Louis-Ferdinand Celine


 

Viaggio al termine della notte


 


Pubblicato net 1932, questo libro largamente autobiografico - libro dello sradicamento, della rivolta, del sarcasmo, dell'irrisione violenta e acuminata - è ormai considerato un fondamentale "classico" della narrativa europea del Novecento. Il clamore e lo scandalo che lo accolsero, con l'aura di "maledettismo" presto sorta a circonfondere tanto il protagonista quanto l'autore, sono facilmente riconducibili alla disturbante carica di verità che attraversa per intero il Viaggio, e che mette impietosamente a nudo sia le miserie dell'individuo sia quelle ben più gravi e profonde della società in cui si muove.
I vagabondaggi del medico Bardamu dagli scenari della prima guerra mondiale all'Africa coloniale, dall'America del fordismo alla Parigi dei poveri, disegnano un quadro complessivo in cui qualsiasi valore morale ha perso tenuta, e in cui drammaticamente più labile e vaga si è fatta la distinzione fra il bene e il male: al duro sfruttamento dell'uomo sull'uomo nelle colonie francesi corrisponde quello del capitalismo americano, alla povertà dilagante degli uni fa eco quella degli altri, in un universo in cui la legge della sopravvivenza impone scelte spesso disgustose, talora aberranti.
Eppure da questo tragico materiale Celine sa estrarre di frequente situazioni di esilarante comicità, in una mescolanza di dolore e riso superbamente sorretta da una scrittura assolutamente originale: una scrittura plasmata sul parlato, scandita da un ritmo incalzante e sincopato, in cui i termini gergali, il turpiloquio, l'elementarità e la distorsione sintattica sanno di continuo aprirsi a sprazzi di "sublime" ogni volta del tutto stupefacenti. Un vero e proprio "miracolo" espressivo, marchio inconfondibile della grandissima letteratura.

***

 

l'inizio...

E’ cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente. E’ Arthur Ganate che mi ha fatto parlare. Arthur, uno studente, un fagiolo anche lui, un compagno. Ci troviamo dunque a Place Clichy. Era dopo pranzo. Vuol parlarmi. Lo ascolto. -Non restiamo fuori! mi dice lui. Torniamo dentro!-. Rientro con lui. Ecco. -Sta terrazza, attacca lui, va bene per le uova alla coque! Vieni di qua-. Allora, ci accorgiamo anche che non c'era nessuno per le strade, a causa del caldo; niente vetture, nulla. Quando fa molto freddo, lo stesso, non c'è nessuno per le strade; è lui, a quel che ricordo, che mi aveva detto in proposito: - Quelli di Parigi hanno sempre l'aria occupata, ma di fatto, vanno a passeggio da mattino a sera; prova ne è che quando non va bene per passeggiare, troppo freddo o troppo caldo, non li si vede più; son tutti dentro a prendersi il caffè con la crema e boccali di birra. E’ così! Il secolo della velocità! Dicono loro. Dove mai? Grandi cambiamenti! Ti raccontano loro. Che roba è? E’ cambiato niente, in verità. Continuano a stupirsi e basta. E nemmeno questo è nuovo per niente. Parole, e nemmeno tante, anche le parole che son cambiate! Due o tre di qui, di là, di quelle piccole...- Tutti fieri allora d'aver fatto risuonare queste utili verità, siamo rimasti là seduti, incantati, a guardare le dame del caffè.
Dopo, la conversazione è tornata sul Presidente Poincare che s'era inaugurato, proprio quel mattino lì, una mostra di cagnetti; e poi, passin passetto, su “Le Temps” dove quello stava scritto. -Dì, che signor giornale il “Temps”, ecco che mi provoca Arthur Ganate a 'sto proposito. - Ce n'è mica un altro come quello che difende la razza francese! - Ce n'ha proprio bisogno la razza francese, visto che non esiste!- gli ho risposto io per fargli vedere che ero documentato, colpo su colpo.

***

frammenti...

