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A
Sud di Nessun Nord
1973 - Tasco, 219
pag.
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Uno
scommettitore accanito raccoglie per strada un barbone
che si rivela un beniamino della Fortuna; un uomo acquista
un manichino femminile e se ne innamora perdutamente;
uno scrittore alcolizzato e frustrato raggiunge il successo,
ma non la libertà dalla bottiglia; due balordi
partono per un facile furto notturno e si ritrovano assassini.
Barboni, bevitori ,scrittori falliti , prostitute , ladri,
pugili , piccoli malviventi: i personaggi che popolano
le pagine di questi racconti sono tutte vecchie conoscenze
dell’inconfondibile mondo narrativo di Bukowski.
Un mondo definito e ritratto con assoluta fedeltà,
con spietata lucidità ma anche con profonda comprensione
e simpatia: l’America delle strade, delle bische,
dei bordelli, dei bar squallidi e delle mense per i poveri.
Quell’America che non ha conosciuto il Grande Sogno
e di cui Bukowski è stato impareggiabile cantore
e , forse, la voce più autentica. |
indice
- Solitudine
- Dai dai contro quel sipario
- Tu e la tua birra e quanto sei ganzo
- Non c’è via per il paradiso
- Questioni di politica
- Amore a diciassette dollari e cinquanta
- Un paio di ubriaconi
- Maja Thurup
- Gli assassini
- Un uomo
- Classe
- Ehi, bello, piantala di guardarmi le tette
- Storia di una bandiera vietcong
- Non sai scrivere una storia d’amore
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- Ti ricordi Pearl Harbor?
- Pittsburgh Phil & Co.
- Dottor Nazi
- Cristo sui pattini a rotelle
- Uno spedizioniere con il naso rosso
- Il diavolo era caldo
- Tu sì che hai fegato
- Il killer
- E’ questo che ha ucciso Dylan Thomas
- Niente collo e cattivo come il demonio
- Così amano i morti
- Tutti i culi del mondo e il mio
- Confessioni di un uomo abbastanza pazzo da mettersi a
vivere con le bestie |
***
frammenti...
Questioni
di politica
Al Los Angeles City College, poco prima della
Seconda guerra mondiale, mi atteggiavo a nazista. Riuscivo a
malapena a distinguere Hitler da Ercole e non poteva importarmene
meno. La cosa era successa perché mi ero rotto le scatole
di starmene seduto, durante i corsi, a sentire i patrioti che
tenevano sermoni sulla necessità di intervenire per schiacciare
la belva. Decisi di passare all’opposizione. Non mi curai
nemmeno di documentarmi su Adolph, limitandomi a dire tutto
quello che di malvagio o maniacale mi passava per la testa.
In realtà non avevo alcun credo politico. Si trattava
di un modo come un altro per sentirmi sganciato.
Sapete, avolte se un tipo non crede in quello che fa, se la
cava molto meglio, perché è libero da implicazione
emotive. Poco dopo, un certo numero di giovanotti alti e biondi
avrebbe formato la Brigata Abramo Lincoln, per respingere le
orde fasciste, in Spagna. Facendosi poi sparare nel culo dalle
truppe regolari. Alcuni erano stati spinti dallo spirito di
avventura e dalla voglia di farsi un viaggio in Spagna. Ma erano
stati tolti di mezzo lo stesso. Io ci tenevo al mio culo. Non
c’era molto che mi piacesse di me, ma il culo mi piaceva
e anche il mio cazzo.
Recitai la parte del nazista ancora per un
po’, anche se non me ne fregava niente né dei nazisti,
né dei comunisti, né degli americani. Ma la politica
non mi interessava più. In realtà, già
prima di Pearl Harbor, ci avevo rinunciato. Non era più
divertente. Stava per scoppiare la guerra e a me non andava
particolarmente né l’idea di arruolarmi, né
quella di fare l’obbiettore di coscienza. Erano stronzate.
Del tutto inutili. Io e il mio cazzo di media misura eravamo
nei guai.
Me ne stavo seduto con il mio migliore amico,
un marine , in un bar del centro a scolarmi una birra quando
accadde. La radio trasmetteva un programma musicale e la musica
si interruppe. Fu dato l’annuncio che Pearl Harbor era
stata bombardata e che tutto il personale militare doveva rientrare
immediatamente alle basi. Il mio amico mi chiese di accompagnarlo
in autobus a San Diego, buttando là che forse quella
era l’ultima volta che lo vedevo vivo. Aveva ragione.
Gli
assassini
Harry era appena sceso dal merci e stava camminando
lungo l’Alameda verso il locale di Pedro per prendersi
una tazza di caffè da cinque centesimi. Era mattina presto,
ma lui si ricordava che di solito aprivano alle cinque. Da Pedro
, per cinque centesimi , si poteva starsene seduti anche un
paio d’ore. Si poteva riflettere. Si poteva pensare a
dove uno aveva sbagliato o dove invece ci aveva azzeccato.
