamo scritto, e ce lo fece firmare su tutte le pagine, facendosi una fotocopia dei nostri documenti d’identità
[4]. Le nostre testimonianze riguardavano anche delle reti di conoscenze che stabilivano il bello e cattivo tempo. Avevamo nominato anche persone importanti legate al mondo del calcio, e come alcune di queste riuscivano ad ottenere informazioni coperte da segreto anche nel campo della magistratura[4b].
Dopo il colloquio con i carabinieri, per motivi che risulteranno chiari solamente con l’evolversi della faccenda, abbiamo deciso di evitare il comune di residenza
[5], e di tentare per altre strade.In questa difficile situazione, abbiamo evitato di fare qualsiasi spesa superflua, concentrando tutte le risorse per l’acquisto del pane e dei generi alimentari per vivere. Così anche l’invio della raccomandata in procura l’abbiamo posticipata : l'invio è avvenuto solo quando una suora laica (Angela Mussolesi di Mezzano -RA) ci ha donato 50 Euro[5b].
In quel periodo tentavamo di uscire da quella situazione in tutti i modi impegnandoci in tutti i campi possibili. Speravamo di poter intascare qualche euro dalla scoperta e ricerca che avevamo fatto sugli Estensi ( link: http://digilander.libero.it/memorie ). Le nostre scoperte infatti portavano gloria al comune di XXXX e speravamo in un interessamento dello stesso comune per il nostro lavoro, ed una conseguente entrata di denaro: la regione Veneto aveva pure dei fondi destinati al recupero dell'identità veneta. Vi erano quindi tutti gli argomenti per ben sperare.  Dunque in più occasioni abbiamo informato il sindaco, il vicesindaco, il segretario e alcuni cittadini delle nostre scoperte. Fu una grossa delusione, perché il comune non se ne interessò minimamente, anzi un parroco ci sconsigliò  di proseguire[6].
Ad inizio di novembre '04 spediamo due raccomandate, una alla Procura della Repubblica di Roma ed un’altra al Presidente della Repubblica; il contenuto comprendeva un documento quasi identico a quello lasciato ai carabinieri il 5 ottobre '04 ed una richiesta di aiuto urgente.

In particolare l’invio al Presidente della Repubblica era sentito come l’invio al padre della nazione, una richiesta di intervento per la nostra difficile situazione. Speravamo in particolare che lo Stato, assente negli anni della nostra infanzia, potesse intervenire almeno ora, per garantirci una rinascita lontano dagli obbrobri visti e subiti. La lettera inviata alla Procura, sotto forma di esposto, mirava ad informare lo Stato di una situazione ben radicata nei luoghi in oggetto, onde evitare che le stesse cose si ripetessero su altri cittadini e minori.
Dopo la spedizione delle lettere speravamo in un intervento di qualcuno, indipendentemente dallo svolgersi delle indagini. Noi spedimmo i documenti direttamente a Roma saltando le procure locali. Il motivo era serio: avevamo visto come alcune persone implicate nei fatti  avevano delle reti all'interno della Procura locale per ottenere informazioni riservate alla magistratura, ed allora non immaginavamo che tali reti si estenessero anche a Roma.

In realtà, dopo l'invio degli esposti  a novembre la situazione peggiorò: in dicembre 2004  abbiamo subito una violazione di domicilio presso la sede della nostra attività e non è stato più possibile entrarvi. Vi è stato un evidente trafugamento di oggetti personali, probabilmente con lo scopo di intimidazione e di trovare il nostro luogo di abitazione[8]. Contemporaneamente sono incominciate varie situazioni inverosimili, come l’impossibilità di avere un bancomat personale, che veniva ripetutamente perso in capo alla banca[9]. Teniamo duro, sperando che arrivi presto un contributo che ci era dovuto dagli anni precedenti. A novembre '04 ci viene comunicato che i nostri soldi sarebbero arrivati per dicembre o al massimo a inizio di gennaio '05. Ma come vedremo più avanti questo contributo ha avuto diverse contrarietà, tanto da essere spostato prima a febbraio, poi a marzo, poi ad aprile e maggio[10].
Intanto la violazione di domicilio nella sede dell’attività ci impediva di continuarla, sebbene negli ultimi mesi ci recavamo solo di sera, per sviare le persone che ci avevano minacciato. Nel frattempo speravamo nell’intervento di qualcuno, per  l'esposto depositato in ottobre '04 e novembre '04.  Viste le lettere e esposti già inviati decidemmo di continuare su quella strada, chiedendo un intervento anche per verificare cosa era successo nella sede della società: non vi potevamo più accedere perché la serratura era stata cambiata[11]!

A fine dicembre '04 inviamo un altro corposo documento con nuovi fatti e testimonianze continuando nella strada già iniziata, ovvero una raccomandata al Presidente della Repubblica, e una raccomandata alla Procura di Roma. Nei documenti rinnoviamo la richiesta di intervento, indipendente dalle indagini.
A fine 2004 ci troviamo con la sede dell’attività impraticabile, con l’impossibilità di fare le operazioni contabili, amministrative, commerciali e produttive. In questa maniera si prospettava solamente un disastro  inevitabile per la società. E nessuno interviene in nostro aiuto.

Ad inizio gennaio 05 riusciamo ad avere un fido dalla banca, offrendo come garanzia il contributo che ci doveva arrivare. Con il fido riusciamo a pagare alcune bollette insolute (acqua, luce..).
Verso fine gennaio rispediamo la raccomandata al Presidente perché non ci ritorna l’avviso di ricevimento.
Il 20 di febbraio '05 chiediamo nuovamente aiuto in Procura, specificando nuove testimonianze. Includiamo una denuncia per violazione di domicilio.
Da Gennaio '05 a Marzo '05 aspettando, l'intervento dell'autorità, cerchiamo aiuto da altre parti e cerchiamo di trovare lavoro a titolo personale.

All’inizio di Marzo '05 ci rechiamo a Roma per vedere cosa era successo ai nostri documenti.
A Roma, in procura, scopriamo che le raccomandate inviate non risultavano registrate: sembravano smarrite. Risultava solo un documento, che probabilmente era stato spedito direttamente dai carabinieri ancora in ottobre[12].
I documenti successivi al primo erano molto importanti, perché riportavano anche la denuncia per violazione di domicilio ed altri fatti gravi.Al Quirinale non ci è stato possibile verificare quali documenti fossero arrivati: ci dissero solamente che erano stati inviati al Ministero degli Interni e di lì inoltrati al Prefetto di competenza[12b] in Veneto.
Preoccupati per la mancanza della maggior parte di documenti inviati, appena tornati a casa, li rispedimmo in blocco.
Nel frattempo il contributo, sul quale avevamo avuto il prestito, non arrivava: la nostra pratica era stata persa più volte. Chiedemmo aiuto, elencando il nostro stato di necessità all’ente erogatore; non ottenendo alcun risultato, chiedemmo aiuto anche ai carabinieri, senza ricevere anche qui nessun interesse. Addirittura un dipendente dell’ente, si era rifiutato di eseguire un ordine del suo superiore, nonché responsabile dell’ente stesso, che ci dava la priorità sul pagamento[12c].

All'inizio di Marzo '05 non possiamo più utilizzare l'auto perchè scade l'assicurazione e vi sono rate insolute del leasing. Il paese non è servito da mezzi pubblici, è in collina. Abbiamo difficoltà a fare qualsiasi spostamento, non abbiamo nemmeno una bicicletta e nemmeno la possibilità di comprarne una. La situazione diventa ancora più tragica. Sempre in marzo un "conoscente" di persone che ci avevano minacciato riesce ad avere (probabilmente in maniera non lecita) il nostro indirizzo di casa: si presenta sotto le finestre, raccontando varie bugie per indurci ad aprire e parlare; non ottenendo il risultato sperato, passa alle minacce di nuovo. In questi mesi ci ammalavamo spesso, e non ci si pensava ad aprire anche per questioni di salute. Questa persona era passata di casa in casa  urlando ai quattro venti il nostro cognome e chiedendo se abitavamo lì: evidentemente il personaggio conosceva la via ma non il numero civico. Dopo circa 15 minuti il tizio è ritornato con sicurezza alla porta del luogo ove abitavamo[12d].

Verso fine marzo, mentre per l'ennesima volta ci slitta il contributo pecuniario, e, a pochi giorni dall'incursione sotto casa, ci capita un incidente.
Intervengono i carabinieri locali[13]. Spieghiamo loro che l’incidente è dovuto al troppo stress accumulato ed ad un effetto scatenante indipendente, un effetto anomalo,  ne approfittiamo per chiedere un aiuto relativamente a tutta la nostra situazione, elencando e mostrando i documenti inviati, che non hanno avuto risposta.
Per loro è impossibile che i documenti siano stati persi in Procura, così ci trattano da "matti" prendendo alla leggera le nostre dichiarazioni. Inoltre omettono nel verbale elementi da noi giudicati importanti, ed ignorano le nostre richieste di inviarci un medico (il nostro telefono non funziona ed uno di noi ha dei profondi tagli sulle dita, ancora oggi sono rimaste tracce visibili). Si presentano il giorno successivo per  farci firmare un verbale scritto al computer di senso completamente diverso (probabilmente scritto in base a loro interpretazioni), che naturalmente non reputiamo corretto e non firmiamo.
Scoprimmo in seguito, a detta dell'assistente sociale e dello stesso avvocato, che la pattuglia nell’occasione dell’incidente non aveva attivato la procedura prevista dal regolamento[14].
Vista l’oppressione nell’aria, decidemmo di andarcene di casa con la morte nel cuore per alcuni giorni, per avere una mente più lucida sul da farsi. I carabinieri erano molto arabbiati perchè non volevamo firmare il loro nuovo verbale, e perchè "non sta bene fare nomi e cognomi sugli esposti[14b]." Avevamo le difese immunitarie molto basse, non avevamo nemmeno più eseguito controlli medici per mancanza stessa di soldi, riuscivamo a fare a mala pena pochi gradini.
Abbiamo preso il primo treno per Brescia, ed alla sera abbiamo dormito dentro un capitello di San Francesco a Paratico..
Il giorno dopo era Pasqua: finalmente, dopo vari giorni è arrivato il sospirato contributo che aspettavamo, ma le cose ormai avevano preso una brutta piega.
Recentemente crediamo che parte delle nostre disavventure siano accadute per aver nominato  nel primo esposto i personaggi legati al mondo del calcio ed alla FIGC Nazionale.

Dopo Pasqua, ad aprile '05, ritorniamo e, non avendo il bancomat, per i problemi già descritti, ci siamo recati direttamente in banca. Notammo che l’incidente era stato riportato nei giornali della provincia, ma ci accorgemmo che la notizia riportata era sbagliata in vari punti, e non riportava minimamente la notizia dei nostri documenti spariti in Procura e la richiesta di giustizia.
Una volta a casa, fummo invitati da una pattuglia a presentarci in caserma urgentemente: ormai erano passate due settimane dall’incidente.
In caserma ci fu notificata la querela di alcuni vicini per danni avuti nell’incidente delle auto. Ma scoprimmo davanti al maresciallo P.P che una di queste persone ci aveva pure querelato per minacce. Non riuscivamo a spiegarci la cosa, non avendo mai minacciato nessuno. L'unica cosa plausibile era che avendo gridato di non poterne più, perchè la giustizia non si faceva sentire ed eravamo gravemente minacciati: il vicino ha capito male ed interpretato come una minaccia nei suoi confronti.
Ci fu assegnato un avvocato d’ufficio, il maresciallo ci spiegò che siccome la minaccia coinvolgeva un discorso penale, avevamo appunto diritto ad un avvocato d'ufficio..[15]
Tentammo di spiegare al maresciallo la nostra versione dei fatti, ma non fummo ascoltati, perchè ormai ci avevano etichettati come matti.[16] (vedere nota generale[N2]).
Non ci fu concesso di rilasciare alcuna nostra dichiarazione o verbalizzare nel dettaglio la nostra versione dei fatti. Chiedemmo aiuto anche per i documenti inviati in Procura, che erano stati smarriti. Il maresciallo ci disse che la cosa non lo riguardava. Così decidemmo di rilasciare una denuncia scritta per lo smarrimento di tali documenti, ma non ci fu permesso.