- C’è l’amore Bardamu!
-Arthur, l’amore è l’infinito abbassato al livello dei barboncini, e ci ho la mia dignità, io ! gli risposi io.
-Vediamo te ! Te sei un anarchico, ecco tutto!”
Un furbastro, in ogni caso, lo vedete da lì , e tutto quel che c’era di avanzato in fatto di opinioni.
“L’ hai detto, smargiasso , che sono anarchico ! E la prova migliore, è che ho composto una specie di preghiera vendicatrice e sociale che adesso tu mi dici subito l’effetto che fa : ALI DORATE ! E’ il titolo !…” E allora gli recito: Un Dio che conta i minuti e i soldi, un Dio disperato, sensuale e brontolone come un porco. Un porco con le ali dorate che casca dappertutto, pancia all’aria, pronto alle carezze, è lui , nostro padrone . Baciamoci !

 

***

Il colonnello era sempre lì che non faceva una piega, lo guardavo ricevere, sulla scarpata, le letterine del generale che poi strappava a pezzettini, dopo averle lette senza fretta, tra le pallottole. In nessuna di quelle c'era dunque l'ordine secco di fermare quella vergogna? Dunque non gli dicevano dall'alto che c'era uno sbaglio? Un errore riprovevole? Un equivoco? Che si erano sbagliati? Che erano manovre per ridere quelle che avevano voluto fare, non degli assassinii! Ma no! «Avanti, colonnello, siete sulla buona strada!» Ecco senza dubbio quel che gli scriveva il generale des Entrayes, della divisione, nostro capo di tutti, di cui riceveva una busta ogni cinque minuti, attraverso un agente di collegamento, che la paura rendeva ogni volta un po' più verde e diarroico. Ne avrei fatto un mio fratello di spavento di quel ragazzo lì! Ma si aveva il tempo di fraternizzare nemmeno.
Dunque niente errori? Quello spararsi addosso che si faceva, così, senza nemmeno vedersi, non era proibito! Quello faceva parte delle cose che si possono fare senza meritarsi una bella sgridata. Era perfino riconosciuto, incoraggiato senza dubbio da gente seria, come le lotterie, i fidanzamenti, la caccia coi cani!... Niente da dire. Di colpo scoprivo la guerra tutta intera. Ero sverginato. Bisogna essere all'incirca solo davanti a lei come lo ero io in quel momento per vederla bene la carogna, di fronte e di profilo. Avevano appena appiccato la guerra tra noi e quelli di fronte, e adesso quella bruciava! Come la corrente tra i due carboni, nella lampada ad arco. E non era vicino a spegnersi il carbone! Ci saremmo passati tutti, il colonnello come gli altri, anche se sembrava un gran volpone, e la sua carnaccia non avrebbe fatto più arrosto della mia quando la corrente di fronte gli fosse passata tra le due spalle.
Ci sono un sacco di modi di essere condannato a morte. Ah! Cosa non avrei dato in quel momento per essere in prigione invece d'esser lì, come un cretino! Per avere, per esempio, quand'era così facile, con un po' di previdenza, rubato qualcosa, da qualche parte, quando c'era ancora tempo. Si pensa a niente! Dalla prigione, ci esci vivo, dalla guerra no. Tutto il resto, sono parole.

