Charles Bukowski

 

 

A Sud di Nessun Nord
1973 - Tasco, 219 pag.


A sud di nessun nordUno scommettitore accanito raccoglie per strada un barbone che si rivela un beniamino della Fortuna; un uomo acquista un manichino femminile e se ne innamora perdutamente; uno scrittore alcolizzato e frustrato raggiunge il successo, ma non la libertà dalla bottiglia; due balordi partono per un facile furto notturno e si ritrovano assassini.
Barboni, bevitori ,scrittori falliti , prostitute , ladri, pugili , piccoli malviventi: i personaggi che popolano le pagine di questi racconti sono tutte vecchie conoscenze dell’inconfondibile mondo narrativo di Bukowski. Un mondo definito e ritratto con assoluta fedeltà, con spietata lucidità ma anche con profonda comprensione e simpatia: l’America delle strade, delle bische, dei bordelli, dei bar squallidi e delle mense per i poveri. Quell’America che non ha conosciuto il Grande Sogno e di cui Bukowski è stato impareggiabile cantore e , forse, la voce più autentica.

indice

- Solitudine
- Dai dai contro quel sipario
- Tu e la tua birra e quanto sei ganzo
- Non c’è via per il paradiso
- Questioni di politica
- Amore a diciassette dollari e cinquanta
- Un paio di ubriaconi
- Maja Thurup
- Gli assassini
- Un uomo
- Classe
- Ehi, bello, piantala di guardarmi le tette
- Storia di una bandiera vietcong
- Non sai scrivere una storia d’amore

- Ti ricordi Pearl Harbor?
- Pittsburgh Phil & Co.
- Dottor Nazi
- Cristo sui pattini a rotelle
- Uno spedizioniere con il naso rosso
- Il diavolo era caldo
- Tu sì che hai fegato
- Il killer
- E’ questo che ha ucciso Dylan Thomas
- Niente collo e cattivo come il demonio
- Così amano i morti
- Tutti i culi del mondo e il mio
- Confessioni di un uomo abbastanza pazzo da mettersi a vivere con le bestie

***

frammenti...

Questioni di politica

Al Los Angeles City College, poco prima della Seconda guerra mondiale, mi atteggiavo a nazista. Riuscivo a malapena a distinguere Hitler da Ercole e non poteva importarmene meno. La cosa era successa perché mi ero rotto le scatole di starmene seduto, durante i corsi, a sentire i patrioti che tenevano sermoni sulla necessità di intervenire per schiacciare la belva. Decisi di passare all’opposizione. Non mi curai nemmeno di documentarmi su Adolph, limitandomi a dire tutto quello che di malvagio o maniacale mi passava per la testa. In realtà non avevo alcun credo politico. Si trattava di un modo come un altro per sentirmi sganciato.
Sapete, avolte se un tipo non crede in quello che fa, se la cava molto meglio, perché è libero da implicazione emotive. Poco dopo, un certo numero di giovanotti alti e biondi avrebbe formato la Brigata Abramo Lincoln, per respingere le orde fasciste, in Spagna. Facendosi poi sparare nel culo dalle truppe regolari. Alcuni erano stati spinti dallo spirito di avventura e dalla voglia di farsi un viaggio in Spagna. Ma erano stati tolti di mezzo lo stesso. Io ci tenevo al mio culo. Non c’era molto che mi piacesse di me, ma il culo mi piaceva e anche il mio cazzo.

Recitai la parte del nazista ancora per un po’, anche se non me ne fregava niente né dei nazisti, né dei comunisti, né degli americani. Ma la politica non mi interessava più. In realtà, già prima di Pearl Harbor, ci avevo rinunciato. Non era più divertente. Stava per scoppiare la guerra e a me non andava particolarmente né l’idea di arruolarmi, né quella di fare l’obbiettore di coscienza. Erano stronzate. Del tutto inutili. Io e il mio cazzo di media misura eravamo nei guai.

Me ne stavo seduto con il mio migliore amico, un marine , in un bar del centro a scolarmi una birra quando accadde. La radio trasmetteva un programma musicale e la musica si interruppe. Fu dato l’annuncio che Pearl Harbor era stata bombardata e che tutto il personale militare doveva rientrare immediatamente alle basi. Il mio amico mi chiese di accompagnarlo in autobus a San Diego, buttando là che forse quella era l’ultima volta che lo vedevo vivo. Aveva ragione.

