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Con Il re dell'Avana Gutiérrez narra
la storia d'amore infelice di due giovani cubani cresciuti nella
strada, che cercano nel sesso l'unica via di riscatto a una
vita di miseria ed emarginazione. Una Cuba contraddittoria:
sensuale e affamata, stremata e vitale.
***
l'inizio...
I
Quell’angolo
di terrazza era il più lercio di tutto l’edificio.
Appena cominciata la crisi, nel 1990 , lei aveva perso il suo
lavoro di donna delle pulizie. E aveva fatto come tutti gli
altri : si era procurata qualche pollo, un maiale, alcuni piccioni.
Si era fatta delle gabbiette con delle tavole di legno marcio,
pezzi di lamiera, spezzoni di travi e fil di ferro. Un po’
ne mangiavano e gli altri li vendevano. E avevano tirato avanti,
nel puzzo e nella merda di tutti quegli animali. A volte l’acqua
mancava per giorni. Allora lei sgridava i bambini, li buttava
giù dal letto appena faceva giorno e a schiaffi e spintoni
li mandava giù, quattro piani di scale, a prendere qualche
secchio di acqua da un pozzo che, incredibile ma vero, si trovava
proprio lì all’angolo, coperto da un tombino delle
fogne.
***
frammenti...
Erano
le sette di sera, ma il sole era ancora alto e rovente. Camminò
piano, e quando fu davanti all’ hotel Deauville si fermò
a riposare seduto sul muretto. C’era poca gente. Di notte
quel posto è pieno di jineteras, finocchi, travestiti,
drogati, provinciali che non capiscono niente, segaioli, venditrici
di manì, puttanieri che vendono rum e tabacco adulterati
e cocaina pura, puttanelle appena importate dalla provincia,
musicisti di strada con chitarre e maracas, venditrici di fiori,
risciò con i loro conducenti tuttofare, poliziotti, aspiranti
all’emigrazione. E ancora donne infelici, vecchie, bambini,
i più poveri fra i poveri, la cui unica occupazione consiste
nel chiedere instancabilmente l’elemosina. Quando un turista
incauto e immalinconito atterra in mezzo a questa fauna poco
aggressiva, ma furba e convincente, in genere cade in trappola,
affascinato. Decide di comprare rum o tabacco di merda, fermamente
convinto che sia tutta roba buona, originale, e si sente un
tipo davvero sveglio e fortunato. A volte nel giro di qualche
mese sposa una di quelle splendide ragazze, o si mette con uno
di quei giovani segaioli. Dopo tante prodezze il nostro turista
garantisce agli amici in patria di aver raggiunto la vera felicità,
sostiene che la vita ai tropici è meravigliosa e che
gli piacerebbe investire quaggiù i suoi risparmi e comprarsi
una casetta vicino al mare per viverci con la sua negretta graziosa
e compiacente, abbandonando per sempre il freddo e la neve e
senza più vedere le persone educate, precise, calcolatrici
e silenziose del suo paese. Cade insomma in un trance ipnotico,
ed esce dalla realtà.
“
Uhm, tutto è possibile dove ci sono i soldi” pensò
Rey. Si alzò e si avvicinò al giardiniere.
“ Socio, dammi un po’ d’acqua per lavarmi
la faccia”.
“ Quello di cui hai bisogno è una bella doccia
completa, ma con tanto di sapone e di striglia. Fatti in là,
che mi passi i pidocchi”.
“ No, non ce li ho; li ho avuti, ma adesso non ce li ho
più”.
“ Ah ah ah!”.
Rey si sciacquò la faccia e rimase a osservare il tipo.
Poi gli venne un’idea .
“ Fratello , ci sarà mica qualcosa da fare anche
per me, da queste parti?”.
“ Per te? Non credo proprio”.
“ E perché? Sono forte: ho lavorato come scaricatore,
come..”.
“ Capisco. Ma qui ci vogliono i requisiti. Questa è
Area Dollaro”.
“ Sarebbe a dire?”.
“ Area Dollaro. Non sei cubano?”.
“ Credo proprio di sì”.
“ Credi?”.
“ Uhm “.
“ Ah”.
“ E che tipo di requisiti ci vogliono?”.
“ Ecco: bisogna essere laureati, militanti del partito,
aver meno di trent’anni e parlare almeno una lingua straniera”.
“ Cazzo! “.
“ Il mese scorso assumevano venti persone, e se ne sono
presentate trecento. Tutte con i requisiti completi. Da ogni
angolo del paese”.
“ Che posti erano?”.
“ Di tutti i tipi. Io per esempio sono ingegnere civile,
sette anni d’esperienza lavorativa. E parlo correntemente
inglese francese”.
“ Un ingegnere come giardiniere? Ma è un lavoro
che potrei fare anch’io”.
“ Ma figurati! Tu non avresti la minima possibilità
di essere assunto. E adesso è meglio che te ne vada.
Nemmeno un piede ti ci lascerebbero mettere ,qui!”.
“ Sì, me ne vado, però … cazzo, è
che ho una fame boia!”.
“ No, non qui non c’è niente che possa fare
al caso tuo. Vattene ora, fila! Se ti beccano le guardie dell’albergo
ti buttano fuori con le maniere dure”.
“ Dov’è che gettano l’immondizia?”.
