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Annona e giustizia

Si può innanzitutto cominciare sgombrando il campo da quelle che non erano competenze del contado, e che invece spettavano altrove agli enti intermedi: vale a dire l'aspetto annonario e quello giudiziario. I contadi non funzionarono mai, nemmeno nel '600 e nel '700, durante la loro maturità, come strumenti di decentramento in questo senso1.25.

Per quel che concerne il secondo aspetto ciò equivale a dire che i contadi, anche nella loro principale materia, cioè il fisco, non furono mai dei tribunali. Anche le cause fra comunità, infatti, non venivano mai discusse in seno ai contadi: questi ebbero piuttosto, nel Seicento, poteri speciali per le «essecutioni», cioè la riscossione forzata dei carichi1.26. Dare, del resto, poteri di giudizio sulle cause fiscali ai contadi avrebbe significato rallentarne in modo preoccupante l'attività, oltre che modificarne la natura, dato che i contadi non erano nati come tribunale ma, all'opposto, come ``parti'' in causa. In tal senso si poteva ben dire, anche in un periodo di piena emancipazione dei contadi, che «per intelligenza del sudetto è da sapersi, che gli contadi sono le terre sottoposte alla giurisdittione delle cittadi»1.27. Intendendo la «giurisdittione», strettamente, come sottoposizione al «Maggior Magistrato» per le cause di alta giustizia (nonché per tutti i cittadini), anche se al proposito andrebbe meglio analizzata l'attività di alcuni Podestà rurali dei grandi borghi che, se pur nominalmente dipendenti dal feudatario erano in pratica delle emanazioni della comunità, e come ci risulta ad esempio per Gambolò furono spesso utilizzati dal contado per imporre il proprio punto di vista in diverse questioni.

Riassumendo la questione, si può dire che l'evoluzione dei contadi, nel Seicento, andò nel senso della riscossione, e non certo in quella della trasformazione in organo giudiziario. Lo stesso apparato, dunque, come vedremo, si modificò (o, meglio, si precisò) in tal senso, specializzandosi da un lato nella conduzione di ``liti'' con varie parti, tra le quali la Città non occupava più il posto preminente (si può parlare invece di una ``pluralizzazione'' dei soggetti coinvolti); dall'altro, si adattò alla necessità di dover «scodere» in condizioni sempre più difficili (aumentarono, quindi, i poteri dell'apparato riscossore, cioè del ``Commissario'').

Per quanto riguarda l'annona il discorso è più complesso. Alcuni territori veneti, in effetti, avevano acquistato delle competenze annonarie, come quello bresciano, cui era stata assegnata una «limitazione», cioè l'incombenza di condotte fisse di cereali in Città1.28. Questo aveva prodotto, fra le altre cose, la creazione di «officiali delle biade» in seno al contado, che aveva assunto funzioni di controllo dell'approvvigionamento. In Lombardia, invece, la complessa logistica del rifornimento e anche del controllo faceva capo alla Città, e non abbiamo allo stadio attuale degli studi notizia di alcuno strumento simile alle «limitazioni» del Bresciano1.29. Nel Vigevanasco la materia era in sostanza delegata al Giudice delle Vettovaglie cittadino, con compiti di controllo sui prestinari cittadini e di introduzione delle biade1.30. In particolare, Vigevano aveva ottenuto fin dal quattrocento la licenza di estrarre grani dalla Lomellina, nonostante non fosse ancora Città e men che meno la Lomellina suo contado. Gli ordini, derivanti da un privilegio sforzesco sono poi reiterati in età spagnola nella forma più ampia:

E ciò senza alcun pagamento ne dritto di licenza per quello che concerne al medemo Magistrato et alli officiali, come si pratticava per il passato, et conforme si osserva, quando in un istessa provincia si conducono le biade da un luogo all'altro, godendo in questa parte la detta Città il privilegio, come se fosse incorporata con la medema Lumellina, et conforme il pratticato primo, che godesse il titolo di Città1.31

Fra l'altro, queste disposizioni contrastavano singolarmente con, invece, i regolamenti daziari relativi al commercio interno allo stesso contado, che a quanto pare non prevedevano una simile libertà fino almeno al 1739, quando fu emanato l'ordine che

Le terre [...] dovranno da qui in avanti considerarsi anche in materia daziaria tutte terre vigevanasche, e non più pavesi nè novaresi, così che liberamente tra esse, e la Città di Vigevano potranno liberamente comunicare, contrattare, andare e ritornare con ogni sorta di mercanzia in ogni tempo senza pagamento di dazio alcuno1.32

Vigevano si trovava dunque nella paradossale situazione di un contado diviso da dazi al suo interno mentre aveva libertà di importazione dalla Lomellina. Questa, d'altronde, pur costituitasi a fine '500 in contado indipendente, staccandosi dal Principato di Pavia per motivi che ancora non sono stati indagati, era un contado senza città, nella stessa misura in cui Vigevano era una città senza contado1.33. Tutto il controllo dell'annona era dunque sotto il controllo della Città, compresa la nomina degli ufficiali, e specialmente degli importantissimi «deputati alle porte», i quali avevano il compito di «descrivere li grani che vengono ad introdursi in essa Città conforme all'ordini»1.34 e che invece nel Bresciano erano incaricati del Territorio1.35.

Le competenze del contado in materia di ``vettovaglie'' apparivano, così, piuttosto ridotte. Una certa autonomia da Vigevano si ha però a Gambolò, dove la comunità disponeva di un proprio Giudice delle Vettovaglie che stabiliva le regole per l'introduzione dei grani e l'approvvigionamento del borgo1.36. Vigevano trovava dunque in Gambolò un centro di elaborazione autonoma, con un proprio ufficiale, della ``politica del pane''. Questo assieme ad altri elementi, come la frantumazione daziaria, pone grossi dubbi sulle reali possibilità di Vigevano di ben controllare l'annona al di là delle mura cittadine. Mancano infatti disposizioni relative a notificazioni di grani o di visita dei pristini, importanti strumenti di intervento sui generi annonari e che ritroviamo, come prerogativa effettivamente esercitata dalla Città per esempio nel contado di Novara1.37.


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2005-06-27