L'invidia
nella filosofia
Da Caino a
Nietzsche, la nave dell'invidia è quella con
la stiva più grande nella storia dei peccati capitali. Forse perché
l'invidia sembra riassumerli tutti. Il gesuita Roberto Bellarmino la
definisce efficacemente così: "Un peccato per il quale l'uomo ha
dispiacere del bene d'altri, perché gli pare che diminuisca la
grandezza propria". L'invidia, insomma, è figlia della
frustrazione e di un senso di impossibilità a realizzarsi che si
riflette con un odio distruttivo verso l'altro. Naturalmente, le cose
non sono mai così semplici. Se si scava alle origini di questa
frustrazione si può anche scoprire che nella società della
competizione, del successo e della nuova ricchezza l'invidia cresce a
dismisura, è proporzionale all'esibizione esagerata di pochi contro il
disagio e la delusione di molti.
L'invidia, insomma, è il peccato capitale della nostra società? Ne
parla un sociologo, Paolo De Nardis, in un saggio appena edito da
Melteni (L'invidia. Un rompicapo per le scienze sociali, pagine120, lire
18.000), che analizza comportamenti, linguaggio verbale, generi e tipi
sociali, luoghi psicoanalitici, malesseri e sottolinea qualche possibile
terapia. Si guarirà mai dall'invidia? Il filosofo Remo Bodei nota che
l'invidia è stata considerata "Una pecca della democrazia già dal
mondogreco, dalle Vespe di Aristofane, per arrivare alle analisi
di Tocqueville. In una società in cui tutti sono uguali fatalmente ci
si chiede perché tizio è più ricco o più famoso di me, ciò
evidenzia un rapporto tra uguaglianza e invidia. Nel secondo volume
della Democrazia in America, scritto nel 1840, Tocqueville nota che
nelle società fortemente gerarchiche l'invidia è minore, mentre in
quelle democratiche, dove l'uguaglianza almeno a parole è garantita a
tutti, sono le piccole differenze che feriscono. Dal punto di vista
storico questa idea viene ripresa e rovesciata in Nietzsche attraverso
il risentimento. Per Nietzsche è tipico di tutti i movimenti
tendenzialmente ugualitari - cristianesimo, socialismo o democrazia -,
avere uno spirito gregario: il gregge si difende odiando e invidiando
chi sta sopra, e sostiene infatti che l'inferno è una invenzione dei
cristiani che si trovavano al fondo della classe sociale o erano
schiavi. Dopo Nietzsche, è stato Max Scheler nei primi decenni del
Novecento a indagare l'invidia sotto la sfera della persona, segnando
bene la differenza tra invidia e gelosia, la prima è una specie di
risentimento verso qualcosa che qualcuno ha ma che non mi appartiene,
gelosia invece è la paura che qualcuno mi porti via ciò che già
ho".
Ma, seguendo Nietzsche, anche nella lotta di classe marxista si
nascondeva il germe dell'invidia? Lorenzo Infantino - docente di
filosofia delle scienze sociali alla Luiss di Roma - si dice convinto di
questo: "In fondo - spiega - nella lotta di classe il problema è
questo: ci sono uomini che hanno raggiunto il
successo, ma quel successo
non interessa alla classe inferiore, che in un certo senso non lo
desidera nemmeno, ma preferisce distruggerlo. Al proletario non
interessa diventare imprenditore e gestire un progetto fino al successo,
intende invece demolirlo in se stesso".
Il successo, secondo Max Weber, è fondato su una "ideologia"
che ha radici protestanti. Bisogna supporre che dietro tutto ciò vi sia
anche una sollecitazione dell'invidia? "Non mi pare - replica
Infantino -, il sistema capitalistico occidentale non è fondato
sull'invidia, sulla distruzione dell'altro fine a se stessa, perché i
grandi progetti sono sempre frutto di uomini che non vivono con questo
sentimento, ma si identificano con il loro progetto.