“ E se ti beccano a frugare nell’immondizia…
Beh, sono fatti tuoi. In quei contenitori là in fondo;
ma guarda che io non ti ho detto nulla. La cosa non mi riguarda”.
“ Cazzo, compare, lasciami vivere !”.
“ Io non ti sono affatto compare. E non ti voltare nemmeno
a guardarmi”.
***
(…)
Lei gli strofinò il petto e il collo con l'acqua di colonia,
e glielo fece diventare duro come un palo. Alla vecchia brillavano
gli occhi. Fece una faccia allegra, e in un istante sembrò
tornare indietro dai cinquant'anni che aveva ai passati, gloriosi,
venti.
"Accidenti, che bell'arnese!".
E lo afferrò con entrambe le mani, stringendolo. Gli
accarezzò le palle. Era uno splendido, grosso uccello
di ventidue centimetri, color cannella scuro, con una peluria
nera brillante. Rey non faceva sesso da molto tempo. L'aveva
messo in culo a qualche frocetto del riformatorio, ma laggiù
i finocchi non erano molto numerosi e gli altri se li contendevano
a pugni. Con grande divertimento delle checche: li faceva impazzire
vedere i maschietti picchiarsi per loro. Anche lui un paio di
volte ne aveva conquistato uno facendo a pugni, ma poi aveva
deciso che non ne valeva la pena. Certo, ogni notte si masturbava,
ma non era come un buon pompino esperto seguito da una bella
fica umida e odorosa con tanto di tette, un bel faccino dai
capelli lunghi e il culo come optional, tanto per cambiare.
E Fredesbinda era la regina dei pompini. Era sempre stata orgogliosa
della sua abilità nel succhiarlo. Se lo tolse di bocca
solo un attimo, giusto il tempo di chiudere la porta, spogliarsi,
gettare Rey sul letto e buttarglisi sopra. E riprese a succhiare.
Poi se lo mise dentro lei stessa, ansiosa di provarlo. Aveva
una fica scura, ma altrettanto risucchiante della bocca, muscolosa,
potente. Rey ebbe tre orgasmi senza perdere l'erezione, e lei
non ne aveva ancora abbastanza. Alla fine, sudati e sfiniti,
si addormentarono. Faceva un caldo bestiale, e si svegliarono
intontiti.
Mangiarono un po' di riso e fagioli. Fredesbinda gli diede due
pesos, e Rey andò a farsi tagliare i capelli. Si sentiva
bene. Aveva ritrovato la fiducia in se stesso Farsi una bella
scopata e sapere di aver soddisfatto una donna è sempre
una cosa stimolante. Rey si sentiva molto maschio. Vigoroso
come non mai.
Quando tornò dal barbiere sembrava un altro. Rasato,
coi capelli corti, gli abiti puliti e un paio di ciabatte di
gomma quasi nuove. Ma anche così dimostrava più
di sedici anni. Avrebbe potuto averne ventidue, o anche ventiquattro.
Il suo viso aveva un'espressione dura. E aveva fame, una gran
fame.
Passò una settimana. Né lui né Fredesbinda
lavoravano. Sempre chiusi in casa a scopare, mangiare e bere
rum. Le "perle" di Rey la facevano impazzire.
"Papi, ma dove hai preso queste due perle che hai sull'uccello?
Non avevo mai visto niente del genere. Tu devi essere pazzo,
mandrillone!".
Rey imparò a usare le "perle" strofinandole
contro il clitoride di Fredesbinda. E quelle due "perle"
lo trasformarono definitivamente nell'Uomo dal Cazzo d'Oro.
Poi i soldi e il cibo della vecchia finirono. Scopavano sempre
tre o quattro volte al giorno, e lei dimagriva sempre di più,
ogni giorno aveva più rughe e il collo coperto di succhiotti
violacei. Rum, sigarette, sesso e la radio per ascoltare un
po' di musica. Salsa delle migliori. Questa è vita! E
così dev'essere, sempre! Cos'altro si può volere?
***
la fine...
Quando
si svegliò non riuscì nemmeno a capre se era giorno
o notte. non poteva quasi aprire gli occhi. Lui non lo sapeva,
ma aveva la febbre a quaranta, e poi a quarantadue. Vomitò.
Nausea, capogiri, mal di testa, delirio. Tutto quanto insieme,
per schiacciarlo come uno scarafaggio. Non poteva alzarsi. Immagini
folli gli attraversavano la mente. Una dietro l’altra.
Sua madre che moriva con quel ferro piantato nel cervello. La
nonna, stecchita davanti a lui. Suo fratello, spiaccicato sull’asfalto.
Lui che chiedeva l’elemosina con il santo in mano. Aveva
sete. Molta sete. Voleva dell’acqua. “ Magda, dammi
un po’ d’acqua. Acqua Magda acqua Magda acqua Magda
acqua Magda…”. Non poteva parlare, lo pensava solo.
Una morte orribile. L’agonia durò sei giorni e
sei notti. Poi perse conoscenza. E infine morì. Col corpo
che già marciva per i morsi dei ratti. Il cadavere si
decompose in poche ore. Arrivarono gli avvoltoi. E lo divorarono
a poco a poco. Un festino di quattro giorni. Lo divorarono lentamente.
Quanto più si disfaceva, tanto più gli piaceva
quella carogna. E nessuno ne seppe mai niente.
( L’Avana, 1998)
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