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Donne
1978 - Guanda, pag.
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l'inizio...
Avevo
cinquant'anni e non andavo a letto con una donna da quattro.
Non avevo amiche. Guardavo le donne per strada o dovunque le
vedessi , ma le guardavo senza desiderio e con un senso di inutilità.
Mi masturbavo regolarmente, ma l'idea di avere rapporti con
una donna - anche non sessuali - era una cosa che non riuscivo
nemmeno a immaginare. Avevo una figlia di sei anni nata illegittima.
Viveva con la madre e io pagavo per il suo mantenimento. Ero
stato sposato parecchi anni prima, quando ne avevo trentacinque.
Quel matrimonio era durato due anni e mezzo. Mia moglie aveva
chiesto il divorzio. Ero stato innamorato una volta sola. Lei
era morta di alcoolismo acuto. Era morta a quarantotto anni
quando io ne avevo trentotto. Mia moglie aveva dodici ani meno
di me. Credo che anche lei sia morta, ma non sono sicuro. Mi
ha scritto lunghe lettere a Natale per sei anni dopo il divorzio.
Non le ho mai risposto
Non
ricordo bene quando vidi Lydia Vance per la prima volta. Era
circa 6 anni fa e avevo appena lasciato un lavoro alle poste
durato dodici anni e stavo cercando di fare lo scrittore. Ero
terrorizzato e bevevo più che mai. Stavo cercando di
scrivere il mio primo romanzo. Bevevo una pinta di whiskey e
due confezioni da sei di birra tutte le sere mentre scrivevo.
Fumavo sigari a buon mercato e battevo a macchina e bevevo e
ascoltavo musica classica alla radio fino all'alba. Dovevo scrivere
dieci pagine tutte le sere ma non sapevo mai quante pagine avevo
scritto fino al giorno dopo. Mi alzavo la mattina, vomitavo,
poi andavo in soggiorno per vedere quante pagine c'erano sul
divano. Erano sempre più di dieci. Qualche volta erano
17,18,23,25. Naturalmente il lavoro di ogni sera doveva essere
ripulito o buttato via. Mi ci vollero ventun notti per scrivere
il mio primo romanzo.
I proprietari della casa in cui vivevo, che stavano nel retro,
pensavano che fossi pazzo. Tutte le mattine quando mi svegliavo
c'era un grosso sacchetto di carta marrone sulla veranda. Il
contenuto variava, ma di solito nel sacchetto c'erano pomodori,
ravanelli, arance, porri, scatole di minestra, cipolle rosse.
Una sera sì e una no bevevo birra con loro fino alle
4 o alle 5 di mattina. Il vecchio partiva subito e io e la vecchia
ci tenevamo per mano e ogni tanto le davo un bacio. Le davo
sempre un bel bacione sulla porta. Era piena di rughe ma non
era colpa sua. Era cattolica e la domenica mattina, quando si
metteva il cappello rosa per andare in chiesa , era carina.
Credo di aver conosciuto Lydia Vance al mio primo reading di
poesie. Era in una libreria di Kenmore Ave., The Drawbridge.
Ero terrorizzato come al solito. Mi sentivo superiore, ma ero
terrorizzato. Quando arrivai c'era posto solo in piedi. Peter,
che mandava avanti il negozio e viveva con una ragazza nera,
aveva un bel mucchietto di soldi sul banco. "Merda",
mi disse,"se riuscissi sempre a fare un pieno così
avrei abbastanza soldi per un altro viaggio in India".
Entrai e cominciarono ad applaudire. Per quanto riguardava i
reading di poesie, stavo per sfondare.
Lessi per 30 minuti poi feci un intervallo. Ero ancora sobrio
e sentivo gli occhi fissi su di me nell'oscurità. Qualcuno
si avvicinò e mi disse qualcosa. Poi dopo un attimo di
calma arrivò Lydia Vnce. Ero seduto a un tavolo e bevevo
birra. Lei appoggiò le mani a un bordo del tavolo, si
chinò e mi guardò. Aveva i capelli scuri e lunghi,abbastanza
lunghi, il naso prominente e un occhio che andava un po' per
conto suo. Ma irradiava vitalità
la sua presenza
si sentiva. Sentivo le vibrazioni che passavano tra di noi.
Alcune erano vibrazioni confuse e non buone ma c'erano. Mi guardò
e lei mi restituì lo sguardo. Lydia Vance indossava una
giacchetta di pelle da cowgirl con una frangia intorno al collo.
Aveva un bel seno. Le dissi:" Mi piacerebbe strapparti
via quella frangia
potremmo cominciare da lì!".