***

Ne sono nate delle storie. C'era chi diceva: «'Sto ragazzo, è un anarchico, allora bisogna fucilarlo, è il momento e subito, senza esitare, bisogna mica gingillarsi, perché c'è la guerra!...» Ma ce n'erano degli altri, più. pazienti, che asserivano che ero soltanto sifilitico e folle autentico e di conseguenza andavo rinchiuso fino alla pace, o almeno per qualche mese, perché loro, i non matti, che avevano tutte le ragioni, dicevano, volevano curarmi mentre avrebbero fatto la guerra loro soli. Questo prova che per essere ritenuti ragionevoli, nulla di meglio che avere una gran faccia di bronzo. Quando hai una bella faccia tosta, quello basta, allora quasi tutto è permesso, assolutamente tutto, hai la maggioranza con te ed è la maggioranza che decide quel che è folle e quello che non lo è.
Tuttavia la mia diagnosi restava molto discutibile. Le autorità decisero dunque di mettermi sotto osservazione per qualche tempo. La mia amica Lola ebbe il permesso di venirmi a fare qualche visita, e mia madre anche. Era tutto.
Eravamo alloggiati noi, i feriti con turbe, in un liceo di IssyIcs-Moulineaux, organizzato apposta per accogliere e spingere con le buone o con le cattive a confessare, secondo i casi, i soldati del mio tipo il cui ideale patriottico era semplicemente compromesso o del tutto malato. Non ci trattavano per niente male, ma ci sentivamo tutto il tempo, comunque, spiati da un personale infermieristico silenzioso e dotato di enormi orecchie.
Dopo qualche tempo di sottomissione a questa sorveglianza, te ne uscivi con discrezione per andare o al manicomio, o al fronte, o ancora molto spesso al muro.

***

Per nutrirsi in modo economico in America, uno può andarsi a comperare un panino caldo con una salsiccia dentro, è comodo, roba che si vende agli angoli delle strade, niente cara. Mangiare nel quartiere dei poveri non mi disturbava certo, ma non incontrare più quelle belle creature da ricchi, ecco quel che diventava assai penoso. Allora non val nemmeno più la pena di mangiare.
Al Laugh Calvin, su quei folti tappeti, potevo ancora aver l'aria di cercare qualcuno fra le donne troppo belle dell'entrata, caricarmi poco a poco nella loro atmosfera equivoca. Pensandoci dovevo ammettere che avevano avuto ragione gli altri, dell'Infanta Combitta, me ne rendevo conto, con l'esperienza, non avevo dei gusti seri per un pezzente. Avevano fatto bene i compagni della galera a cantarmelo chiaro. Tuttavia, il coraggio continuava a non tornarmi. Avevo un bel riprendere dosi su dosi di cinema, qua e là, ma era proprio il minimo per ricuperare lo slancio che mi ci voleva per un passeggiata o due. Niente di più. In Africa, avevo certo conosciuto un genere di solitudine abbastanza feroce, ma l'isolamento in quel formicaio americano prendeva una piega ancora più opprimente.
Sempre avevo temuto d'essere pressoché vuoto, di non avere insomma alcuna seria ragione per esistere. Adesso davanti ai fatti ero proprio certo del mio nulla individuale. In quell'ambiente troppo diverso da quello in cui coltivavo le mie meschine abitudini, mi ero come dissolto all'istante. Mi sentivo vicinissimo alla non esistenza, semplicemente. Così, lo scoprivo, da quando avevano smesso di parlarmi di cose familiari, nulla più m'impediva di sprofondare in una sorta di noia irresistibile, in una sorta di dolciastra, spaventevole catastrofe spirituale. Una cosa disgustosa.

***

L’egoismo degli esseri che si sono mescolati alla nostra vita, quando si pensa a loro, da vecchi, si dimostra innegabile, cioè come se fosse d'acciaio, di platino, e persino più durevole del tempo stesso.
Quando si è giovani, l'indifferenza più arida, le porcate più ciniche, si arriva a trovargli la scusa del capriccio passionale e chissà quale segno di un romanticismo inesperto. Ma più tardi, quando la vita vi ha mostrato per bene tutto quello che può esigere in cautela, crudeltà, malizia soltanto per essere mantenuta bene o male a 37°, ti rendi conto, sei informato, hai le carte in regola per capire tutte le stronzate che contiene un passato. Basta in tutto e per tutto contemplare scrupolosamente se stessi e quel che si è diventati in fatto di schifezza. Niente più mistero, niente più ingenuità, ti sei mangiato tutta la poesia visto che hai vissuto fino a quel momento.
E’ un cazzo fritto, la vita.

 

 

 

il prossimo libro è Morte a credito

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