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L'intelletto e le sue creazioni - La mente "motore del divenire" - Le maschere spirituali dell'io - Il falso e il vero Maestro - Come si percorre il Sentiero -

L'equilibrio interiore - La liberazione dall'ambiente - Il riscatto della volontà - La ricchezza interiore - I frutti del vuoto interiore - I negatori della vita - 

La divinità interiore - Comandare e ubbidire - Donarsi e tacere - Lo splendore della verità - L'insostituibile insegnamento della vita - Il dono più prezioso - 

Il labirinto e l'uscita - Gli errori delle religioni: il mondo non è una valle di lacrime -  Rapporto tra cervello e psiche -

Indipendenza tra senso dell'io e autocoscienza - La vecchia psiche e la nuova psichiatria (esempio del computer)- Elettronica e microchirurgia - 

Dalla parte dell' "io"- Dalla parte di Dio -  La "resurrezione della carne" - Domande senza risposta -

Il vero destino dell'uomo - la vera sopravvivenza - La logica della verità - L'ideologia della sopravvivenza (Congresso di Camerino)- 

Il giusto modo di credere -Il giusto modo di agire - Invito alla responsabilità - Lo spiritismo di punta - Come distinguere le entità - 

Gli spettacoli del fanatismo - La responsabilità del medium.

L'intelletto e le sue creazioni

Guardando le forme della vita animale è facile constatare che ciascun individuo agisce in conseguenza di stimoli che gli vengono o dall'ambiente o dai suoi corpi che presiedono alla vita biologica di sensazione e istintiva. Se si togliessero questi stimoli, l'animale non agirebbe più.    

Nell'uomo, a questi impulsi si aggiungono quelli che vengono dal suo intelletto, per cui se in lui venissero meno gli stimoli comuni agli animali egli continuerebbe ad agire spinto dai suggerimenti che scaturiscono dalla vita di pensiero e che, nell'uomo, rappresenta la parte predominante.

Per constatare la verità di quest'ultima affermazione basta che analizziate voi stessi, alla ricerca di che cosa è che vi muove ad agire, che non è certo il semplice soddisfacimento delle necessità vitali. Già il fatto che le necessità vitali di un uomo sono di più e più complesse di quelle di un animale dipende da istanze di ordine mentale e non fisiologico. Già da questo si ha la misura di quanta parte abbia la mente  nella vita di un uomo.

A maggior riprova, esaminate i problemi connessi al soddisfacimento delle sole necessità di natura fisiologica comuni agli animali, come il bisogno di nutrirsi, ripararsi e accoppiarsi.

Tali necessità nell'uomo non solo, come ho detto, sono assai più complesse dal punto di vista del soddisfacimento, ma sono assunte quale motivo su cui si intesse una attività psichica rilevantissima. Per esempio il problema della casa o del vestirsi, che quasi per nessuno è contenuto nei suoi veri termini, che sono quelli di ripararsi dalle avversità atmosferiche, e  che invece diventa occasione per costruire un intero mondo su cui si trova di tutto: vanità, invidia, competizione, frustrazione, rabbia e via dicendo.    

Anche quando lavorate per guadagnare il denaro occorrente a soddisfare le necessità della vostra vita (che, come ho detto, non sono solo quelle limitate all'indispensabile) voi non adoperate la mente solo per coordinare e dirigere le vostre azioni, bensì l'adoperate anche per esprimere voi stessi, cioè per valorizzare ciò che fate e  quindi la vostra persona: la adoperate per pianificare, per raggiungere un vostro scopo che può essere anche quello di fare meno possibile. E questo fare meno possibile può essere ispirato non solo dalla pigrizia; può avere motivazioni più sottili; può essere considerato e perseguito come dimostrazione della propria furbizia; può essere insomma la conseguenza di una concezione di se stessi nella quale si è tanto più bravi e più "dritti " quanto più si riesce a sottrarsi a quelli che, in verità, sono i propri doveri.

