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Taccuino
di un vecchio sporcaccione
1979 - TeaDue; pag.207
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L'inizio...
un figlio di puttana si era rifiutato di scucire
il grano, tutti che dicevano d'essere al verde, il pokerino
era finito, io ero lì seduto col mio fratellino Elf,
Elf era un ragazzo svampito, svaccato in toto, era stato a letto
per anni a spremersi le palle gommose, a fare esercizi folli,
e quando poi era sceso dal letto era più largo che lungo,
un bruto sorridente tutto muscoli che voleva fare lo scrittore
ma suonava un po' troppo come Thomas Wolfe e, a parte Dreiser,
T. Wolfe è proprio il peggior scrittore che sia mai nato
in America, e io colpii Elf dietro l'orecchio e la bottiglia
cadde giù dal tavolo (aveva detto qualcosa che non m'era
piaciuta) e mentre Elf si rialzava presi la bottiglia, scotch
di marca, e lo centrai tra la mascella e il collo e lui andò
giù un'altra volta, e io mi sentii sicuro di vincere,
studiavo Dostoevskij e ascoltavo Mahler al buio, ebbi il tempo
di attaccarmi alla bottiglia, di metterla giù, di fintare
il destro e di allungare il sinistro appena sotto la cintura
e lui andò a cadere sulla specchiera, goffamente, lo
specchio si ruppe, ne uscì un suono da film, brillò
e crepitò e allora Elf me ne fece planare uno sulla fronte,
e io ricaddi su una sedia che si spiaccicò come un uovo,
mobili da due soldi, e a quel punto c'ero dentro fino al collo
- ho mani piccole e non avevo molta familiarità con l'arte,
della boxe e poi non l'avevo mica messo fuori uso - e lui entrò
in azione come un impiegatuccio vendicativo, e io lo centravo
una volta su tre, mica dei colpi molto buoni, ma lui non mollava,
e i mobili cadevano da tutte le parti, un gran casino e io che
continuavo a sperare che qualcuno venisse a metterci un fermo,
la padrona di casa, la polizia, Dio, uno qualsiasi, invece continuò
così e poi non ricordo più niente.
quando mi svegliai il sole era alto e io in basso, sotto il
letto. mi tirai fuori da lì sotto e scoprii che potevo
reggermi. largo taglio sotto il mento. nocche sbucciate. di
teste pesanti da sbronza ne avevo conosciute anche di peggiori.
e ci si può svegliare anche in posti peggiori. per esempio
in prigione? forse. diedi un'occhiata in giro. era accaduto
sul serio. tutto rotto, impataccato e sconquassato, sparso in
giro - lampade, sedie, specchiera, letto, posacenere - sfasciato
al di là d'ogni immaginazione, roba da non credere, tutto
orribile e finito. bevvi un po' d'acqua e poi andai al cesso.
erano ancora lì: i deca, i venti, i cinque, i soldi che
avevo buttato nello sgabuzzino ogni volta che ero andato a pisciare
durante il pokerino, e ricordai che la rissa era cominciata
per la GRANA. raccolsi i verdoni, li ficcai nel portafoglio,
piazzai la valigia di cartone sul letto inclinato e cominciai
a raccogliere i miei pochi stracci: camicie da lavoro, scarpe
dure e bucate, calzini infeltriti e lerci, pantaloni sformati
con gambe da far ridere, un racconto su come si beccano i pidocchi
al teatro dell'opera di San Francisco e un dizionario sgualcito
da mercatino rionale - «palingenesi - ripetizione di fasi
ancestrali dalla nascita alla morte.»
la sveglia funzionava, la cara vecchia sveglia,
dio la benedica, quante volte l'avevo guardata tra le teste
pesanti da sbornia delle sette e mezzo e avevo detto, a culo
il lavoro? A CULO IL LAVORO!, beh, diceva che erano le quattro
del pomeriggio e stavo per metterla in valigia sopra i miei
stracci quando - sicuro, perché no? - qualcuno bussò
alla porta.
SÌÌÌ?
SIGNOR BUKOWSKI?
SÌ? SÌ?
VORREI CAMBIARLE LE LENZUOLA.
NO, OGGI NO. OGGI STO MALE.
OH, MI SPIACE. MA MI LASCI ENTRARE A CAMBIARE
LE LENZUOLA. POI ME NE VADO.
NO, NO, STO TROPPO MALE, STO DAVVERO TROPPO
MALE. NON VOGLIO CHE LEI MI VEDA IN QUESTO STATO.
andammo avanti così. lei voleva cambiare
le lenzuola. io dicevo, no. lei diceva, voglio cambiare le lenzuola.
non mollava, che padrona di casa. che corpo. tutta corpo. tutto
di lei gridava LARDO LARDO LARDO. ero lì solo da due
settimane. sotto casa c'era un bar. venivano a cercarmi, io
non ero in casa, lei non faceva che dire «è giù
al bar, è sempre giù al bar.» mi dicevano,
«Gesù, Giuseppe e Maria, ma che razza di PADRONA
hai?»
lei era una grassona bianca e andava a Filippini,
'sti Flippini conoscevano tutti gli stili, robe che i bianchi
non si sognerebbero neppure, perfino uno come me; adesso 'sti
Filippati si sono squagliati coi loro cappelli a tesa larga
calati sugli occhi alla George Raft e con le spalle della giacca
imbottite; erano loro a dettare la moda, i ragazzi dello stiletto;
tacchi di cuoio, facciacce unte - dove siete finiti?
beh, insomma, non c'era niente da bere e me
ne stavo seduto da ore e ore, stavo per dare i numeri; avevo
il prurito alle gambe, ronzavo come un moscone, con le palle
gonfie, stavo lì, seduto, con 450 dollari intascati facile,
e non mi potevo comprare nemmeno una birra alla spina. aspettavo
il buio. il buio, non la morte. volevo uscire. altro tentativo.
alla fine riuscii a darmi una smossa. socchiusi la porta, la
catenella ancora agganciata, ed eccone uno, una scimmiolina
Flippata con un martello in mano. quando aprii la porta alzò
il martello e fece una smorfia. quando richiusi la porta si
tolse i chiodini di [...]
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