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Storia
I Ciclopi, noti per la leggenda narrata nell'Odissea, sarebbero
stati esseri giganteschi e mostruosi con un solo occhio, che, possono essere spiegati o come personificazione
dei crateri dell'Etna o dalla presenza di crani di elefanti
nani, certamente esistiti nell'Isola, in cui il buco della proboscide
venne interpretato come cavità oculare. Nell'Odissea
Polifemo, il capo dei Ciclopi, accecato con astuzia da Ulisse,
avrebbe scagliato dei massi enormi per cercare di colpire il
natante dell'eroe greco, senza riuscirvi. Questi massi, caduti
in mare, sarebbero i Faraglioni e l'isola Lachea, antistanti
Acitrezza. Un altro dei miti
cari ai catanesi è il ratto di Proserpina. La grande
fontana in Piazza della Stazione richiama la leggenda della
bella Proserpina, figlia di Zeus e di Demetra, mentre viene
strappata alla terra da un Plutone dal volto corrucciato su
un cocchio tirato da cavalli e da sirene. Trattandosi di una
leggenda legata alla religiosità agricola mediterranea,
anche per il ruolo svolto da Demetra, dea delle messi, il luogo
della scena del ratto è stato rivendicato da diverse
popolazioni, dai tarantini ai lentinesi, dagli ennesi ai siracusani
e ai catanesi. Essa rappresenta, comunque, l'esperienza religiosa
della fertilità della terra, che tra i popoli mediterranei
aveva una grande diffusione. Secondo la tradizione più
accreditata, i più antichi abitatori storici della Sicilia,
che si stanziarono anche alle falde dell'Etna, sarebbero i Sicani,
popolazione agricola che chiamò l'Isola Sicania. Queste
genti furono successivamente cacciate all'interno dai Siculi,
guerrieri provenienti dalla penisola italica. Secondo Correnti,
ancor oggi, quando i siciliani vogliono essere creduti in ciò
che affermano, giurano sui propri occhi, perchè i Siculi
punivano gli spergiuri con l'accecamento. A una leggenda antichissima,
secondo l'Enciclopedia di Catania, edita da Tringale, è
riportata l'origine dell'elefante di Catania, che dal 1239 è
il simbolo ufficiale della città. Questa leggenda, ricollegandosi
al fatto storico che la Sicilia, nel paleolitico superiore,
possedeva tra la sua fauna originaria anche l'elefante nano,
racconta che quando Catania fu per la prima volta abitata, tutti
gli animali feroci e nocivi furono messi in fuga da un benigno
elefante, al quale i catanesi, in segno di gratitudine, eressero
una statua, da essi chiamata col nome popolare di Liotru, che
è una corruzione dialettale del nome di Eliodoro, un
dotto catanese fatto bruciare vivo nel 778 dal vescovo di Catania.
Secondo il geografo arabo Idrisi l'elefante di Catania è
una statua magica, un vero e proprio talismano, costruito in
età bizantina, in pietra lavica, proprio per tenere lontane
dalla città le offese dell'Etna. I catanesi sono legatissimi
al simpatico pachiderma, tanto da autodefininirsi marca elefante
quando vogliono dire di essere catanesi autentici. Altre leggende
popolari sono quelle dei fratelli Pii, che, avendo salvato i
vecchi genitori dalla furia della lava, resero Catania celebre
per la pietà filiale, dei giganti saraceni Ursini, sconfitti
ed uccisi dal paladino Uzeta, del cavallo del vescovo di Catania
che sparì dentro il cratere dell'Etna, della patetica
storia di Gammazita, che si gettò in un pozzo per non
essere disonorata da un soldato francese, della variante catanese
di Cola Pesce, del cavallo senza testa, che gli intriganti frequentatori
settecenteschi di via Crociferi inventarono per non essere notati
o riconosciuti quando si recavano a segreti incontri amorosi
o in luoghi di cospirazione.
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