comiso



Ave, Maris stella,
 

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Dei Mater alma,
atque semper Virgo,
felix coeli porta.


FESTA DELLA
MADONNA
di Monserrato
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FESTA DELLA
MADONNA DI MONSERRATO


Circa 4 secoli fa a Comiso la Madonna più venerata era 'a Bedda Matri ri Muntisirrato e non, come vien da pensare, 'a Bedda Matri Nunziata o 'a Bedda Matri Ddulurata.

Ciò per il fatto che, sin dalla fine del 13° secolo e soprattutto a partire dalla fine del 14° secolo, a Comiso, come in modo approfondito scrive su COMISO VIVA il prof. Raffaele Umberto Inglieri, ci fu una notevole immigrazione di Spagnoli della Catalogna, che portò a raddoppiare, o forse, a triplicare la popolazione del paese.

E oltre a cognomi, lingua, usanze, attrezzi da lavoro o per la casa, i nuovi arrivati portarono anche il culto per la Madonna più venerata dai Catalani, la Mare de Déu de Montserrat, per la quale costruirono anche una chiesa nella zona, che poi prese nome dalla chiesa.

Per conoscenza dei Comisani, si riportano quattro immagini del santuario di Montserrat in Catalogna.

(Attivando le casse acustiche si può ascoltare
il canto "
Bella mia speranza")







da CASMENE DEVOTA

(Si riportano le brevi notizie che dà sulla chiesa e sulla festa padre Salvatore Pelligra, il quale ipotizza che forse, per qualche tempo, la Madonna di Monserrato fu patrona o compatrona di Comiso)

Fra le amene pendici che coronano Comiso, amenissima è quella su cui sorge maestosa la chiesa di Monserrato, a similitudine di quella di Spagna, che prende il nome dalla singolare configurazione del monte su cui basa le fondamenta.

Questo tempio è sacro a Maria SS. e fu edificato nell'epoca della dominazione Spagnuola in Sicilia; e forse dopo qualche grande avvenimento il popolo scelse Maria di Monserrato a Patrona della città, tale me l'annunziano le rappresentanze popolari di tutte le classi della cittadinanza, che sotto il proprio vessillo, accorrevano sino ai nostri tempi ad onorare Maria nella domenica in Albis (la 1^ domenica dopo Pasqua) nella propria chiesa, e poi processionalmente tra gli spari degli archibugi, di cui erano armati, la conducevano nella chiesa Madrice, da dove poi la riprendevano con la stessa pompa nella seconda domenica di Pasqua per restituirla al proprio tempio.

Appoggiati a questo santuario sono i ruderi di un convento di cui non si sa quando rovinò, e per quale causa; oppure se mai giunse a compimento di costruzione.

... sappiamo che i PP. Filippini conducevano su quel luogo la scolaresca a motivo di ricreazione dopo lo studio, e in quel tempio in tutte le feste dicevano le Litanie alla Madonna Patrona del paese.

"O Comisani, a questo monte sacro a Maria teniamo sempre rivolti gli occhi ed il cuore. Ricordate che gli avi nostri fondarono a canto a Maria il luogo dell'ultima dimora, il camposanto (detto oggi 'u campusantu viecciu).

Preghiamola
(Maria) adunque, acciocché presenti innanzi al trono divino i nostri suffragi a pro dei nostri maggiori, apra loro le porte eternali e li accolga nei tabernacoli del Signore!"







da VICENDE STORICHE DI COMISO

(La festa) trae origine da un Ordine Reale, emanato il 3 marzo 1643, con cui si faceva obbligo a tutto il regno di Sicilia, di solennizzare la Domenica in Albis (la 1^ domenica dopo Pasqua), con una festa apposita in onore della più venerata Madonna d'ogni paese, per impetrare la liberazione dell'isola dalle frequenti carestie e pesti.
Secondo tale ordine, qui fu scelta la S. Vergine di Monserrato, alla cui festa e processione (l'arcivescovo di Siracusa)
mons. Elia e Rossi, il 6 maggio dell'anno dopo (1644), comandava intervenisse tutto il clero secolare e regolare del luogo, nonché le confraternite con le loro croci e stendardi, seguite dal Magistrato dell'università (comune), cui era fatto obbligo di provvedere alla spesa della solennità.