Per questo motivo, successivamente decidemmo di fare denuncia direttamente noi alla procura di Milano, spedendo in allegato tutti i documenti che avevamo inviato a Roma e che erano spariti. Ma nemmeno da Milano abbiamo mai avuto risposta[17]
Avevamo chiesto di poter parlare con qualcuno, per poter depositare altre testimonianze delicate, ma non ci ha risposto nessuno.

Presentiamo il nostro caso e la nostra richiesta d'aiuto anche presso l'organismo con sede a Strasburgo, dedito alla difesa dei diritti umani, per sollecitare un intervento: non abbiamo ricevuto alcuna notizia, e non sappiamo se siano intervenuti qui in Italia.

In aprile '05 andiamo nuovamente a Roma, e non vi è traccia delle nostre raccomandate, che avevamo rispedito dopo i primi di marzo 2005: l'addetto ci dice che in genere ci impiegano due settimane per registrare i documenti sul computer, perciò dovrebbero essere presenti. Lo stesso dipendente non sa cosa risponderci.
Così, avendo due copie identiche di documentazione, decidiamo di depositarle personalmente, presso l'ufficio "primi atti", almeno da avere una data di registrazione,  un numero di riferimento e una copia identica a quella rilasciata. Era il 19 aprile 2005. (Era lo stesso giorno dell'elezione del nuovo Papa). Anche questi ultimi documenti furono sottratti e/o smarriti[18].

Il 26 di Aprile '05 i carabinieri ci sollecitano di parlare con l'assistente sociale del comune. Lo incontriamo nello stesso giorno presso casa nostra. Il colloquio dura circa due ore. Scopriamo per fatalità [18b] che la pattuglia dei carabinieri in servizio la sera dell'incidente ci aveva preso proprio per matti, tanto da convincere pure il maresciallo, che aveva allertato subito l'ASL e il comune di residenza, senza nemmeno averci visto di persona (il primo incontro con il maresciallo è avvenuto solamente in data successiva, a due settimane dal fatto). Ovvero il maresciallo P.P. ci aveva già fatto la diagnosi a distanza senza vederci e senza naturalmente averne la competenza, ed era una diagnosi gravissima.
Per noi c'era solo una spiegazione al fatto: negli esposti avevamo nominato qualche personalità importante, ritenuta  intoccabile o di buona famiglia[18b]. Farci passare per matti poteva essere il modo di "invalidare" questi documenti.
Ad aggravare la situazione è che nell'incidente delle auto avevamo incidentato, senza saperlo, un parente stretto di un assessore comunale, almeno così ci era stato detto. L'assistente sociale fu informato, per quanto possibile, delle nostre vicende. All'assistente sociale mostrammo pure i due pacchi di esposti con il timbro della Procura di Roma. Su invito dell'assistente sociale, spedimmo delle raccomandate ai giornali locali per indicare la nostra versione dei fatti, ma i giornali ignorarono la nostra lettera. Presso uno di questi quotidiani ci siamo recati di persona: non hanno voluto pubblicare nulla, sostendendo che chi aveva causato tanto allarmismo doveva riparare, pubblicando un articolo, e che il fenomeno elettromagnetico, causa scatenante dell'incidente, era cosa risaputa là dove abitiamo.
Insomma, spettava al comune riportare la pace, a detta del giornalista.
L'avvocato d'ufficio, ci consigliò di cambiare paese, perché c'erano molte persone che ci detestavano in paese. Non abbiamo capito da quali fonti abbia appreso questa notizia. Gli spiegammo pure i comportamenti strani delle forze dell'ordine: ci consigliò di denunciare tutto al comando provinciale ed a Roma, e poi "di cambiare aria".  L'avvocato, essendo nominato d'ufficio solo per le querele dell'incidente, si può interessare solamente del caso dell'incidente.
Ci fu utile comunque per il discorso dell'ASL.
L'ASL fu sollecitata dal maresciallo ancora al momento dell'incidente. Il maresciallo ci aveva fatto la diagnosi da pazzi ed aveva allertato l'ASL. Si doveva così terminare la procedura iniziata dal maresciallo con una visita psichiatrica. Non servì a nulla parlare con l'assistente sociale: probabilmente questo era sotto l'influenza del maresciallo che desiderava chiudere la faccenda quanto prima. In Maggio '05 ad uno di noi  arrivò una busta con all'interno la comunicazione di una visita psichiatrica già fissata con giorno ed ora. Preoccupati ci recammo dall'avvocato il quale ci disse che tale visita non era regolare e non era a norma di legge. Espresse l'opinione che era facile pensare all'esito di una visita del genere. Ci disse di chiedere delucidazioni in merito, di chiedere chi avesse fornito i nostri dati, e fosse lo scopo di tale visita. Se pensavano che uno di noi era matto dovevano chiamare il medico alla sera stessa dell'incidente con le auto. Questo non l'avevano fatto, ma avevano invece allertato lo stesso l'ASL. Anche l'avvocato espresse l'opinione che era un modo per mettere a tacere i nostri esposti, facendoci dichiarare matti. Appurammo, in seguito anche da una dottoressa dell'ufficio URP della Provincia che tale visita non era a norma di legge.
Vi è un'altra ipotesi da noi valutata recentemente sul comportamento del carabiniere ed è posta in relazione con la scoperta storica relativa agli Estensi, da noi effettuata nel 2004[18c]. Per la questione della ricerca vi rimandiamo alla parte relativa, riportata alla fine di questa pagina.
In pratica il comune non si interessò del nostro caso e della nostra salute, non si preoccuparono minimamente, se non quello di mettere a tacere tutta la vicenda.

Decidiamo più avanti di andare dal prefetto della nostra provincia.  In prefettura non c’e’ traccia dei nostri documenti inviati da Roma: a Roma ci avevano detto che per competenza erano passati al ministero degli Interni, e specificatamente alla prefettura di competenza territoriale,  in Veneto. Avendo una copia in borsa, appena appresa la notizia li spediamo noi direttamente al prefetto.
Ma nemmeno dal prefetto abbiamo ricevuto risposta, a noi nota[19].

Riuscimmo in Maggio,  a parlare  anche con  il senatore Pedrini della Toscana, in una manifestazione. Questo senatore, avendo pure ricoperto il ruolo di sindaco (Valle di Zeri -MS), promise che avrebbe telefonato al sindaco del nostro paese, in modo che potessimo ottenere un aiuto, un sussidio ... e poi tutto si sarebbe chiarito e sistemato, incluso l'incidente stesso. Ci disse che un sindaco può risolvere molti problemi, ha molto più potere di quanto noi immaginiamo. Non sappiamo se questa telefonata sia avvenuta, in ogni caso non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dal sindaco, al quale avevamo scritto ancora in maggio '05, sia per posta normale che elettronica, nemmeno per altre lettere inviate in seguito.
Purtroppo le notizie sbagliate apparse nei giornali, il mancato intervento del comune per chiarire la situazione ha dato il via a una serie di chiacchiere e vere diffamazioni sulla nostra persona. Per fare chiarezza abbiamo consegnato delle lettere ai nostri vicini per spiegare la situazione. Lì era diventato invivibile. Le persone si erano messe in testa che eravamo dei delinquenti. Naturalmente crediamo che molte di queste diffamazioni arrivano da persone ben precise che han deciso di renderci la vita impossibile: probabilmente gli stessi nostri parenti erano arrivati a conoscere nuovamente il luogo di abitazione, e non erano certamente rimasti con le mani in mano[20].

In pratica la vita in paese è divenuta opprimente per mancanza di verità e di delucidazioni di chi ne aveva il compito; in giugno '05 partiamo da casa. Nell’attendere l’intervento di una qualche autorità, alle nostre varie richieste, cerchiamo un nuovo posto dove vivere e rifarci una vita. Lo stesso avvocato, ci aveva consigliato di andarcene.

Passiamo l'estate a vivere in tenda, cerchiamo un posto fuori dal Veneto per nostra tutela. Ma la nostra storia è difficile ed è evidente che necessità l'intervento dell'autorità e della giustizia. Così non ci arrendiamo, scriviamo altri documenti alla Procura della Repubblica. Chiediamo anche delle indagini alla Procura Militare, per il comportamento anomalo dei carabinieri. Scriviamo varie raccomandate [20b] e Fax chiedendo sempre un intervento urgente indipendente alle indagini. Scriviamo a vari comuni italiani la nostra storia, interessiamo persone ed associazioni.
In Settembre '05 scriviamo una prima versione di questa lettera pubblica e la pubblichiamo in internet. Inviamo la nostra storia ad alcuni giornali nazionali.
Ci accorgiamo che le nostre pagine non compaiono nei motori di ricerca internet. Così le poniamo su altri server italiani. Notiamo che nemmeno qui escono nei motori di ricerca, mentre altre pagine simili escono normalmente. Ci viene il dubbio della censura[21]. Il dubbio diventa una certezza quando scopriamo altri elementi. Ci viene il dubbio che molte nostre email con richieste di aiuto siano state fatte sparire. A questo punto è lecito pensare di tutto, soprattutto dopo tutti i documenti persi e/o sottratti presso la Procura della Repubblica.

Nella prima metà ottobre, con gli ultimi soldi rimasti giungiamo nuovamente a Roma e scriviamo pure un fax di aiuto al senatore Pedrini indirizzato a Palazzo Madama (vedi fax...) Non ci risponderà nessuno.  Ormai i nostri soldi sono finiti, senza aver trovato un lavoro e senza che nessuno sia intervenuto.
Chiediamo un aiuto urgente al comune di residenza, ma questo non si farà sentire.

Verso fine ottobre giungiamo a Marone, in provincia di Brescia dove vi rimarremo fino al 23 dicembre '05 vivendo nella piccola tenda igloo che da giugno era diventata la nostra casa . Siamo fermi presso una famiglia.

