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Il
Capitano è fuori a pranzo
1997 - Feltrinelli
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12/9/91
Oggi niente cavalli. Mi sento stranamente normale. Capisco
perché Hemingway aveva bisogno delle corride, gli fornivano
una cornice, gli ricordavano dov'era e cos'era. Talvolta ce
ne dimentichiamo, a furia di pagare bollette del gas, far cambiare
l'olio e via dicendo. La maggior parte della gente non è
preparata alla morte, alla propria o a quella di chicchessia.
Ne sono scioccati, terrorizzati. E' come una grossa sorpresa.
Che diavolo, non dovrebbe esserlo. Io mi porto la morte nel
taschino. A volte la tiro fuori e le parlo: "Ciao bella
come va ? Quand'è che vieni a prendermi? Sono pronto".
Nella morte non c'è niente di triste, non più
di quanto ce ne sia nello sbocciare di un fiore. La cosa terribile
non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive
fino alla morte. Non fanno onore alla propria vita, la pisciano
via. La cagano fuori. Muti idioti. Troppo presi a scopare, film,
soldi, famiglia, scopare. Hanno la testa piena di ovatta. Mandano
giù Dio senza pensare, mandano giù la patria senza
pensare. Dopo un po' dimenticano anche come si fa a pensare,
lasciano che siano gli altri a pensare per loro. Hanno il cervello
imbottito di ovatta. Sono brutti, parlano male, camminano male.
Gli suoni la grande musica dei secoli ma loro non sentono. Per
molti la morte è una formalità. C'è rimasto
ben poco che possa morire.
Vedete che i cavalli mi servono, altrimenti perdo il senso dell'
umorismo. Se c'è una cosa che la morte non può
soffrire è che si rida di lei. Una buona risata può
fregare qualsiasi handicap. Non rido da tre o quattro settimane.
Qualcosa mi sta divorando vivo. Mi gratto, mi giro, mi guardo
attorno, cerco di trovarlo. Il Cacciatore è furbo. Uno
che non si fa vedere. O forse una.
Il computer deve tornare al negozio. Vi risparmierò i
dettagli. Un giorno sui computer ne saprò più
dei computer stessi. Ma per il momento questa macchina mi tiene
per le palle.
Ci sono due redattori che conosco che ce l' hanno su con i computer.
Ho qui queste due lettere che si scagliano contro i computer.
Sono rimasto molto sorpreso dalla durezza delle lettere. E dal
loro infantilismo. Io so bene che il computer non può
scrivere al osto mio. E se potesse, non lo vorrei. Quei due
si sono spinti un po' troppo in là. La conclusione è
che il computer nuoce allo spirito. Be', come molte altre cose.
Ma io sono per le cose utili, se posso scrivere due volte tanto
e la qualità rimane la stessa, allora scelgo il computer.
Per me scrivere è volare, è accendere un fuoco.
Per me scrivere è tirare fuori la morte dal taschino,
scagliarla contro il muro e riprenderla al volo.
Quelli là pensano che per avere un'anima devi essere
per forza in croce e sanguinare. Ti vogliono mezzo matto, che
ti sbavi sul davanti della camicia. Ne ho avuto abbastanza di
croci, ne ho le tasche piene. Se riesco a tenermi alla larga
dalla croce, ho ancora parecchie cose da dire. Troppe. Che ci
vadano loro sulla croce, gli farò le mie congratulazioni.
Ma per scriver non basta il dolore, ci vuole uno scrittore.
Comunque, questo lo riporto al negozio e quando i miei redattori
vedranno il lavoro scritto a macchina penseranno: "Ah,
Bukowski ha ritrovato la sua anima. Questa roba si legge molto
meglio".
Be', insomma, cosa faremmo senza i nostri redattori? O meglio,
cosa farebbero loro senza di noi?
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