Nella domenica suindicata avveniva il solenne trasporto della graziosa statua in legno della Vergine, protetta da un baldacchino di seta sostenuto da quattro angioli, che, dalla sua chiesa campestre veniva giocondamente trasportata alla Madrice. Dove, con una quotidiana esposizione pomeridiana del SS. Sacramento, era per otto giorni continui presentata alla venerazione dei fedeli, e indi restituita alla chiesa che porta il suo nome.

Negli ultimi tempi la processione più importante era la prima, laddove in antico era la seconda.
Dissi importante quella processione, e, per esser più esatto, avrei dovuto aggiungere bizzarra. Difatti essa consisteva in una manifestazione religiosa così tumultuaria e originale, che oggi di certo non si tollererebbe più.
Apriva il caratteristico trasporto, che i nostri vecchi rammentano con tanta nostalgia, una turba schiamazzante di frugoli e di giovanotti in maniche di camicia, i quali, una falce nella destra e un mannello d'erba nella sinistra, andavano curvandosi per ogni lato della via, fingendo l'atto di mietere.
Dopo sbracciatisi e sgolatisi per bene, a un segno dato, mentre da un lato con gran gesti comici facevano le viste di tergersi il sudore, dall'altro davano l'assalto a una tavola ricolma di pane, vino, pasta, lattughe e ceci abbrustoliti
('a calia) portata a mano dietro a loro.
E lì, a diluviare e a cioncare allegramente di quel ben di Dio, a tutt'onore e gloria della Bedda Matri ri Muntisirratu, per poi ricominciare l'assai facile mestiere.

Alla compagnia dei mietitori teneva dietro un'imponente cavalcata di cavalieri, vestiti quanto più elegantemente e appropriatamente era possibile a ciascuno, i quali facevano a ogn'istante rintronar l'aria con lo sparo a salve de' loro vecchi archibugi, che, se faceva spesso impennar qualche bestia, con grave pericolo del suo cavaliere, formava d'altro lato lo spasso di tutti gli astanti.

Alla cavalcata seguivano i vessilli delle varie congregazioni e corporazioni di mestiere, che partecipavano in gran tenuta alla processione, la cui maggiore attrattiva erano gl'immancabili muli della cuccagna, che procedevano in mezzo a quella sorta di processionanti.
Erano montati da alcuni capi ameni, fra gli ultimi dei quali son ricordati ancora con piacere, certo Salvatore Turtula inteso foca e il mugnaio Francesco Palazzolo, i quali con i lazzi e le arguzie più gustose esilaravano il popolino, al tempo istesso che facevano onore a un gran valancino di maccheroni alla ricotta, che ognuno si disputava gaiamente con due piccoli mariuoli, dal viso tutto impiastricciato di sugo e ricotta, situati in due corbe legate ai fianchi della bestia.

A costoro tenevan dietro il clero e la statua della Madonna, seguita da alcuni strumenti a corda e a fiato, le cui fievoli note si perdevano tra il brusìo dei tanti fedeli, che assistevano a una festa cotanto strana e clamorosa, rallegrata, per giunta, dalla sua brava fiera di bestiame, e che nel suo insieme aveva tutte le apparenze, e forse era difatti il ricordo costante d'un qualche giocondo festum pagano, di quelli cioè che, come i festa cerealia, venivano nell'isola nostra celebrati dal 9 al 16 aprile in onore di Cerere.





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Note

- Le ultime 4 immagini di questa pagina rappresentano rispettivamente:
la Mare de Déu de Montserrat, la montagna di Montserrat, il piazzale esterno e l'interno del santuario di Montserrat.


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Il canto "Bella mia speranza", composto da Biagio Franco, è eseguito dal maestro Marcello Serafini.