Tutto ciò dice che anche in quelle che sono attività volte a soddisfare semplici necessità fisiche si  innestano motivazioni più sottili che riguardano la persona, il modo di essere dell'uomo nella società, cioè motivazioni di  ordine mentale. 

 

La mente "motore del divenire"

Grandissima parte dell'attività dell'uomo ha una radice mentale. Il "motore del divenire" del mondo umano, che poi è l'impulso che fa agire gli uomini, per la maggior parte di essi è voler possedere oggetti, beni, persone, avere il potere sugli altri, essere al centro dell'altrui; attenzione e stima e quindi essere in una posizione in cui, per merito, si è distinti dagli altri. Tutto questo chiaramente non sorge da necessità fisiche ma è un'attività che nasce dalla mente dell'uomo. Ciò è tanto vero che se nell'uomo cessassero gli stimoli di natura mentale, se cioè vi fossero solo quelli di natura fisiologica, nella stessa misura in cui li hanno gli  animali, egli quasi non agirebbe più.    

Se si prendono in esame gli impulsi di natura mentale, cioè psicologica, si osserva che essi non sono mai puramente mentali, ma sono sempre legati all'appagamento di sensazioni, le quali non necessariamente scaturiscono dai sensi. Direi, anzi, che gli impulsi mentali che spingono gli individui a ricercare sensazioni legate ai sensi  sono in numero esiguo rispetto a quelle non in relazione con l'attività sensoria.  

Inoltre, come gli stimoli che tendono a soddisfare le necessità comuni agli animali sono usati per costruirvi sopra un mondo di situazioni psicologiche, allo stesso  modo, sulle sensazioni discendenti dai sensi l'uomo crea tutta una attività d'ordine mentale nella quale l'attività dei sensi  diventa solo un pretesto: per esempio, il piacere di ascoltare musica, che diventa volontà di apparire un raffinato intenditore, e via dicendo. Come prima dicevo, anche gli impulsi psicologici che non sono legati all'attività dei sensi, allorché trovano soddisfacimento originano sensazioni: per esempio, il voler essere al centro dell'altrui attenzione quando è appagato da una sensazione che non stento a definire epidermica. 

Tutto questo perché c'è uno stretto collegamento fra il corpo delle  sensazioni ed il corpo mentale. Approfondendo, si potrebbe fare una classificazione delle sensazioni distinguendole in quelle originate dai sensi, e quindi dal mondo materiale, e quelle originate da motivi psicologici, cioè da un mondo più rarefatto. Un tale approfondimento riserverebbe molte sorprese. Guardate, per esempio, il voler possedere beni materiali.

Non c'è desiderio più materiale di questo, si direbbe con un giudizio superficiale; invece un simile desiderio nasce dalla mente, è di natura psichica perché può essere determinato, per esempio, dalla ricerca di una sicurezza che l'individuo identifica nel possesso di beni; oppure può discendere dal bisogno di valorizzare la propria persona attraverso la ricchezza, nella convinzione che quanto più l'uomo riesce ad accumulare  beni materiali e tanto più vale. Il goloso è molto più sensuale dell'avido di be ni materiali; così come un anacoreta può essere molto più avido di un ricco mercante. La psicologia dell'uomo è complessa e può rivelare motivazioni di condotte assolutamente insospettate.

 

Le maschere spirituali dell'io

In molte altre occasioni abbiamo parlato dell'io, dei sottili processi mediante i quali realizza le sue trame ambiziose; abbiamo anche accennato alle mimetizzazioni che l'io è capace di attuare, mascherando intenzioni assolutamente egoistiche con atteggiamenti altruistici. Sempre per la  stessa capacità mimetica, l'io e il suo bisogno di valorizzarsi molto spesso si nascondono dietro modelli di vita improntati all'umiltà, alla spiritualità. Abbiamo detto di religiosi e spiritualisti che, nell'apparente dedizione a Dio della loro vita, sono volti invece a guadagnarsi una posizione di rilievo nel regno celeste; cioè sono più ambiziosi di quelli che una posizione di rilievo cercano di averla nel mondo dibattendosi, arraffando, sfruttando le risorse della società umana.  