Il bar era aperto. La ragazza messicana che gli portò
il caffè lo guardò come si guarda un essere umano.
I poveri conoscevano la vita. Una brava ragazza. Bè,
più o meno. Le donne erano tutte delle piantagrane. E
comunque ,di guai era pieno il mondo. Si ricordò di una
massima che aveva sentito da qualche parte: la vita non è
che un mucchio di guai.
Harry si sedette a uno dei vecchi tavoli. Il caffè era
buono. Aveva trent’otto anni ed era un uomo finito. Sorseggiò
il caffè e si mise a pensare a dove aveva sbagliato e
dove ci aveva azzeccato. Si era semplicemente stufato…
del mondo delle assicurazioni, degli uffici angusti con gli
alti tramezzi di vetro, dei clienti. Si era stufato di tradire
sua moglie, di palpare le segretarie nell’ascensore o
nei corridoi. Si era stufato delle feste di Natale e quelle
di Capodanno e dei compleanni,e delle rate della macchina nuova
e di quelle dei mobili, delle bollette della luce, del gas,
dell’acqua, di tutto quello stillicidio di necessità
che lo dissanguava.
Si era stufato e aveva mollato, tutto qui. Il divorzio era arrivato
presto, e poco dopo lui si era trovato fuori. Non aveva niente
e aveva scoperto che anche non avere niente creava un mucchio
di problemi. Era un altro tipo di fardello. Se solo ci fosse
stata una via di mezzo. A quanto pareva un uomo aveva solo un’alternativa,
vivere una vita frenetica o diventare un barbone.
Tu
sì che hai fegato
Come può dirvi chiunque, non sono un
tipo molto gradevole. Non so nemmeno cosa voglia dire. Ho sempre
ammirato i cattivi, i fuorilegge, i figli di puttana. Non mi
piacciono gli uomini perfettamente rasati, con la cravatta e
un buon lavoro. Mi piacciono gli uomini disperati, con i denti
rotti, il cervello a pezzi e una vita da schifo. Sono loro che
mi interessano. Sono pieni di sorprese. Ho anche un debole per
le donnacce, quelle che si ubriacano e bestemmiano, che hanno
le calze molli e il trucco sbavato. Mi interessano di più
i pervertiti dei santi. Mi rilasso con gli scoppiati perché
anch’io sono uno scoppiato. Non mi vanno le leggi, la
morale, la religione, le regole. Non mi va di essere plasmato
dalla società.
E’
questo che ha ucciso Dylan Thomas
E’ questo che ha ucciso Dylan Tomas.
Salgo sull’aereo con la mia ragazza, il tecnico del suono,
il cameraman e il produttore. La cinepresa è in azione.
Il tecnico del suono ha attaccato dei microfoni in miniatura
alla mia ragazza e a me. Sto per andare a San Francisco per
una lettura di poesia. Sono Henry Chinasky, il poeta. Sono profondo,
sono splendido. Palle. Bè, sì, ho delle palle
magnifiche.
Quelli di Canale 15 hanno intenzione di girare un documentario
su di me. Ho indosso una camicia nuova, pulita, e la mia ragazza
è splendida, vibrante, poco più che trentenne.
Scolpisce, scrive e fa l’amore in modo meraviglioso. La
cinepresa mi trafigge la faccia. Faccio finta che non ci sia.
I passeggeri osservano, le hostess sorridono con benevolenza,
la terra è sottratta agli indiani, Tom Mix è morto
e io faccio un’ottima prima colazione.
Ma non riesco a non pensare agli anni trascorsi in camere solitarie,
quando le uniche persone che bussavano erano le padrone di casa
che chiedevano l’affitto arretrato o l’FBI. Vivevo
con ratti e i topi e il vino e il mio sangue si arrampicava
sui muri: come, non riuscivo a capirlo allora e non riesco a
capirlo neanche adesso. Piuttosto che vivere la loro vita, morivo
di fame; mi rifugiavo dentro la mia mente e mi nascondevo. Tiravo
giù le tapparelle e fissavo il soffitto. Quando uscivo,
andavo in un bar dove elemosinavo qualcosa da bere, facendo
dei piccoli servizi, venivo picchiato nei vicoli da uomini sicuri
e ben nutriti, da uomini noiosi e agiati. Bè, qualche
volta vincevo, ma solo perché ero pazzo. Rimasi anni
senza donne, vissi di burro d’arachidi, pane raffermo
e patate bollite. Ero il pazzo, lo zuccone, l’idiota.
Volevo scrivere, ma la macchina da scrivere era sempre impegnata.
Rinunciai e mi misi a bere…
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