Lydia se ne andò. Non aveva funzionato. Non sapevo ami
cosa dire alle signore. Ma aveva un bel didietro. Guardai quel
bel didietro mentre lei si allontanava. I bluejeans lo fasciavano
e io continuai a guardarlo mentre lei si allontanava.
Finii la seconda metà del reading e dimenticai Lydia
proprio come dimenticavo le donne che incontravo per strada.
Presi i miei soldi, firmai qualche tovagliolo, qualche pezzo
di carta, poi me ne andai e tornai a casa in macchina.
Lavoravo
ancora tutte le sere al mio primo romanzo. Non cominciavo a
scrivere mai prima delle 6.18 di sera. Era l'ora in cui di solito
timbravo il cartellino al Terminal Annex Post Office. Erano
le 6 di sera quando arrivarono: Peter e Lydia Vance. Aprii la
porta. Peter disse: "Ehi, Henry, guarda cosa ti ho portato!".
Lydia saltò sul tavolino. Aveva un paio di bluejeans
più attillati che mai. Buttava i lunghi capelli scuri
da una parte e dall'altra. Era pazza; era un miracolo. Per la
prima volta presi veramente in considerazione la possibilità
di far l'amore con lei. Cominciò a recitare poesie. Sue.
Erano pessime. Peter cercò di farla smettere: "No!
No! Niente poesie con la rima a casa di Henry Chinaski!".
"Lascia fare, Peter!".
Volevo guardarle il culo. Camminava avanti e indietro su quel
vecchi tavolino. Poi si mise a ballare. Agitava le braccia.
Le poesie erano terribili, il corpo e la follia no.
Lydia saltò giù.
"Che cosa ne dici, Henry?".
"Di che?".
"Delle mie poesie".
"Non sono un granchè".
Lydia restò in piedi con i fogli delle poesie in mano.
Peter la afferrò.
"Scopiamo!", le disse "Dai, scopiamo!".
Lei lo spinse via
"Va bene ", disse Peter. "Allora me ne vado!".
"Vattene pure. Ho la macchina", disse Lydia. "Posso
tornare a casa da sola".
Peter corse alla porta. Si fermo e si voltò. "Va
bene, Chinaski! Non dimenticare che cosa ti ho portato!".
Sbattè la porta e sparì. Lydia si sedette sul
divano, vicino alla porta. Io ero seduto a una trentina ci centimetri
da lei. La guardai. Era meravigliosa. Avevo paura, tesi la mano
e toccai quei lunghi capelli. Erano capelli magici. Ritirai
la mano. "Sono veramente tutti tuoi quei capelli?",
le chiesi. Sapevo che lo erano. "Si", disse lei, "sono
miei". Le misi una mano sotto il mento e tentai molto goffamente
di farle voltare la testa verso di me. Non ero mai a mio agio
in situazioni del genere. Le diedi un bacio leggero.
Lydia saltò su. "Devo andare. La baby sitter costa".
"Senti", dissi, "non andare. La pago io la baby
sitter. Resta ancora un po'".
"No, non posso", disse lei. "Devo andare".
Andò alla porta. La seguii. Aprì la porta. Poi
si voltò. Ci provai un'ultima volta. Lei alzò
la faccia e mi diede un bacio leggerissimo. Poi si scostò
e mi mise in mano un po' di fogli scritti a macchina. La porta
si chiuse. Mi sedetti sul divano coi fogli in mano e ascoltai
il rumore della macchina che si metteva in moto.
Le
poesie erano cucite insieme, ciclostilate e intitolate LEIIII.
Ne lessi qualcuna. Erano interessanti, piene di umorismo e sessualità,
ma scritte male. Erano di Lydia e delle sue tre sorelle
tutte così allegre e coraggiose e sexy. Sbadigliai. Buttai
via i fogli e aprii la mia pinta di whiskey. Fuori era buio.
La radio trasmetteva per lo più Mozart e Brahms e il
Bee.
***
frammenti...
[
]
Presi la bottiglia ed andai in camera mia.
Mi spogliai tenni le mutande ed andai a letto: era un gran casino.
La gente si aggrappa ciecamente a tutto quello che trova : comunismo,
macrobiotica, z, surf, ballo, ipnotismo, terapie di gruppo,
orge, ciclismo, erbe aromatiche, cattolicesimo, sollevamento
pesi, viaggi, solitudine, dieta vegetariana, India, pittura
scrittura, scrittura, scultura, composizione, campeggio, yoga,
scopare, gioco d'azzardo, alcool, ozio, gelato di yogurt, Beethoven,
Bach, Buddha, Cristo, succo di carota, suicidio, vestiti, aerei,
NYC, e poi tutte queste cose sfumano e non resta niente.
la gente deve trovare qualcosa da fare mentre aspetta di morire.