Voi potete pensare che questo argomento non sia di interesse generale dato che esiste una crisi di vocazioni religiose; ma siccome, in compenso, c'è un'inflazione di organizzazioni che hanno come fine quello di realizzare l'uomo spirituale, una riflessione sui motivi e gli atteggiamenti di chi persegue una tale realizzazione credo che sia doverosa.  

L'uomo in cui domina l'io fa tutto in funzione di se stesso; tutto quello che fa deve portare, alla fine, un contributo alla valorizzazione della sua persona. 

Anche quando sembra che agisca per aiutare gli altri, l'azione altruistica nasconde come minimo il desiderio che la sua generosità sia risaputa e il suo prestigio accresciuto. Se qualcuno gli proponesse di donargli l'arte di Michelangelo per creare opere che però nessuno saprebbe mai di chi sono, con tutta probabilità non accetterebbe ciò che non gli darebbe alcun vantaggio. L'azione solo per la giustezza dell'azione in sé è sconosciuta all'uomo egoista, all'uomo dominato dall'io. 

Ora, il fatto che un tale uomo volga il suo interesse e la sua azione nel campo dello spirito non può significare che il suo  modo di concepire il mondo è cambiato; sicuramente egli ha solo spostato la sua attività, ha solo cambiato genere, probabilmente perché spera di riuscire ad affermarsi e a valorizzarsi meglio in quel campo di quanto non riesca in altri. E infatti un religioso, uno spiritualista può benissimo essere tale con il solo intento di voler possedere oggetti, beni, persone; avere il potere sugli altri; essere al centro dell'altrui attenzione e stima, e quindi in una posizione in cui, per merito, è distinto dagli altri.

Costui può benissimo essere religioso e spiritualista per le stesse ragioni che muovono, fanno agire un laico.  

Siccome l'uomo tende a realizzare fuori    di sé le situazioni che possono appagare le sue intime aspirazioni - cioè quello che nasce come interiore necessità deve sboccare nel mondo esterno, soddisfarsi, trovare appagamento esteriore e quindi appagamento interiore -, un uomo che pensa di trovare nel campo religioso-spirituale la valorizzazione della sua persona reciterà quanto meglio possibile il suo ruolo non solo per convincere gli altri, ma anche per meglio raggiungere il suo scopo. 

Disgraziatamente, però, la verità di se stessi non è l'azione, bensì l'intenzione. La mèta che un simile uomo potrà raggiungere sarà quella di essere stimato un grande spirito, ma la sua realtà sarà ben diversa. Lo tengano presente coloro che dedicano tutta o parte della loro vita allo spirito, a Dio: come e più di ognuno hanno il dovere di chiedersi la ragione che li anima. La loro vocazione chiede come compenso la protezione divina, e quindi l'assenza di problemi e dolori?

Se così fosse, resterebbero delusi. Oppure si sacrificano per avere una ricompensa nell'altra vita? Se così fosse, perderebbero tempo.      

Tale invito non è diretto solo agli ecclesiastici; lo è anche ai religiosi, e soprattutto ai gruppi spintici, spiritualisti e simili, e a coloro che si dedicano a discipline che mirano a dare "poteri " o addirittura a far evolvere. 

 

Il falso e il vero Maestro

Innanzitutto un avvertimento, che riguarda il vostro rapporto con una simile realtà umana, cioè con chi, facendo leva sulla vostra aspirazione, sul vostro desiderio, cerca di mettervi un'etichetta, di catturarvi, spesso promettendovi poteri o privilegi spirituali. 

Da moltissime parti ho sentito pseudo Maestri affermare che seguire i loro corsi di istruzione reca il dono di annullare i semi dei karma negativi. Chiaramente questa è un'esca per tenere avvinti a sé quelli che stanno ad ascoltarli. E di queste esche ne vengono usate moltissime. Alcuni promettono poteri paranormali, che gli incoscienti desiderano ardentemente al punto di inventarseli. Le promesse, fortunatamente, non sono poi mantenute, ma la colpa è attribuita agli aspiranti che  non riescono a seguire le prescrizioni, deliberatamente inventate impossibili a seguirsi in modo che nessuno possa verificarle e così scoprire il gioco.  