La tenda non è attrezzata per passare l'inverno.  Sopravviviamo grazie a delle bottiglie di plastica che riempiamo di acqua calda due o tre volte durante la notte, e che ci teniamo all'interno del sacco a pelo. Abbiamo riempito dei sacchi di nylon con delle foglie secche e li utilizziamo come tappettini per isolarci dal terreno. Alle volte è impressionante sentire l'esterno del sacco a pelo ghiacciato. Durante la giornata passiamo a setaccio tutti i paesetti intorno per cercare un aiuto. Parliamo con alcuni sindaci, assistenti sociali, parroci della zona di Marone, Sale Marasino, Sulzano, Pisogne, Lovere, Iseo.
La nostra situazione non è risolta perchè i comuni non possono aiutarci perchè non siamo residenti. Il nostro comune non ci aiuta. In quelle condizioni riusciamo solamente a sopravvivere. Il nostro metabolismo rallenta, riusciamo a vivere mangiando molta pastasciutta o riso. Il pane è una rarità. Facciamo dai 8 ai 15km al giorno perchè non abbiamo i soldi per i bus. Siamo comunque puliti perchè abbiamo la doccia calda e la possibilità di fare il bucato. Mangiamo all'aperto, anche la sera. Riceviamo delle "sportine" di cibo a seconda dell'occasione. Alcune volte patiamo la fame. Riusciamo ad avere in qualche occasione un aiuto in denaro che usiamo con molta cautela per comprare qualcosa di più consistente da mangiare, per comprare le bombolette di gas del fornelletto da campeggio e per collegarci ad internet nella biblioteca di Sale Marasino.
L'isola di Loreto, sul lago d'Iseo,  vista dall'interno della tenda
Il 28 di ottobre '05 ci fermano pure i carabinieri per strada, ci vedono quasi ogni giorno percorrere a piedi con due zainetti un tratto di strada di circa 5 km che separa Marone da Sale Marasino e il 28 eravamo in "missione" per andare a recuperare qualcosa da mangiare presso le suore di Oasi Madre Francesca (località Portole) e per cercare lavoro. I carabinieri ci chiedono perchè non siamo al lavoro, dove andiamo e dove alloggiamo  oltre naturalmente a chiederci i documenti di riconoscimento. Spieghiamo brevemente al maresciallo Renda la nostra situazione e chiediamo un aiuto pure a loro[23]. Spieghiamo la vicenda degli esposti persi in procura, la questione dell'auto in leasing rimasta da consegnare e i nostri timori di essere denunciati per furto. Ci rispondono che non è di loro competenza, ci fanno gli auguri. Uno di loro ci dice che al massimo se ci denunciano per furto verranno loro a dircelo. Rimaniamo per un attimo lì in strada e poi riprendiamo la marcia, direzione suore, anche perchè quel giorno eravamo a pancia vuota ............ ma ai carabinieri non interessa questo particolare e noi dobbiamo arrangiarci.
Fondamentale in Novembre '05 fu l'aiuto di don Francesco di Pisogne, il quale aprì il portafoglio e ci diede quello che aveva, forse anche di più di quello che poteva, e ci rincuorò di insistere  con la giustizia. Con quei soldi facemmo delle spese decenti e comprammo anche della carne. Ci aiutò anche una seconda volta grazie all'intervento di un conoscente. Poi però rimase senza soldi pure lui, e dovette inchinarsi a chiedere al parroco, che non era di buon cuore (infatti aveva fatto chiudere la Caritas di Pisogne, come aveva egli stesso affermato durante una celebrazione liturgica).

In queste condizioni il 9 di Novembre '05 ci arriva per posta elettronica un  fax, dalla Procura della Repubblica di Roma,  in risposta all'unico esposto da loro ricevuto, il quale corrisponde alla settima raccomandata inviata. Il PM attesta che che i precedenti esposti non sono pervenuti, sono perciò sottratti o smarriti!.
Rimaniamo sconvolti dal testo del fax, tanto che lo rileggiamo alcune volte per capirne il significato. Nonostante la cattiva notizia, notiamo che nel documento ricevuto vi è indicato il numero diretto del  fax del PM. E' la prima volta che qualcuno ci scrive e finalmente abbiamo un sistema per comunicare con un PM scavalcando la procedura delle raccomandate o del deposito presso l'ufficio "primi atti" ! 
Ci rechiamo con il fax dal difensore civico della comunità montana di Sale Marasino per chiedere un aiuto in merito. Il difensore civico, che era venuto a conoscenza della nostra vicenda durante un colloquio precedente avvenuto l'assistente sociale, si rifiuta di darci qualsiasi indicazione dicendo che non ha tempo per noi perchè non siamo residenti ed il servizio è solamente per i residenti! Non sappiamo cosa fare visto che pure i carabinieri ci avevano detto che non erano cose di loro competenza.
Non ci resta che arrangiarci e grazie ai soldi di don Francesco di Pisogne spediamo subito alcuni fax al PM, una lettera prioritaria e una lettera raccomandata contenente il riepilogo dei documenti sottratti e invitandolo, a tenerla d'occhio perchè non sparisca. Pensiamo che il Fax non sia intercettato e speriamo, superato l'ostacolo, che l'autorità interverrà di lì a poco: in fondo sono stati loro a perdere i nostri documenti, e dunque ora dovrebbero prendere in seria considerazione il nostro caso urgentemente.
Di tutti i fax, e lettere che indirizziamo direttamente al PM non riceviamo però nessuna risposta e nemmeno una conferma di ricezione, che chiediamo e ci attendiamo ragionevolmente, visti tutti i problemi di sottrazione dei documenti..  Passano i giorni e non vi è risposta e continuiamo a vivere in tenda. All'epoca non avevamo nemmeno la più pallida idea di che fine vessero fatto questi ultimi documenti e fax. . Scopriamo solamente molto più tardi verso fine marzo 2006 cosa veramente fosse successo. Purtroppo il magistrato di Roma ignorò completamente le nostre richieste di aiuto e usò il fax per chiudere il caso. (click per il dettaglio sulle comunicazioni con il PM - documento pdf)[24]

Passano i giorni e tutto tace ed è difficile pure darsene una ragione. Verso la fine di  novembre '05 il tempo utile della giornata si accorcia. Viene buio molto presto, è più freddo. Alla mattina ci vuole più tempo per alzarsi, occorre aspettare  fino a quando esce il sole e comincia a scaldare. La pulizia personale, il bucato, fare da mangiare richiede molto più tempo che in condizioni normali. Far da mangiare con il fornelletto da campeggio è un'impresa difficoltosa. Il tutto si svolge sulla riva del lago che mitiga il clima, e rende la situazione meno pesante da vivere.
La tenda era piantata pressochè sull'acqua, completamente assorbiti nell'ambiente, tra le anatre e i gabbiani che erano venuti a svernare. Fu questa situazione all'interno della natura che ci aiutò a rimanere tranquilli.
  La tenda con il ghiaccio
Facciamo anche l'esperienza della neve e del ghiaccio . Durante la notte i nostri sacchi a pelo erano ghiacciati esternamente e alcune volte aspettavamo il  sole mattutino che riscaldasse la tenda per accumulare il calore. L'assistente sociale del nostro comune e l'assessore invece ci snobbavano, dicendo che dovevamo andare a lavorare e che dovevamo finirla di goderci la vita, andando a gironzolare per il mondo, aspettando i contributi del comune. Nonostante le nostre richieste disperate, non ci diedero nessun aiuto mentre noi giorno per giorno ci vedevamo la morte in faccia.

In dicembre '05 un sindaco della zona, su nostra insistenza, cercò  risposte presso il nostro comune: ci vedeva sfiniti e fu mosso a compassione: ci siamo sentiti rispondere che dovevamo tornare in Veneto, le famiglie d’origine ci stavano cercando…..in fondo una piccola lite in famiglia si può superare…….Il sindaco era stato invitato a non aiutarci e a non trovarci lavoro, neanche per lavare il pavimento, perché dovevamo tornare………..
Spiegato al sindaco i gravi motivi del distacco dalle famiglie d’origine, questi si preoccupò, ma  non ne volle più sapere.  Questo intervento del sindaco fu almeno fondamentale per capire i motivi per i quali nessuno ci offriva un aiuto in zona: avevano tutti ricevuto disposizioni di non aiutarci![25].

Verso il 20 di dicembre proviamo ad interessare il sindaco di Marone: questo ci promette di chiedere spiegazioni al nostro comune in forma scritta, per il resto non ci può aiutare perchè non siamo residenti. Non otterremo nessuna risposta ed anche questo  sindaco non volle più averne a che fare[26].
Finalmente Il 23 di Dicembre '2005 troviamo ospitalità presso l'Istituto Profamiglia di Sale Marasino, ed il giorno di Natale siamo invitati come ospiti a pranzo di una comunità di recupero per i tossicodipendenti[27]: siamo stati trattati molto bene, abbiamo trovato non solo cibo ma molto calore umano. È stata anche un’occasione per scambiare esperienze di vita e chiedere consiglio e aiuto.

Le nostre scarpe sono usurate a fine 2005
Impossibile trovare un lavoro in queste condizioni!
Rincuorati da nuove prospettive e dall'impegno personale di alcune persone conosciute in quei giorni affrontiamo sotto una nuova luce le prossime feste.  Subito però compaiono nuove ombre. Il 24 dicembre mattina, i carabinieri si  recano dalla famiglia che ci teneva il posto per la tenda perchè devono consegnarci delle notifiche[27b]. Non ci trovano perchè dal giorno prima ci eravamo trasferiti nell'istituto di suore. Constatano che vivevamo effettivamente  in tenda come avevamo dichiarato, la famiglia stessa dice ai carabinieri che pure a loro sembrava impossibile: ogni mattina temevano di trovarci congelati. Della visita dei carabinieri riceviamo la notizia per telefono. Siamo molto turbati e decidiamo di andare in caserma, dopo le feste per non rovinarci il Natale. Sicuramente sono delle rogne e possono aspettare!  Anche la Polizia Ferroviaria  di Brescia, alla quale avevamo chiesto consiglio, intese che i carabinieri avevano avuto un eccesso di zelo.

Il 27 dicembre nella stradina del supermercato troviamo il sig. Luigi. Poco dopo, uscendo dal  market, notiamo che pure la proprietaria esce per vedere che strada prendiamo. Alcuni minuti dopo troviamo i carabinieri che ci fermano per strada, era buio e non avevamo notato che erano loro, tanto che pensavamo a dei ladri e stavamo scappando, ma appena capito chi erano siamo tornati indietro. Ci hanno informato che vi erano delle notifiche e che dovevamo andare in caserma il prima possibile. Ma il giorno dopo avevamo fissato un appuntamento con la Caritas di Brescia con la dottoressa Lombardi ed era da un mese che aspettavamo. Lasciammo loro il nostro numero di telefono cellulare al maresciallo.
Qualche giorno dopo entrando sempre nello stesso market del paese, siamo stati sbattuti fuori dalla proprietaria: dopo una lunga discussione con il figlio di questa, ci è stato detto che “non eravamo graditi”. Certo, con noi non hanno fatto mai grandi affari (le uova o un po’ di latte), ma ci hanno sempre trattato con fin troppo ossequio, anche solo se ci vedevano camminare per il paese. A questo punto fu chiaro che erano stati loro a  spedirci  dietro i carabinieri. Non sappiamo come interpretare l’evento, addirittura ci assicurarono che il problema non era per un eventuale furto e ci dissero pure che le cose lì erano peggio della Sicilia[29]!
Da questo evento scoprimmo due particolari importanti: la proprietaria era di origine veneta, come noi, e uno dei due carabinieri di pattuglia  era dei nostri luoghi, ovvero della stazione di carabinieri dell'incidente di marzo '05, che avevamo denunciato in seguito ai fatti di Marzo 2005. Denuncie che non avevano mai avuto seguito perchè erano state smarrite e/o sottratte[30].
La cosa ci preoccupò parecchio, non ci sentivamo tutelati dalle forze dell'ordine, e ci sembrava che quella rete invisibile che ci aveva causato tanti danni, avesse una chiara influenza pure sui carabinieri. Fu una delle sensazioni più brutte mai avute in vita nostra, accompagnata da un senso di impotenza e di ingiustizia. Nessuno ci avrebbe mai creduto. Eravamo completamente emarginati, il comune di residenza ci aveva lasciati morire di fame e di freddo, gli altri comuni non si interessavano al caso. I giornali non avevano voluto pubblicare nulla sulla nostra storia, i nostri esposti e denunce sottratti. Avevamo la netta sensazione che se fossimo morti, si sarebbe inventato qualcosa per insabbiare tutto, come era già successo nell'incidente di marzo 2005, con tanto di controllo pilotato delle notizie della stampa. La nostra vicenda sarebbe stata etichettata come un "caso sfortunato".