Era bello avere una scelta: io l'avevo fatta da un pezzo la
mia scelta.
Alzai la bottiglia di vodka e la bevvi liscia.
I russi sapevano il fatti loro.
[
]
l'umanità mi sta sul cazzo da sempre - ecco il mio motto.
***
la fine...
Quando
arrivai a casa telefonai di nuovo a Sara.
"come va ?". le chiesi.
"E' un po' fiacca, oggi".
"Allora vieni stasera?".
"Ti ho già detto di sì,no?".
"Ho dell'ottimo vino bianco. Come ai vecchi tempi".
"Hai intenzione di rivedere Tanya?".
"No".
"Non cominciare a bere fino a quando arrivo io ".
"Va ben".
"Devo andare
E' entrato un cliente".
"Bene. Ci vediamo stasera".
Sara era una brava ragazza. Dovevo cercare di darmi una regolata
anch'io. Se un uomo aveva bisogno di un mucchio di donne voleva
dire che non ne aveva nessuna degna di questo nome. Si poteva
perdere l'identità , scopando con tutte come facevo io.
Sara si meritava un trattamento molto migliore di quello che
le riservavo. Adesso toccava a me. Mi sdraiai sul letto e mi
addormentai quasi subito.
Fui svegliato dallo squillo del telefono ."Sì?",dissi.
"Sei Henry Chinaski?".
"Si "
Quando arrivai a casa telefonai di nuovo a Sara.
"come va ?". le chiesi.
"E' un po' fiacca, oggi".
"Allora vieni stasera?".
"Ti ho già detto di sì,no?".
"Ho dell'ottimo vino bianco. Come ai vecchi tempi".
"Hai intenzione di rivedere Tanya?".
"No".
"Non cominciare a bere fino a quando arrivo io ".
"Va ben".
"Devo andare
E' entrato un cliente".
"Bene. Ci vediamo stasera".
Sara era una brava ragazza. Dovevo cercare di darmi una regolata
anch'io. Se un uomo aveva bisogno di un mucchio di donne voleva
dire che non ne aveva nessuna degna di questo nome. Si poteva
perdere l'identità , scopando con tutte come facevo io.
Sara si meritava un trattamento molto migliore di quello che
le riservavo. Adesso toccava a me. Mi sdraiai sul letto e mi
addormentai quasi subito.
Fui svegliato dallo squillo del telefono ."Sì?",dissi.
"Sei Henry Chinaski?".
" Si ".
" Ho sempre adorato i tuoi libri . Credo che non ci sia
miglior scrittore al mondo ".
Aveva la voce giovane e sexy.
" Ho scritto qualcosa di buono, si".
"Lo so. Lo so. E hai avuto davvero tutte quelle storie
con tutte quelle donne?".
"Si".
"Senti, anch'io sono una scrittrice. Sto a L.A. e mi piacerebbe
conoscerti. Potrei venirti trovare e farti leggere le mie poesie".
"Non sono mica un editore o un redattore".
"Lo so. Senti, ho 19 anni. Voglio solo venirti a trovare,
va bene?".
"Stasera non posso".
"Oh, qualunque sera andrà bene".
"No, niente da fare".
"Sei davvero Henry Chinaski, lo scrittore?".
"Certo".
"Io sono molto carina".
"Ne sono sicuro".
"Mi chiamo Rochelle".
"Addio, Rochelle".
Riappesi. Ce l'avevo fatta
per una volta.
Andai in cucina, aprii una boccetta di vitamina E, 400 unità
ciascuna, e ne buttai giù parecchie con un bicchiere
di Terrier. Sarebbe stata una buona per Chinaski. Il sole filtrava
obliquo dalle veneziane, disegnando le solite forme sul tappeto,
e il vino bianco era al fresco in frigorifero.
Aprii la porta e uscii sulla veranda. C'era uno strano gatto,
là fuori. Era enorme, un maschio, col pelo nero, lucido,
e gli occhi gialli luminosi. Non aveva paura di me. Si avvicinò,
cominciò a strusciarsi contro una delle mie gambe e a
fare le fusa. Io ero un brav'uomo e lui lo sapeva. Gli animali
sapevano sempre cose del genere. Avevano una specie di istinto.
Tornai dentro e lui mi seguì.
Gli aprii una scatoletta di tonno Star-Kist. Della miglior qualità.
Peso netto 200 grammi.
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