L'invidia non è il motore dell'economia, e del resto il benessere può
essere una strada per ridurre anche i conflitti sociali. Inoltre, non è
Weber il pensatore cui riferirsi parlando dell'invidia in campo sociale
ed economico, ma George Simmel".
Ancora Bodei, riflettendo sulle teorie marxiste, rileva che più che
l'invidia l'autore del Capitale "riteneva che, come in guerra, la
lotta di classe non era mossa da un odio personale bensì essa era un
passaggio necessario della storia per arrivare a una società senza
classi; da questo punto di vista se invidia c'era risultava semmai come
un sottoprodotto. Oggi, rispetto all'ideologia del successo, accade
invece che in molti l'invidia sia una passione da celare, mentre
dall'altra parte cresce il fenomeno della ricchezza ostentata che
indubbiamente genera in molti l'invidia. Prevale il piacere di provocare
l'invidia dell'altro...".
Come tutti i peccati capitali l'invidia è antica come l'uomo. Ce lo
conferma il biblista e teologo Gianfranco Ravasi ricordando che
"nel capitolo 2 del Libro della Sapienza, al versetto 24, si dice
che è per l'invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo. Il
testo antico collega dunque il limite dell'umanità a un peccato di
invidia, Satana è l'invidioso per eccellenza. Guardando la Bibbia si può
dire che esista un filo sapienzale, da Caino a Saul, che cerca di
dimostrare che l'invidia nasce dalla grandezza dell'altro non accolta e
diventata elemento di confronto che rivela un senso di sconfitta. Ma
l'eccesso di amore perverso, il narcisismo, si guarisce solo con un
eccesso di amore autentico...". Volere il bene dell'altro,
apparentemente sembra anche il principio che domina la ricerca del
benessere. Eppure il culto attuale del successo sembra contrastare
radicalmente con tutto ciò. "Il successo - risponde Ravasi -
dovrebbe misurarsi con una riscoperta dei veri valori, a cui si arriva
educando i singoli a un'umanità che attribuisca maggiore significato
alla quiete, alla pace dello spirito, alla ricerca, al desiderio delle
cose vissuto con più distacco. Mi pare che fosse Chesterton a dire che
l'uomo che non è invidioso vede le rose più rosse degli altri, l'erba
più verde e il sole più abbagliante, mentre l'invidioso le vive con
disperazione; la contemplazione spinge a cogliere il valore e non riduce
tutto all'oggetto da prendere e possedere".
ma l'invidioso è
perfettamente riconoscibile...
Osservate
bene il vostro interlocutore, quando gli raccontate di un vostro
successo, o gioia, o fortuna insperata.
Se il viso
gli si contrae e le labbra gli restano serrate, non c'è problema perché
l'invidia è dichiarata. Se invece sorride, nel tentativo si nascondere
il proprio malessere, osservate bene quel sorriso: è tipico e inequivocabile.
(l'invidia logora e fa stare male)
L'invidioso
stira le labbra e scopre i denti, spesso al massimo dell'ostentazione di
cordialità, ma gli occhi, guardate gli occhi: lo sguardo è freddo,
gelido, torbido e ... senza sorriso.
Non si
sono equivoci: l'invidioso sorride solo con la bocca, ma non con gli
occhi.
Un
logoro e pio orlando furioso stira il sorriso e succhia la
bile.
A parte la
sorpresa e la delusione ( anche il dispiacere, se gli volete bene),
constatando quell'atteggiamento in chi credevate amico, ricordate che,
dei due, chi sta peggio, è l'invidioso.
Diciamo
che... "gli si rode il fegato e il sangue gli va in...bile".
Così
diceva mia nonna, ma specificava, per mia consolazione: " l'invidia
ingrassa chi la riceve". Allora
speriamo ( e molti concorderanno) di non suscitare troppa invidia...altrimenti
a dieta..!
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