Durante le feste natalizie, il parroco don Firmo Gandossi ci fissa un appuntamento con un suo fedele avvocato. Inizialmente tale incontro doveva avvenire il 3 di Gennaio 2006, poi spostato al 10. Fu il motivo per chiedere ai carabinieri di andare a vedere queste notifiche dopo aver parlato con l'avvocato. I carabinieri ci spingevano ad andare il prima possibile, ma noi a seguito dei fatti accorsi precedentemente, avevamo completamente perso la fiducia nell'arma. L'avvocato però non si rese disponibile per tutte le questioni, e voleva assolutamente che lasciassimo perdere la storia di tutte le nostre denunce perse. Per noi era un'idiozia, perchè così avremmo finito per autoaccusarci di vari reati che erano scaturiti, senza averne colpa,  indirettamente per conseguenza, oltre a rinunciare a chiedere tutela per chi ci ha minacciato direttamente riguardo alla nostra stessa vita.
Cercammo anche altri avvocati ma nessuno voleva prendere in mano la nostra causa.

Nel frattempo a Sale Marasino capitano altre vicende negative: inspiegabilmente comincia a circolare la voce che siamo senza documenti di identità.  Le suore ci chiedono i documenti, ma vogliono che andiamo in centro del paese con loro a fare le fotocopie. Noi non riusciamo a capirne i motivi. Capiamo solamente in seguito che l'azione delle suore mirava a dimostrare pubblicamente che avevamo i documenti, e la fotocopia nel negozio del paese era il modo di rendere noto a tutti la notizia, senza parlare.
Alcuni negozi si erano allineati al market che ci aveva sbattuto fuori. Per prendere delle schede telefoniche fummo costretti ad andare in un altro paesino. Venimmo a sapere che nel paese vi erano varie faide, con tanto di schieramenti di famiglie, percosse, avvelenamento di cani e gatti.... un ambiente più siciliano che del nord Italia.

Le suore per "aiutarci", ci mandarono anche una loro veterana, famosa per la sua praticità (Suor Serafina che aveva preso il premio Bontà a Brescia). Questa suora arrivò all'istituto convinta che noi eravamo delinquenti,  con a seguito una persona abituata a trattare con omicidi ed ergastolani (Federico Margini).
Casualmente ascoltiamo un colloquio preliminare tra queste suore e l'esperto in criminali, a loro insaputa: eravamo all'interno della cappellina a pregare e loro non si sono accorti della nostra presenza.
Ne sentimmo di cotte e di crude, cose che non sarebbero mai emerse senza quella fatalità, cose completamente folli.
Parlarono di noi come di delinquenti pericolosissimi e sovversivi: erano state consigliati, forse dagli stessi carabinieri, di mettere delle microspie per capire cosa avevamo in mente. Dissero inoltre, con tono grave, che scrivevamo in Internet con uno pseudonimo[31] e si chiedevano quali intenzioni avevamo. La situazione era tra il ridicolo e il grave. Ad un certo punto sentendo tante oscenità siamo usciti a spiegare esattamente le cose.
Il signore portato dalle suore capì che non eravamo delinquenti, e ci consigliò di andare all'estero a rifarci una vita, ad esempio in Francia passando dalla Svizzera, oppure di sparire all'interno di qualche "comunità" come Mondo-X.

Verso fine  febbraio prendemmo la decisione di chiedere aiuto alla Polizia. Ci recammo nel commissariato del Carmine a Brescia. Il poliziotto ci consigliò di fare una denuncia-querela il prima possibile, di fare una tabella riepilogativa di poche pagine con tutti i reati, e di presentarla in Veneto. Quando lesse alcuni passi dei nostri esposti ci chiese perchè ci eravamo rivolti lì, che :- " questo è solo un piccolo commissariato, che cosa credete che possiamo fare noi per queste cose, noi siamo abituati a cose normali: furti, rapine e omicidi-". Scoprimmo che eravamo andati su uno dei quartieri più noti della città per il grado di delinquenza. In realtà ci sentivamo molto più sicuri rispetto a  Sale Marasino da dove venivamo, in quella situazione di calma apparente.

Seguimmo il consiglio del commissario. Appena scritta la denuncia-querela andammo in questura, non in Veneto, perchè con i soldi non ci arrivevamo proprio. In questura parlammo con un poliziotto veneto che stentava a crederci,  i dubbi si dissiparono  mostrandogli  i documenti ed alcune prove di quello che dicevamo.
Ci ha mandati subito a parlare con il vicequestore dottor Acquaviva. Era venerdì sera, e dopo il colloquio il vicequestore ci fece tornare lunedì, perchè vi era a disposizione un ispettore superiore di polizia giudiziaria molto in gamba. Il vicequestore aveva ben capito che la nostra vicenda non poteva essere risolta da un avvocato.
Il lunedì facemmo la denuncia-querela in questura, depositando anche tutti i documenti che erano andati persi in Procura. In quei giorni patimmo la fame perchè i pochi soldi che avevamo in tasca ci servivano per i biglietti del treno: addirittura facemmo parecchi km a piedi.  I giorni successivi tornammo a visitare la comunità di tossicodipendenti, e con alcuni pranzi ci ristabilimmo. Ci aiutò anche una signora della San Vincenzo di Pisogne.

Ad una settimana dalla denuncia fummo sbattuti fuori dalle suore, proprio l'anniversario del nostro matrimonio[32]. Ci dissero che erano d'accordo con il maresciallo dei carabinieri, che però in quei giorni era diventato irreperibile, perchè tornato al sud in seguito alla morte del padre. Sbattuti in strada andammo a chiedere aiuto al sindaco di Sale Marasino.. Il sindaco ci disse che era stato informato dai carabinieri riguardo alla nostra presenza nel territorio comunale.Cosa esattamente gli comunicarono non lo sappiamo; sappiamo solo che il sindaco aveva delle idee molto distorte su di noi. Ci trattò da pelandroni, come gente che non ha voglia di lavorare. Ci disse che gente giovane e sana come noi doveva lavorare. Ci mancò sicuramente di rispetto, anche perchè non poteva sapere nulla sulla nostra condizione di salute, non avevamo più fatto controlli, eravamo sfiniti e in uno stato che aveva mosso a compassione il sindaco di un altro paese. Noi lasciammo anche i nostri curricula[33], ma nemmeno lui ci trovò lavoro pur essendo inserito in molti contesti, presidente di aziende estere ed italiane, anzi non ci rispose più nemmeno per email.
Per alcuni giorni fummo ospitati da delle persone, poi però per paura di controlli e ripercussioni sulla loro attività ci dissero che non potevamo più restare[34].
Dovevamo andare alla Caritas ed essere separati nel dormitorio maschile e femminile, a vari chilometri di distanza, e nemmeno si sapeva se vi era posto. E poi fare la fila per la mensa, la fila per le doccie .......la fila per sopravvivere, divisi. Una vita dunque da barboni, dalla quale difficilmente si esce una volta entrati[35]. La Lombardi, ancora nel colloquio del 28 dicembre, non ci aveva prospettato altro, probabilmente aveva ricevuto lei stessa delle informazioni alterate sul nostro conto, come il sindaco di Sale. Avevamo avuto una brutta impressione di questa soluzione, così tentammo per le vie della Provvidenza.
Partimmo e passammo quasi una settimana fuori Lombardia prima da una parte e poi da un'altra: ci ospitammo anche con abbondanza di cibo. Però si trattava di soluzioni temporanee di uno o due giorni. E comunque attendevamo la telefononata del sindaco, che ci aveva promesso un colloquio di lavoro nell'arco di un paio di giorni, ma ciò non avvenne. Sbarcammo infine a Verona dove un prete ci diede 40 Euro, e ne approffitammo subito per prendere il treno per Roma, per vedere i motivi per i quali il PM non ci aveva più risposto.

In quella settimana, passata fuori dai soliti luoghi, avevamo avuto il modo di riflettere e di appurare come la Caritas, la comunità di recupero tossicodipendenti, le suore, il sindaco fossero tutti influenzati dai carabinieri e dal nostro comune di residenza. Purtroppo molti fili erano tirati in maniera illegale da quelle reti che ci avevano reso la vita impossibile in Veneto  Anche qui si verificò dunque la situazione paradossale di come una istituzione si renda complice del crimine, perchè il comportamento adottato dai vari "enti" è in linea con questa rete contraria allo Stato, e di come queste organizzazioni "mafia-style" utilizzino a proprio uso e consumo il comune, la Caritas, i carabinieri e quant'altro facendo credere che sia tutto normale e logico, un po come quello che  è accaduto per il calcio, facendoci credere, anche a suono di moviole in TV, che tutto era andato in una certa maniera.
Non era stato gradito da nessuno il nostro ricorso alla Polizia. Ci siamo resi conto come in quei mesi passati in riva al lago tutti sapevano tutto su di noi e non facevano nulla, come  tutti avessero un'idea falsata sulla nostra vicenda. Ci siamo resi conto come in un certo senso, eravamo prigionieri di quel posto, riuscivamo appena a sopravvivere, e probabilmente molte persone avevano ricevuto disposizioni di non aiutarci. Si fingeva che eravamo ospistati dalle suore in un bell'appartamento, e che non avevamo problemi di cibo perchè le suore ci davano tutto il necessario.
In realtà eravamo ospitati in uno sgabuzzino, il bell'appartamento noi l'avevamo solamente visto, era sopra di noi, ed era sempre rimasto vuoto e inutilizzato. Le suore aprivano le finestre quando veniva gente e noi avevamo ipotizzato che era proprio per far credere che noi vi eravamo ospitati. Anche il prete don Bruno  ne era convinto. Fu proprio quella convinzione che lo portò a fare dei discorsi con le suore in una zona dell'istituto in cui era convinto che non lo potessimo sentire. Il prete non accettò mai un confronto con noi, non ci diede mai la possibilità di esporre la nostra verità, e di mostrare documenti o fotografie che comprovavano quello che andavamo dicendo. Rimase sempre con la sua opinione e ci fece molto male, sia alimentando cattive lingue sia impedendoci di accedere ad altri aiuti. Questo prete era quello che il 28 di Ottobre ci spedì dietro i carabinieri invece di aiutarci, ci trattò da delinquenti e fece pressioni sulle suore perchè ci mandassero via. In quel paese ci hanno insegnato questo proverbio: "la sai la storia del topo di dispensa? Quello che lui fa degli altri lo pensa".  

Insomma a noi poteva accadere qualsiasi cosa, e come accade in queste situazioni, ti possono fare quel che li pare. Se fossimo morti sarebbe stato un incidente e non sarebbe stata colpa di nessuno. Appena usciti dalla Lombardia ci sentimmo come due persone appena sfuggite ad un attentato: eravamo rimasti solamente con i vestiti che indossavamo, ma ringraziavamo il Signore di essere ancora vivi, e la nostra vita era stata il nostro bottino[36].

A Roma cercammo un aiuto perchè avevamo speso i soldi per il treno. Passammo per fortuna solo poche ore  in stazione, perchè  anche a Roma la situazione è peggiore di qualche anno addietro. Ora non ci si può nemmeno chiudere un occhio seduto, se passa il carabiniere ti sveglia e devi rimanere dritto ed esibire il titolo di viaggio. Sembravano i vecchi tempi del militare. L'Italia sembra diventata un regime più che un paese libero, si rimpiangono i vecchi tempi del sacco a pelo a Venezia, almeno come idea di libertà.
Passiamo la giornata a chiedere aiuto a Roma, veniamo inviati da una parte all'altra della città, alla fine troviamo da dormire dentro un piccolo capitello del gas in una zona nascosta, davanti al cancello delle suore di Madre Teresa (senza che loro lo sappiano) nella zona del Celio. Il giorno dopo abbiamo più fortuna e riusciamo ad avere un aiuto in denaro e andiamo all'ostello.
Riusciamo a sistemarci e all'indomani andiamo in Procura di piazzale Clodio. Scopriamo che la Procura di Roma ha assassinato l'unica possibilità che ci era rimasta, ovvero di presentare tutti i documenti sottratti e/o smarriti utilizzando come canale diretto il procedimento aperto dal PM, correlato all'unico esposto pervenuto.
Il procedimento invece era stato chiuso all'inizio di gennaio 2006, senza regolare processo. Tutto era stato archiviato, senza che fossimo presenti, senza essere avvertiti, senza metterci nelle condizioni di esporre il caso, nonostante le nostre richieste, senza preoccuparsi di reperire i documenti che erano stati sottratti e/o smarriti. Come dire senza preoccuparsi del contenuto dei nostri documenti, ovvero di trovare quali nostre testimonianze scritte avevano scatenato una così perfetta diligenza nel far sparire tutta la documentazione inviata, compresa l'ultima raccomandata inviata il 21 di Novembre[37] anticipata da un fax che ne avvertiva l'invio, e chiedeva una particolare vigilanza.
Questo decreto d'archiviazione era nascosto dietro gli uffici di cancelleria. Non doveva emergere nulla, tanto noi dovevamo essere morti là vicino al lago, o bloccati nei dormitori della Caritas oppure essere usciti di senno.
Siamo riusciti ad averne una copia nonostante non fossimo avvocati.  Volevamo parlare con il Gip, ma non ci fu consentito.