Gli assassini

Harry era appena sceso dal merci e stava camminando lungo l’Alameda verso il locale di Pedro per prendersi una tazza di caffè da cinque centesimi. Era mattina presto, ma lui si ricordava che di solito aprivano alle cinque. Da Pedro , per cinque centesimi , si poteva starsene seduti anche un paio d’ore. Si poteva riflettere. Si poteva pensare a dove uno aveva sbagliato o dove invece ci aveva azzeccato.
Il bar era aperto. La ragazza messicana che gli portò il caffè lo guardò come si guarda un essere umano. I poveri conoscevano la vita. Una brava ragazza. Bè, più o meno. Le donne erano tutte delle piantagrane. E comunque ,di guai era pieno il mondo. Si ricordò di una massima che aveva sentito da qualche parte: la vita non è che un mucchio di guai.
Harry si sedette a uno dei vecchi tavoli. Il caffè era buono. Aveva trent’otto anni ed era un uomo finito. Sorseggiò il caffè e si mise a pensare a dove aveva sbagliato e dove ci aveva azzeccato. Si era semplicemente stufato… del mondo delle assicurazioni, degli uffici angusti con gli alti tramezzi di vetro, dei clienti. Si era stufato di tradire sua moglie, di palpare le segretarie nell’ascensore o nei corridoi. Si era stufato delle feste di Natale e quelle di Capodanno e dei compleanni,e delle rate della macchina nuova e di quelle dei mobili, delle bollette della luce, del gas, dell’acqua, di tutto quello stillicidio di necessità che lo dissanguava.
Si era stufato e aveva mollato, tutto qui. Il divorzio era arrivato presto, e poco dopo lui si era trovato fuori. Non aveva niente e aveva scoperto che anche non avere niente creava un mucchio di problemi. Era un altro tipo di fardello. Se solo ci fosse stata una via di mezzo. A quanto pareva un uomo aveva solo un’alternativa, vivere una vita frenetica o diventare un barbone.

 

Tu sì che hai fegato

Come può dirvi chiunque, non sono un tipo molto gradevole. Non so nemmeno cosa voglia dire. Ho sempre ammirato i cattivi, i fuorilegge, i figli di puttana. Non mi piacciono gli uomini perfettamente rasati, con la cravatta e un buon lavoro. Mi piacciono gli uomini disperati, con i denti rotti, il cervello a pezzi e una vita da schifo. Sono loro che mi interessano. Sono pieni di sorprese. Ho anche un debole per le donnacce, quelle che si ubriacano e bestemmiano, che hanno le calze molli e il trucco sbavato. Mi interessano di più i pervertiti dei santi. Mi rilasso con gli scoppiati perché anch’io sono uno scoppiato. Non mi vanno le leggi, la morale, la religione, le regole. Non mi va di essere plasmato dalla società.

 

E’ questo che ha ucciso Dylan Thomas

E’ questo che ha ucciso Dylan Tomas.
Salgo sull’aereo con la mia ragazza, il tecnico del suono, il cameraman e il produttore. La cinepresa è in azione. Il tecnico del suono ha attaccato dei microfoni in miniatura alla mia ragazza e a me. Sto per andare a San Francisco per una lettura di poesia. Sono Henry Chinasky, il poeta. Sono profondo, sono splendido. Palle. Bè, sì, ho delle palle magnifiche.
Quelli di Canale 15 hanno intenzione di girare un documentario su di me. Ho indosso una camicia nuova, pulita, e la mia ragazza è splendida, vibrante, poco più che trentenne. Scolpisce, scrive e fa l’amore in modo meraviglioso. La cinepresa mi trafigge la faccia. Faccio finta che non ci sia. I passeggeri osservano, le hostess sorridono con benevolenza, la terra è sottratta agli indiani, Tom Mix è morto e io faccio un’ottima prima colazione.
Ma non riesco a non pensare agli anni trascorsi in camere solitarie, quando le uniche persone che bussavano erano le padrone di casa che chiedevano l’affitto arretrato o l’FBI. Vivevo con ratti e i topi e il vino e il mio sangue si arrampicava sui muri: come, non riuscivo a capirlo allora e non riesco a capirlo neanche adesso. Piuttosto che vivere la loro vita, morivo di fame; mi rifugiavo dentro la mia mente e mi nascondevo. Tiravo giù le tapparelle e fissavo il soffitto. Quando uscivo, andavo in un bar dove elemosinavo qualcosa da bere, facendo dei piccoli servizi, venivo picchiato nei vicoli da uomini sicuri e ben nutriti, da uomini noiosi e agiati. Bè, qualche volta vincevo, ma solo perché ero pazzo. Rimasi anni senza donne, vissi di burro d’arachidi, pane raffermo e patate bollite. Ero il pazzo, lo zuccone, l’idiota. Volevo scrivere, ma la macchina da scrivere era sempre impegnata. Rinunciai e mi misi a bere…

 

 

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