Scandalizzati dal contenuto, siamo andati via da Roma con quel decreto di archiviazione che abbiamo considerato come un bottino di guerra perchè, secondo noi, dimostra eclatanti errori oggettivi e contraddizioni che mettono in evidenza paradossali incongruenze tra le dichiarazioni del PM e del GIP. Contraddizioni ed errori che non si sarebbero avuti con un regolare procedimento e con la nostra presenza, presenza contemplata nell'ottica di un sano e legittimo esercizio del fondamentale diritto alla difesa. Si tratta dunque secondo noi di una grave lesione nei nostri confronti sul piano dei diritti civili ed umani.
Secondo noi vi è stato anche un grave tradimento contro lo Stato Italiano, per non aver indagato sul contenuto dei documenti sottratti, perchè la sottrazione  di tali documenti è avvenuto all'interno di importanti istituzioni,  inibendo il potere dello Stato a favore di altri poteri, ovviamente contrari ed incompatibili.
E' indubbio, secondo noi, che si tratta di sottrazione di documenti, non è invece da considerarsi plausibile lo smarrimento[38] in quanto scientificamente secondo le leggi statistiche non vi può essere un'incidenza così elevata, da definirla "smarrimento".
Infatti lo smarrimento presuppone che l'evento sia del tutto fortuito, mentre la sottrazione prevede che vi sia un comportamento specifico, sistematico e non dovuto al caso. Visto quanto dichiarato dal PM relativamente al numero di documenti sottratti e/o smarriti, tale numero testimonia statisticamente che ci si trova davanti al reato penale di sottrazione. Un reato gravissimo se si pensa che è stato compiuto all'interno della Procura della Repubblica di Roma. Cosa che sembra essere accaduta pure a Milano e in prefettura.

Durante un procedimento è  diritto fondamentale poter  far pervenire qualsiasi testimonianza, dichiarazione o memoriale. Questo ci è stato impedito in due maniere. Non ci è stato permesso di far pervenire tale documentazione in nessuna maniera, nonostante nostra esplicita richiesta sul fax inviato e pervenuto al PM! In secondo luogo non siamo stati avvertiti e non siamo stati posti nelle condizioni di essere presenti, per fornire nostre testimonianze, difesa e documentazione sottratta.


A Roma non riusciamo a trovare aiuti, con il nostro bottino (il decreto di archiviazione sballato) cerchiamo fortuna in un'altra regione.

Arriviamo ad Assisi

A fine Marzo 2006 troviamo aiuto  ad Assisi. In questo nuova regione abbiamo sperimentato, oltre al silenzio della Polizia,  un "impantanamento" simile a quello accaduto in Lombardia. Anche ad  Assisi sono accadute cose poco piacevoli.




[1] Il discorso è molto complesso e articolato. Ci limitiamo per ora ad indicare alcuni elementi.

[2]
Le vicende legate al nostro lavoro e all'azienda sono approfondite nella seconda parte di questo documento.

[2a] Particolare importante non lasciamo il numero civico di casa.

[2b]Casi del genere si ripeterono più volte. E' interessante notare le dichiarazioni fatte dall'assistente sociale riportate nella nota generale [N1]

[3]
Riteniamo che, doversi per legge riferire ai carabinieri del paese di residenza, per ogni tipo di questione, sia un errore. Si corre il rischio di andare a parlare con l'amico del cugino di tizio  .........

[4]Non ci è stata rilasciata nessuna ricevuta in proposito, e non conosciamo nemmeno i nomi delle persone con cui abbiamo parlato. Quando siamo tornati in quella stazione il 05 Maggio 05 per cercare di parlare ancora con le stesse persone,  non ci è stato possibile.

[4b]
Prima del recente scandalo sul mondo del calcio, emerso dall'indagine svolta dai PM Beatrice e Narducci della Procura di Napoli, non pensavamo che il fenomeno fosse così  radicato, ed avevamo sottovalutato l'importanza delle nostre testimonianze e delle relative conseguenze..
[5]Sui motivi leggere il documento "il comune non ci aiuta"

[5b]Per comprendere introduciamo  alcuni aspetti relativi alla situazione umana vissuta e patita.  Quattro euro di spese per la raccomandata significava ad esempio rinunciare a un kg di pane, un kg  pasta e pomodori e per noi erano diventati fondamentali pure i spiccioli.
 

[6]Le varie vicende sono collegate. Si fa qui solo menzione.




[8]Eravamo già stati minacciati in proposito
.. Abbiamo un video mp4 che nessuna autorità ci ha mai permesso di consegnare (come elemento di prova).

[9]Si trattava di un nuovo  c/c, non centrava nulla con quello della società. Il bancomat ci fu consegnato dopo 4 mesi. Più avanti fummo costretti ad aprire un c/c in un'altra regione.


[10] Questo contributo non aveva niente a che fare con la nostra situazione economica o con le richieste di aiuto. Ovviamente divenne la nostra ancora di salvezza. La nostra pratica fu persa. Qualcuno si rifiutò pure di eseguire degli ordini dei superiori. E' un pò la copia di quello che accadde in Procura.



[11] Fu chiaro solamente molto tempo dopo che nessuno intervenne perchè i nostri documenti erano stati persi e/o sottratti in Procura.  .

[12]Questo discorso è complesso vedere in proposito il link

[12b]Quando in maggio '05 ci recammo all'ufficio URP della Prefettura/Provincia tali documenti non risultavano da nessuna parte. Probabilmente avevano subito la stessa sorte degli altri: sottratti e/o smarriti

[12c] Ormai per noi era diventato consuetudine trovarsi in situazioni del genere. A dimostrazione di ciò sono rimasti tutti i fax e le documentazioni inerenti








[12d] In paese non conosceva nessuno il nostro cognome, eccetto il parroco e un'altra persona.



[13]Fatalmente uno dei due carabinieri è originario del nostro paese di nascita. Ci disse che non è bene fare nomi sugli esposti. Conosce i nostri parenti.

[14] Chiediamo un'apertura d'indagine alla Procura militare
per fare chiarezza sulla vicenda.


[14b] Varie persone con cui abbiamo parlato riguardo le nostre vicende  ci hanno risposto allo stesso modo: non sta bene fare nomi e cognomi sugli esposti, anche se, scrivendoli, non abbiamo infranto alcune legge. Deve essere una di quelle regole non ufficiali, scolpita nelle mente di tante persone.

 [15] Per mesi fummo convinti erroneamente delle possibilità relative al gratuito patrocinio. Parlando con il maresciallo avevamo inteso che solamente per i discorsi penali si poteva avere diritto al gratuito patrocinio dell'avvocato. In realtà poi la cosa fu una delusione perchè l'avvocato s'interessò solamente del caso specifico e non dell'intera vicenda. L'avvocato ci invitò a denunciare il maresciallo dei  carabinieri


.
[16] Durante l'estate del 2005 ci fu un incidente grave con la morte di una ragazza minorenne. Anche in quel caso il maresciallo tentò di dimostrare che l'incidente era dettato da motivi psicologici, ipotizzando un suicidio. Seguimmo la vicenda dai giornali. Abbiamo notizia di altri casi che seguirono sempre lo stesso iter, cioè un'interpretazione psicologica del caso, più che un tentativo di reale ricostruzione dei fatti.

[17]   Non sappiamo se dopo l'estate '05 siano arrivati documenti della Procura di Milano. Tramite fax, email o telefono non è comunque arrivata nessuna comunicazione. E' da notare che accanto alla denuncia vi era la richiesta di un intervento urgente, perchè a seguito di tutte le vicissitudini elencate nei documenti smarriti eravamo rimasti senza più nulla, oltre che in grave pericolo. Alla Procura di Milano inviammo pure una copia dei fascicoli che erano stati smarriti a Roma. Nel 2006 avvertimmo per email vari PM della Procura di Milano mettendoli al corrente dei fatti,  chiedendo delucidazioni in merito. Non ottenemmo nessuna risposta se non un "mi dispiace". Non ci fu proposta nessuna via  su come far arrivare i documenti a Milano o a Roma visto che le vie ufficiali anche a Milano erano bloccate, sussistendo lo stesso vizio di Roma (sottrazione e/o smarrimento sistematico di tutti i documenti inviati).

[18] Depositammo i due fascicoli presso l'ufficio primi atti, subito dopo la constatazione che i documenti precedentemente inviati erano stati ri-smarriti e/o ri-sottratti. Ci presentammo allo sportello, sul finire dell'orario. Notammo però che i nostri fascicoli erano stati posti da una parte, invece altri documenti erano stati portati in un'altra stanza. In quell'istante abbiamo temuto che anche quei documenti sarebbero stati smarriti e/o sottratti, e da quanto confermato dal PM a novembre '05 ciò è veramente avvenuto. Sembrava inoltre che le persone dell'ufficio primi atti ne conoscessero già il contenuto: non volevano accettarli perchè non riguardavano fatti accaduti a Roma. Noi rispondemmo: "come fa a saperlo?"

[18b] Solo recentemente, con lo scandalo del calcio e l'inchiesta partita da Napoli sulla FIGC ci siamo resi conto di quanto importanti fossero le persone nominate.

[18c]La nostra scoperta storica invece di darci gloria, ci portò molte noie. Il parroco del paese ci invitò a desistere, perchè ci voleva troppo coraggio, e perchè c'erano delle famiglie che non gradivano. Il comune lasciò nascosta tutta la vicenda. A Ferrara ci furono chiuse le porte anche all'accesso di  materiale storico. La nostra scoperta, per il maresciallo dei carabinieri, era evidentemente il frutto di due menti malate. Individuò uno di noi due come un  mitomane e di lì è nata l'idea di far fare una visita psichiatrica, naturalmente senza verificare i fatti. Il precedente incarico del maresciallo era situato nel ferrarese: bisognerebbe verificare se possa avere attinenze con i problemi da noi riscontrati a Ferrara. Oppure se si tratti persona ciecamente convinta delle sue conoscienze, al punto da  dare del pericoloso a chi presenta tesi diverse dalle sue, senza nemmeno un riscontro sulle fonti.

[19].Non sappiamo che fine abbiano fatto questi ultimi documenti. Non è da escludere che siano spariti nuovamente. Un'altra ipotesi potrebbe essere che la prefettura si sia basata sulle ipotesi fatte dal maresciallo senza verificare i fatti.

[20].E' da ricordare che uno dei carabinieri intervenuto la sera dell'incidente era del nostro paese di nascita e conosceva i nostri parenti.
[20b].In un ufficio postale ci accorgiamo in maniera del tutto fortuita,  che una lista con i dati di tutte le raccomandate inviate in giornata da quell'ufficio , compreso il mittente, è segnalata ai carabinieri. Constatiamo dunque che i carabinieri sono informati e possono operare un controllo sull'invio di tutte le lettere raccomandate.
[21] Il dubbio diventa una certezza facendo delle analisi approfondite sul caso.




[22]Scopriamo che la proprietaria è di origine veneta e che ha molte proprietà nel paesetto

[23]Probabilmente i carabinieri erano stati "avvertiti" di due persone pericolose che giravano per quei luoghi. Da quello che abbiamo potuto constatare successivamente, tale segnalazione era stata effettuata dal curato del paese al quale ci eravamo rivolti la sera precedente, per chiedere un aiuto. Il curato non solo ci diede delle informazioni sbagliate invitandoci a lasciare il paese il prima possibile, ma ci trattò pure da delinquenti. Verificammo successivamente che vi era un certo collegamento tra i carabinieri ed il curato: quest'ultimo poi non ci vide mai di buon occhio, anzi ci trattò in più di un'occasione da delinquenti. L'intervento dei carabinieri avvenne probabilmente su sollecito del prete, il quale voleva sbarazzarsi di noi il prima possibile.  Il curato fece infatti delle pressioni sull'istituto di suore che in seguito ci ospitarono, perchè ci mandassero via. Sul motivo di questa ostilità nei nostri confronti abbiamo fatto due ipotesi plausibili. O aveva avuto delle pressioni a sua volta da qualche persona esterna, oppure vi era qualcosa da nascondere in paese, e noi eravamo elementi di disturbo.
 

[24]
Scopriamo molto più tardi, in Marzo 2006, proprio per dichiarazione del PM, che anche la lettera raccomandata inviata il 21 di Novembre '05  sarà smarrita e/o sottratta. Consigliamo di leggere attentamente il documento di dettaglio in PDF










[25] A seconda dei casi venivano inventate delle situazioni plausibili da presentare al malcapitato che telefonava al nostro comune. In alcuni casi si lasciava intendere che eravamo fannulloni, in altri casi matti e in altri delinquenti. Quando non si riusciva con le buone si dissuaseva il malcapitato facendogli capire di evitare intromissioni.

[26] Riteniamo che la risposta indiretta del nostro comune si concretizzò con la visita dei carabinieri del 24 Dicembre. Chiedemmo più volte al sindaco se gli erano pervenute delle novità. Non ci rispose.

[27] si era discusso se la comunità poteva in via occasionale ospitarci temporaneamente. Questo non era possibile perchè non eravamo tossicodipendenti o alcolizzati. Sono delle situazioni paradossali che si verificano quando si applica la legge in maniera disordinata e senza buon senso.

[27b] La situazione è paradossale! Siccome le nostre denuncie erano andate perse, erano andati perduti anche i motivi per i quali eravamo stati costretti a fuggire dal Veneto, o i motivi per i quali non potevamo aver ottemperato a determinati obblighi di legge. Così queste notifiche non erano altro che procedimenti contro di noi. Dunque  davanti alla legge eravamo diventati colpevoli di vari reati. Immaginatevi ad esempio che vi rubano l'auto e andate a fare regolare  denuncia. Immaginatevi  che tale denuncia viene persa e che con la vostra auto compiono un furto. Alla fine voi risultate l'imputato del furto perchè l'auto vi è intestata mentre non risulta nessuna denuncia di furto. Immaginatevi anche di mostrare le copie della denuncia e che vi si dica che  non è di competenza. Immaginatevi inoltre di essere spinti ad accettare le accuse e di lasciar perdere i motivi d'innocenza.


29] Constatammo che il paese era diviso in due "fazioni" in guerra tra di loro. Come emeriti deficenti, andando a mangiare in comunità ci eravamo inimicati l'altra parte. Ne venimmo a sapere di tutti i colori sul paesetto. Fu anche il primo paese dove assistemmo a molti funerali di Domenica, tanto che lo battezzammo con il nome  "paese della morte".

30] Fu un vero shock ritrovarci ad avere a che fare con un carabiniere dei nostri luoghi . Avevamo lasciato il Veneto ed eravamo andati in un'altra regione per rifarci una vita e per non vedere più le stesse facce, soprattutto dopo aver denunciato alcuni di loro.
Figuriamoci se volevano aiutarci!

31]
Le suore potevano aver appreso dello pseudonimo dalla Caritas, dal comune di residenza o dai carabinieri. Non era uno pseudonimo, ma semplicemente l'indirizzo di posta elettronica (giannina1971@libero.it). Di conseguenza le brutte idee che si erano fatte su di noi venivano da queste persone.  Le suore propagarono queste idee per il paese, ed anche questo determinò in una certa misura la nostra impossibilità a trovare lavoro. Tutto questo spiega anche il comportamento di alcune persone che non vollero più aiutarci dopo la disponibilità resa inizialmente.


32] Alla vigilia di Pasqua 2005 i carabinieri si presentarono per volerci far firmare un verbale sostanzialmente falso. Alla vigilia di Natale 2005 si presentarono alla tenda per portarci delle notifiche. Il maresciallo disse che le aveva nel cassetto da due settimane. In quelle settimane avevamo avuto l'occasione di incontrare l'auto dei carabinieri quotidianamente.
L'anniversario del nostro matrimonio avevano invitato le suore a spedirci in strada! Di conseguenza in ogni festa importante ci aspettavamo un "blitz"  guastafeste. Dal  film "Alla luce del Sole" su don Puglisi, avevamo compreso che c'è chi ha il vizio di fare la" festa" il giorno del compleanno.


[33]Mostrammo i nostri curriculum al Sindaco, ricchi di esperienze lavorative in vari campi. Chiedemmo al sindaco come si poteva considerare lavativi delle persone che avevano gestito un'azienda per dieci anni, abituati ad essere imprenditori e anche lavoratori e abituati a lavorare molte ore, ma capaci di adattarsi anche a lavori i più umili!
[34]Dopo alcuni giorni ricevettero una telefonata. Era la prima volta in tanti anni che venivano avvertiti di un'ispezione fatta in settimana.

[35]
Questa era stata l'unica soluzione prospettataci dalla Caritas. Pur famiglia sia sotto l'aspetto civile e cattolico, non vi fummo riconosciuti. Ci dissero che altre soluzioni come un appartamento temporaneo ce le potevamo sognare, "voi  volate troppo in alto, ragazzi" ci disse mancandoci pure di rispetto perchè ragazzi non lo siamo più da tempo. Questo colloquio era stato fatto ancora il 28 di Dicembre 2005 e noi eravamo rimasti solamente amareggiati da quell'incontro. Noi speravamo che per le famiglie vi era la possibilità di un aiuto particolare, anche se temporaneo, per reintrodursi nella vita sociale tramite un lavoro.

[36]
Avevamo lasciato nel posto le nostre valige e le borse perchè non potevamo portarle con noi. Pensavamo di lì a pochi giorni di tornare a riprenderle ma non ci fu possibile. A Verona, il giorno di partenza per Roma, trovammo una persona che intuì la nostra condizione, e ci diede alcuni vestiti, scarpe e due borse di roba da mangiare, tutte cose che ci furono fondamentali, e ci servirono per andare vestiti in maniera decente in Procura nei giorni successivi.



[37]Lo smarrimento di questa ulteriore raccomandata è documentato dallo stesso PM con il fax di inizio Aprile 2006..




















[38]
Se fosse normale la situazione verificatasi nel nostro caso, occorerebbe ammettere che in Procura della Repubblica, a fronte di 100 denuncie presentate,  ne vengano perse novanta, e questo dovrebbe accadere normalmente a tutte le persone che depositano tali atti. Ricordiamo che l'unico nostro  esposto arrivato aveva di particolare, rispetto a tutti gli altri, un mittente fittizio, diverso dal nostro. Se consideriamo solamente i documenti inviati con il nostro nome la percentuale di smarrimenti corrisponderebbe al 100%. Occorre inoltre sottolineare che il caso (o la "sfortuna") non riesce a leggere il nome. 





































La nostra azienda/attività

N.B: i nomi delle persone utilizzati nel documento sono inventati  per consentirne l’anonimato.

La nostra Software House, dalla metà degli anni ’90,  ha iniziato il progetto di un Sistema Software per l’Industria. Dal 1997 vi è stato un intenso lavoro in sinergia con un’industria che denominiamo Alfa S.r.l.  Dal 1998 cercavamo un marchingegno elettronico da affiancare al nostro software, e la Alfa S.r.l. ci presentò una ditta della “massima fiducia”  che denominiamo Stalker Elettronica S.r.l.
L’Alfa S.r.l. comprava le licenze del  nostro sistema software man mano che venivano prodotte, mentre noi rimanevamo i proprietari esclusivi del software, dei sorgenti e di tutti i diritti relativi al progetto. In questa forma di sinergia potevamo costruire un sistema solido, testato e aderente alla realtà industriale; d’altro canto l’Alfa S.r.l. era seguita in maniera del tutto particolare e riusciva ad avere delle procedure molto specifiche. Questo tipo di rapporto consentiva, ad una società piccola come la nostra, di affrontare le pesanti spese di un corposo progetto Software. Le competenze vi erano, mancavano solamente i finanziamenti, che in questa maniera tuttavia pervenivano senza precluderci la proprietà completa del progetto [1] . Avevamo compiuto uno studio serio in proposito e un’analisi di marketing, il tutto incluso nel business plan della nostra azienda.
Dal ’98 si  erano intensificate le  relazioni con  l’Alfa S.r.l. tanto che si erano prospettate le basi di vari accordi futuri e la possibilità di creare una struttura comune, per commercializzare il prodotto finito.

Torniamo alla presentazione della Stalker S.r.l. prima del 2000, da parte dell’Alfa: ad aprile del 2000 ci arriva il primo preventivo dalla Stalker. Il preventivo viene accettato all’inizio di giugno 2000 e si da il via libera. Il primo prototipo, secondo gli accordi doveva essere consegnato in settembre del 2000. La cosa era fattibile perché la parte hardware esisteva già, si trattava solamente di costruirne il software specifico.
La Stalker S.r.l. in settembre invece di consegnarci il prototipo ci rimanda la consegna prima in ottobre, poi in novembre, poi in dicembre. Noi nel frattempo avevamo degli ottimi potenziali clienti, ma dobbiamo far slittare la vendita di conseguenza. Il lavoro del terminale inizia effettivamente alla Stalker all’inizio del gennaio del 2001. Il primo prototipo funzionante ci verrà consegnato in luglio 2001 a 11 mesi dalla data prevista. Il lavoro è parziale e viene eseguito un po’ di perfezionamento e sistemati alcuni bugs. Ad ottobre 2001 però il dipendente della Stalker che seguiva il progetto si licenzia, per andare a lavorare in un’altra azienda ed il nostro terminale resta incompleto. Continuiamo a chiedere il completamento del software e la sistemazione dei bugs, ma ciò non avverrà mai.
La situazione ci crea grossi danni economici.
Nel 2002 riusciamo comunque a vendere alcuni marchingegni unitamente al nostro Software, seppur con funzionalità ridotte. Ma dopo un anno tutti i marchingegni elettronici uno dopo l’altro si bruciano. E’ una pessima pubblicità.
Nel frattempo l’Alfa S.r.l. ritorna indietro sui suoi passi: un cambio generazione ai vertici della società farà cambiare gli accordi o almeno così ci viene detto. Così i costi del progetto del terminale, che dovevano essere sostenuti dall’Alfa S.r.l., vengono invece a pesare in gran parte su di noi.
Fu così che nel 2002 decidiamo di accettare una commessa di lavoro dalla Stalker S.r.l, proprio per coprire con altre entrate le perdite dovute al malfunzionamento del terminale e la relativa mancata vendita. La Stalker, che era nostro fornitore, diventa dunque anche nostro cliente. La commessa propostaci dalla Stalker è molto interessante: riguarda un software per una multinazionale con possibili sbocchi nel mercato estero. Naturalmente la Stalker non è una software house, e riesce ad ottenere la commessa probabilmente attraverso qualche conoscenza.
Fu durante questo lavoro che la Stalker cominciò a comportarsi in maniera poco professionale, offensiva e oseremo dire “patologica”. Comunque riusciamo a finire il lavoro e consegnarlo, ma non avrà l’iter previsto per motivi a noi indipendenti e legati alla multinazionale e probabilmente alla Stalker. Addirittura il corso di addestramento all’uso del software, che non era incluso nel contratto, viene fornito da noi gratis, contro ogni accordo iniziale. Diciamo che in qualche maniera siamo stati costretti a farlo per avere quanto ci spettava.

Nel 2003 la Stalker ci forza di fare un software per la sua gestione interna: ci propone sempre grande  collaborazione e pubblicità oltre che a presentarci direttamente dei clienti, per avere il nostro lavoro ad prezzo molto basso. Ormai crediamo poco alla Stalker, ma non abbiamo altra possibilità: inoltre speriamo almeno di poter capire cosa succede a quello che ci vendono.
Il “boss” della Stalker ci dice in maniera folkloristica che se non gli facciamo il programma, se ci trova in giro ci prende sotto in macchina. Inizialmente pensiamo che queste dichiarazioni siano solamente delle espressioni colorite, dette in tono scherzoso, ma poi dopo essere entrati in fabbrica da loro ci accorgiamo che non c’e’ da scherzare.
Non riusciamo più a svincolarci da questa brutta situazione. A settembre ‘03 consegniamo una prima  versione, ma la Stalker non riesce a seguire l’introduzione del software in azienda, perché appena trasferita su un nuovo capannone. Inoltre l’ingegnere che se ne occupa non conosce l’azienda, è giovane ed assunto con un contratto di formazione.
La Stalker in pochi anni aveva avuto un incremento pauroso della propria attività, ma a ciò non era seguita un’organizzazione interna efficace. Così all’interno della Stalker vi era il Kaos, occorreva codificare tutti gli articoli, fare delle analisi, organizzare il reparto produttivo, gli acquisti, il magazzino, le vendite, le pianificazione, i progetti. Il boss era molto lunatico, cambiava idea continuamente, non offriva collaborazione ed era molto scontroso al limite delle minacce: questo succedeva  pure con i suoi fratelli comproprietari. Vi erano degli scontri tra i fratelli amministratori della Stalker e noi ci siamo trovati proprio in mezzo. A completare il quadro vi era un ingegnere, nostro referente, assunto con contratto di formazione, con una preparazione scolastica. Tale ingegnere non conosceva proprio l’azienda in cui lavorava: faceva da “tappabuchi” ai molti lavori necessari, dalla preparazione del sito internet dell’azienda, alle stampe per i clienti, alla fiera… (Stalker puntava molto sul risparmio, ben oltre ogni ragionevole limite, ad esempio chi aveva “costruito” il nostro marchingegno si era licenziato perché prendeva una paga misera).
La Stalker comincia ad avere mille pretese, non previste dal contratto.
Scoprimmo sempre in quel periodo che un socio della Stalker aveva dei legami di parentela con un socio dell’Alfa S.r.l.
Scoprimmo inoltre sempre in quel periodo due fatti importanti: L’Alfa S.r.l. andava a dire in giro che la nostra società era loro. Pure la Stalker S.r.l. faceva intendere di avere la proprietà del nostro Sistema Software.  Questo lo scoprimmo semplicemente tramite le azioni di marketing e contatto diretto con i clienti o altre aziende, in vista di collaborazioni.
La Stalker cominciò a bombardarci di telefonate, fax ed email. Ci telefonava pretendendo il nostro intervento presso la loro sede senza compenso e quando decidevano loro.
Così noi dovevamo andare alla Stalker su comando e sentirci continuamente cambiare le specifiche o i progetti, con il ricatto/promessa dei marchingegno che ci doveva definitivamente sistemare.
Si era creato un clima insostenibile e venimmo trattati da schiavi.
Abbiamo cominciato a chiedere che tutte le comunicazioni avvenissero per iscritto, perché le telefonate erano assillanti, ma anche per avere documentazione scritta a prova di quanto detto.
Vi erano delle vere e proprie intimidazioni, non vi era più alcun ragionamento logico, né per quanto riguarda i contratti né per quanto riguarda la discussione di una specifica tecnica. Cominciarono a paventarci cause legali.
Tentammo fino in ultima di risolvere la questione pacificamente: avevamo invitato la Stalker presso i nostri uffici per discutere della questione, poiché negli ultimi tempi temevamo per la nostra incolumità il recarci presso la loro sede. Inoltre chiedevamo un reale segno di serietà della Stalker nel venirci incontro: notare che noi eravamo stati presso la sede della Stalker innumerevoli volte, mentre la Stalker non venne mai presso i nostri uffici.
Nel 2004 le cose peggiorarono e vi furono delle altre minacce. In maggio 04 andammo così a segnalare la cosa dai carabinieri. In settembre 2004 ricevemmo delle minacce anche da altre persone presso il nostro ufficio e in ottobre 2004 siamo andati dai carabinieri.
In dicembre 2004 teniamo duro, e sviluppiamo l’ultima parte del Software per l’Alfa S.r.l., anche se ormai era già avvenuta la violazione di domicilio con cambi di serratura presso la sede della nostra società.
Da uno dei soci dell’Alfa ci sentiamo dire che se falliamo loro compreranno i sorgenti a basso prezzo, all’asta, e uno di noi potrebbe andare a fare l’operaio da loro, e se c’e’ bisogno di modificare il programma potrebbe farlo durante il tempo libero.
Dopo che si riprendono il software per una miseria, pensano anche di protestare presso la Stalker, perché quel marchingegno che hanno prodotto “fa proprio schifo, e l’Alfa è una ditta seria, e non si vuole tenere cose che non funzionano”.
Sembra che il fallimento della nostra società sia stato già deciso e progettato, come pure l’acquisto del software e le relative spartizioni.

Alla fine comprendiamo che è tutto un gran raggiro: i padroni dell’Alfa S.r.l. avevano delle parentele con i padroni della Stalker S.r.l.. L’Alfa S.r.l. aveva sparso la voce che la nostra società era loro e la Stalker  faceva intendere che aveva la proprietà del nostro sistema Software
Queste dicerie, insieme al mancato completamento del terminale da parte della Stalker, ha posto la nostra società in ginocchio. Inutile è stato il nostro tentativo di uscire dalla situazione: ci hanno ridotto volutamente in miseria, anche per impedire che ci possiamo difendere.
Ad un certo punto la Stalker ha voluto darci il colpo finale facendoci una causa legale con dei motivi senza fondamento, tanto sapeva bene la nostra situazione economica e da noi non poteva avere proprio nulla. L’Alfa S.r.l. aspettava il fallimento per comprarsi  il software all’asta fallimentare.
L’Alfa  ha l’intero sistema aziendale sotto il nostro software: dall’inserimento dell’ordine alla stampa dei certificati di conformità al controllo avanzamento produzione. Doveva avere qualche asso nella manica per sentirsi così sicura di avere e di averci sotto controllo, nonostante il male causatoci.
Infatti è come se l’Alfa si aspettasse di averci come operai, e come programmatori a tempo perso, certa che non avessimo altre possibilità o potessimo intraprendere altre vie, inclusa una seria azione legale.
Ben sapevano che eravamo ridotti in miseria, senza da mangiare e senza possibilità di difenderci. Sia l’Alfa S.r.l. sia la Stalker erano informate della nostra situazione e sembravano infierire ancora di più su di noi, come chi si avventa su un indifeso (un socio dell’Alfa S.r.l. ci prestò comunque di tasca sua 150 Euro per mangiare).

Avevamo concentrato tutti i nostri sforzi nell’ultimo periodo del 2004 per vendere o tutta la società o l’intero progetto ad un’altra software house. In questa maniera ci saremmo liberati di tutti i problemi. A tal proposito eravamo in contatto con diverse aziende, anche estere.
Quest’ultimo obiettivo è stato vanificato dal fatto che siamo stati chiusi fuori dagli uffici della società, a causa della violazione di domicilio con cambio di serratura, in concomitanza alle minacce ricevute in quel luogo. Le autorità che noi abbiamo interpellato non sono mai intervenute perché i nostri documenti (esposti e/o denuncie) sono stati smarriti e/o sottratti in Procura della Repubblica. Non ci è più stato possibile svolgere le operazioni previste per legge,ne tanto meno fare la contabilità.
Abbiamo proposto di acquistare l’intero progetto anche a due nostri clienti, a tale proposito li abbiamo informati precisamente della situazione. Uno di questi, La Gamma S.r.l.  invece ha approfittato delle informazioni che gli abbiamo fornito per usarle contro di noi, probabilmente per mettersi nella mischia di quelli che volevano prendersi il Sistema Software. Queste persone si sono presentate pure sotto casa in Marzo 2005. Per trovarci  hanno bussato ad ogni porta della via del paese,  urlando a gran voce il nostro cognome.  Come la Gamma S.r.l. sia riuscita ad avere l’indirizzo personale non si sa, crediamo non lecitamente
Meno male che avevamo detto alla Gamma S.rl. che avevamo paura della Stalker e che vivevamo nel paese quasi nascosti, e che là non ci conosceva nessuno ed era meglio così..

Per dieci anni abbiamo lavorato ad un prodotto che dovevamo vendere, rimandando i proventi alla commercializzazione vera e propria. Le vendite sono slittate a causa principalmente della Stalker S.r.l. e poi siamo stati messi in ginocchio, probabilmente attraverso un piano ben architettato, e ci è stato rubato tutto il lavoro. Lo Stato è rimasto a guardare, anzi noi crediamo che lo Stato sia molto labile da queste parti, ed è per questo che certe persone possono permettersi di fare il bello e cattivo tempo.

Queste società si sono avventate contro di noi come su un animale ferito, senza pietà. Non hanno desistito nemmeno davanti alle nostre sofferenze umane. Eravamo rimasti senza auto, chiusi fuori dalla società, senza lavoro, senza soldi, minacciati e con le nostre richieste di aiuto perse in Procura della Repubblica e loro lo sapevano. Si sono comportate come animali selvaggi che fiutano l’odore del sangue, senza nemmeno guardare effettivamente nemmeno ai loro interessi.
La caduta della nostra Software House voleva dire anche la caduta del sistema software da loro in uso: almeno per noi era difficile vederne la continuazione da parte azienda senza il nostro appoggio, almeno iniziale.
La Gamma S.r.l., L’Alfa S.r.l. e la Stalker aveva avuto un’offerta per comprare il nostro Sistema Software con relativo progetto ad un prezzo molto basso, e poterlo dunque rivendere, ma nessuno ha accettato.
La mancata accettazione voleva dire comunque per loro un danno più grosso, ma tanto erano sicure di avere il software all’asta e poterselo spartire, per non avere il minimo dubbio di procedere come hanno fatto.

Quando facevamo i lavori presso queste aziende, i proprietari, avevano tutti nel loro computer personale le fotografie dei propri figli come sfondo del monitor. Ci chiedevamo perché tanto odio e perché tanta costanza nel volere distruggere delle persone e la nostra famiglia. Noi avevamo sempre lavorato duro e fatto tutti i lavori a regola d’arte. Essi volevano solamente rubare quello che era stato fatto, perché si deve rubare, perché è così la mentalità di molte persone. Tanto lo sanno bene che lo Stato non c’e’, che lo Stato non protegge e ne approfittano.

La cosa non è finita lì, perché quando vi fu la violazione di domicilio presso i locali della nostra società, ancora in dicembre 2004 vi fu pure il cambio della serratura, così non potemmo più entrare. Non potemmo più fare nemmeno la contabilità e nessuna attività commerciale e produttiva. Addirittura non potemmo più consegnare il modem Adsl alla Telecom. Non avevamo  nemmeno i contratti, l’atto costitutivo, le fatture e i DDT. Tutto era rimasto apparentemente intatto  al di là delle vetrate, eccetto lo scatolone con le nostre cose personali: trafugato, probabilmente per trovarne chissà quale contenuto o presumibilmente per trovare il luogo della nostra residenza personale. Dentro i locali furono chiuse pure tutte le documentazioni che ci servivano per difenderci nelle cause legali fatte dalla Stalker. Inutile dire che l’autorità non intervenne mai per riaprire quella porta e per aiutarci, perché i nostri documenti erano stati persi e/o sottratti in Procura della Repubblica (Click per dettaglio). Ma non una volta, non due e non tre, diciamo in maniera ripetuta e continuata. Probabilmente poi vi si è messo di mezzo pure lo sfratto. Ad oggi non sappiamo nemmeno cosa sia successo là in quell’ufficio e alla nostra società, perché da un certo punto abbiamo cominciato a vivere dentro una tenda con i beni della provvidenza, aspettando un aiuto e continuando a chiedere e a inviare richieste e documentazioni sul caso alla Procura della Repubblica, al Presidente della Repubblica e ad altri enti e organismi. In alcuni giorni abbiamo patito la fame e il freddo.
Naturalmente poi vi è la beffa perché uno di noi è amministratore ed è stato accusato di varie cose, ad esempio la Telecom. Vi era un’auto in leasing che non è stato possibile consegnarla, ferma da tempo, anche se abbiamo avvertito del fatto la società di leasing. Le banche che non si sono più viste restituire i fidi di cassa. Le diffamazioni……..
Insomma in Italia c’e’ proprio qualcosa che non va, sembra proprio che abbiamo toccato qualche potere forte che sta distruggendoci la vita, bloccando tutte le nostre pratiche, il nostro diritto alla difesa, alla vita, i diritti come cittadini e lo sta facendo tranquillamente trattando tutte le istituzioni dello Stato come nullità.
Così il problema non è in Calabria o in Sicilia o in Veneto. Il problema è nazionale: pensare che noi avevamo scritto a Roma perché pensavamo che da noi in Veneto avrebbero insabbiato tutto.

 





La scoperta storica sugli Estensi
Nel 2004 scoprimmo che in una frazione di Baone (PD) erano nate due Beate della casata Estense ovvero di Beata Beatrice II Estense e Beata Beatrice III Estense e regina d'Ungheria, e forse pure San Contardo (patrono di Broni, PV).
Il paesino non sapeva che tanta grazia nel 1200 aveva toccato i suoi colli: si conosceva solamente la figura di Beata Beatrice I d'Este nata ad Este, provincia di Padova. E tutt'ora là si conosce solamente la triste realtà delle antenne abusive sul monte Cero.
La nostra scoperta avvenne nell'agosto del 2004, subito dopo essere tornati da Medjugorje: fu un evento per certi aspetti casuale. La scoperta ci sembrò pure l'occasione di avere qualche entrata economica alternativa. In Settembre la nostra scoperta maturò con la venuta alla luce di altro materiale. In particolare risultò fondamentale il libro del benedettino Faustino Mostardi[E1], con un intero capitolo dedicato alla frazione di Baone ed a quella Luce che si degnò di visitarla.
La pregevole opera del Benedettino che aveva dimostrato, tramite atti del catasto e altro materiale, quanto noi vi stiamo dicendo.
La nostra scoperta e ricerca non ebbe però vita facile. Nel comune vi erano delle "forze" contrarie che non desideravano che tali notizie emergessero. Il comune fu informato, anche pubblicamente, ma non si mosse in tale direzione. Anzi con le nostre orecchie nel 2005 sentimmo delle chiacchiere: si diceva vi fossero "persone che andavano a raccontare storie su Santi e Beati, chissà con  quale intenzione politica e sovversiva". Insomma in quel paese vi furono delle vere e proprie diffamazioni contro la nostra persona.
A Ferrara, dove esiste ancora oggi il Monastero fondato nel 1200 da Beata Beatrice II Estense, non vedono di buon occhio le nostre ricerche , probabilmente perchè Beatrice viene considerata santa ferrarese. Addirittura, il comune di Ferrara, dopo vari mesi, risponde ad una nostra lettera con una email, ove si evidenziava che Ferrara ha già un gruppo di studiosi e ricercatori, e che tutte tre le Beatrici erano "cosa loro" (testuali parole della mail). Comportamenti analoghi li abbiamo riscontrati in tutti gli ambienti di Ferrara.
Nel monastero di Sant'Antonio in Polesine, che si trova all'interno delle mura di Ferrara, vi sono altri importanti documenti, ai quali noi però non abbiamo potuto accedere, pur avendo fatto richiesta più volte alle suore. Addirittura ci fu un prete della Curia di Ferrara che disse che nella biblioteca del monastero, vi erano alcuni documenti che erano rimasti là ancora dai tempi del Mostardi[E2] prestati al Mostardi, e più rientrati.

La nostra scoperta per il maresciallo dei carabinieri, probabilmente dotto di quello che si dice a Ferrara, era evidentemente il frutto di due menti malate, o pericolose. Naturalmente senza verificare i fatti.

Ci rimangono infine ben pochi dubbi sul fatto di aver messo le mani, proprio con la nostra scoperta-ricerca , su qualcosa che scotta. A Modena abbiamo verificato, presso l'archivio di stato, come in pubblicazioni recenti vi siano grossolani  errori. A Ferrara vi è la particolare propensione a considerare gli Estensi a proprio appannaggio, anche per questioni economiche. A Baone forse il patrimonio storico va a cozzare con gli interessi sulle cave locali o sui siti di antenne abusive.

Per approfondimento sulla ricerca seguire il link: http://digilander.libero.it/memorie

[E1] Il libro intitolato "Beatrice II Estense" fù edito nel 1962 dalla Fondazione Cini con sede all'Isola di San Giorgio a Venezia. Il libro poi finì chiuso in biblioteca a causa della morte successiva del monaco presso il Monastero di Sant'Antonio in Polesine a Ferrara.


[E2] Trattasi di atti del catasto dell'archivio della Curia




Note generali:
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[N1]Durante un colloquio telefonico del 01 dic 2005  l'assistente sociale del comune di residenza ci fa notare che ci era stato offerto un lavoro, ma non l'avevamo accettato: dice che è ben informata. Ebbene, in novembre ha chiamato una società per reclutare personale per fare corsi per il computer. La cosa grave è questa: dopo un anno  in cui non siamo riusciti a trovare uno straccio di lavoro, ci arriva una proposta di cui il comune è a conoscenza? E fino ad ora che non ci è arrivato nulla? C'è qualcuno con la paletta, come il vigile urbano, che dirige le opportunità di lavoro? Purtroppo quell'unico lavoro non era attuabile:  non vi erano i soldi per spostarsi nella sede dell'appuntamento, il corso esigeva apertura di partita iva, cosa non possibile.  Stranamente era la prima telefonata ricevuta in relazione ai curriculum inseriti in internet ancora un anno prima, la sola ed unica telefonata! Non è questione per lamentarsi, non abbiamo mai creduto tanto in questi sistemi,  avevamo comunque cercato lavoro anche in questa maniera. Ci sembrava comunque strana quella telefonata, dopo tanto tempo di silenzio.
Solo ora forse riusciamo a dare una spiegazione.  Per la cronaca, il lavoro consisteva nel tenere dei corsi di Office a 60Euro+Iva al giorno. La cosa era fattibile, anche se il lavoro era poco remunerativo, tenendo conto che essendo un lavoro con partita iva poi occorreva avere un commercialista, tenere la contabilità e quant'altro inerente.
Comunque sia, la cosa è di per se è inquietante, perchè, se il comune è riuscito a far muovere una società di Milano, attraverso lavoro.org  non è ragionevole pensare che possa anche aver bloccato qualsiasi proposta di  lavoro? La cosa è inquetante!
[N2] Secondo una rielaborazione successiva degli eventi accaduti in quei giorni abbiamo ipotizzato che il maresciallo era in possesso della nostra prima testimonianza rilasciata ai carabinieri in data 05 ottobre 2004. Quella testimonianza era scottante, tanto da doverla invalidare in qualche maniera. La nostra tesi è confermata indirettamente anche dalla sparizione dei documenti in Procura della Repubblica, per la quale abbiamo una dichiarazione scritta del PM che attesta appunto la sottrazione e/o smarrimento secondo l'art 616 del codice penale. Per noi si tratta evidentemente di sottrazione di documenti perchè statisticamente è impossibile che vi sia un'incidenza del fenomeno così elevata dovuta a eventi casuali (si tratta di una questione scientifica, non psicologica). Appena accaduto l'incidente si è prospettata l'opportunità di etichettare le persone come matti con l'obiettivo di rendere le precedenti testimonianze nulle e invalidare così gli esposti e mettere tutto a tacere. A Tal proposito il maresciallo, pur di non sua competenza, fece una diagnosi psichiatrica su di noi, senza nemmeno vederci in faccia. La cosa gli è sfuggita di mano perchè noi abbiamo cambiato aria  i giorni seguenti e siamo tornati solamente dopo parecchi giorni. Solamente in occasione delle notifiche delle querele . Se fossimo rimasti in zona non sarebbe mai emerso questo particolare.  Noi stessi abbiamo visto la dichiarazione che aveva fatto, sulle carte dell'assistente sociale (fu un caso, una brezza leggera spostò alcuni fogli che teneva in mano l'assistente sociale). E' sospetto inoltre il fatto che nei giornali non si è minimamente parlato dei documenti persi, della questione della giustizia, della dinamica reale dell'incidente. E' sospetto inoltre il comportamento dei carabinieri che volevano inserire tutti e due nel verbale facendo passare la vicenda per un problema familiare. Per noi  questo comportamento aveva pure lo scopo di etichettare entrambi come matti, in modo da annullare completamente le nostre testimonianze, infatti gli esposti e/o denuncie erano stati sottoscritti e firmati da entrambi. Noi abbiamo chiesto un'apertura di indagine alla Procura Militare per fare chiarezza sulla situazione. Purtroppo nel luogo ove ci siamo spostati per rifarci una vita, in un'altra regione in un piccolo paesetto ci siamo ritrovati un carabiniere delle nostre parti. E' anche questo un caso? E' da notare che alcuni  carabinieri di quella stazione sono stati condannati dalla Procura Militare per non aver eseguito il regolamento e la notizia era apparsa sul giornale. Noi nutriamo rispetto per i carabinieri. In particolare ci ha impressionato la figura del Generale dalla Chiesa ed in particolare alcune considerazioni tratte dal suo diario personale, è per questo che esigiamo lo stesso rispetto.
[1]
Purtroppo in Italia chi ha competenza e capacità deve andare all’estero per riuscire a fare qualcosa di concreto. In Italia non si riescono a trovare i finanziamenti per i progetti pur validi. Alla fine i finanziamenti e pure le idee confluiscono in qualche maniera solamente alle grandi aziende, le quali riescono ad influenzare la classe politica o gli enti che dovrebbero erogarli oppure riescono a mangiarsi le piccole aziende. Ad esempio vi è il caso “Google”, la cui fortuna è dovuta in gran parte ad un’idea  italiana. Secondo noi il problema è che l’Italia ha una mentalità troppo “mafiosa” nel senso esteso del termine (esempio, gente incompetente assunta per motivi “di ossequio”).



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