Quando si vogliono tenere avvinte le persone c'è sempre un movente egoistico, perché il vero Maestro al massimo arriva a proporsi, mai ad imporsi. Quando così non è, siate certi che si vuole rendervi dipendenti per accrescere il proprio potere, per accarezzare la propria ambizione.

Al vero Maestro che agisce in purezza non interessa affatto avere discepoli e seguaci perché non si serve di loro per crescere in importanza  agli occhi degli uomini; non cerca di apparire un depositario di verità esoteriche, spacciando per segreti divini notizie che, al massimo, hanno il valore di un pettegolezzo.   

E, questa è la cosa più importante: quale insegnamento viene impartito. Al limite, anche il peggiore degli insegnanti

può essere tramite della comprensione del discepolo. La comprensione del discepolo dipende dalla sua maturazione e quindi non può essere donata dal Maestro. Perciò un discepolo "pronto " comprenderà e sboccerà da qualunque parte gli giunga la Verità.

Certo, quando si vedono "istruttori " ordinare ore e ore di meditazione, e la recitazione di salmi o mantra, ben sapendo che questo fa parte di un programma per tener avvinte le persone, non si può fare a meno di scoprire il gioco, onde rendere più accorti gli sprovveduti.    

Qualunque organizzazione, scuola e via dicendo che accoglie proseliti solo per la loro volontà di adesione, se non vuoi vederseli fuggir via dopo il primo momento di entusiasmo deve mantenere desto il loro interesse. Un mezzo, per esempio, è mettere i seguaci al centro di una attività che faccia loro rivestire un ruolo creativo determinante nei confronti di se stessi o degli altri; quando questo non si può fare sul piano materiale, si ricorre all'irraggiungibile piano spirituale. Certo, lo sforzo che si è disposti a fare per se stessi può essere sostenuto più lungamente. Perciò che cosa c'è di più adatto che gorgheggiare salmi e formule, quando si tratta di aiutare gli altri?  

Non gettate il vostro tempo e le vostre energie in rituali inutili. Se volete fare qualcosa per gli altri, fatelo direttamente sul faticoso piano concreto e non comodamente a distanza, col pensiero.

E per voi stessi, ora, chiedetevi con tutta sincerità: perché seguite maestri, scuole e discipline? Per diventare più potenti, più importanti?, per liberarvi dai karma dolorosi?, per essere al centro dell'altrui attenzione?, per catturare l'altrui considerazione? Se così è, lo fate per accrescere il vostro io.

Può essere una scelta; anzi, quando così, imperiosamente si sente, non si riesce a ragionare, a fare diversamente; ma non si parli dà " spirito ", di "purificazione ", di "unione "! 

 

Come si percorre il Sentiero

La condotta più spirituale che può esservi è quella di voler purificarsi dall'egoismo, dall'io, che è l'unica purificazione vera per realizzare l'unione del proprio essere, che poi è la  "comunione con tutti gli esseri", l'unica vera "unione"!  Se poi le associazioni, le scuole, le discipline che seguite vi dànno distensione, serenità, forza, hanno dato tutto quello che possono dare. Di più non potrebbero. Ciò che potete realizzare da quella condotta, come equilibrio, sicurezza di sé, volontà, non deve essere da voi considerato fine a se stesso bensì come punto di partenza per dare un aiuto efficiente agli altri, per non avere bisogno di aiuto ed essere, così, in grado di aiutare.    

E' una concezione ben diversa da quella in cui lo sviluppo di sé ha lo scopo di elevare al di sopra degli altri per godere della propria superiorità. E' la massima evangelica: « I massimi debbono servire i minimi «. E una concezione che non vi aliena dalla vita,  dal mondo.  

La giusta posizione di chi crede in un senso spirituale della vita non è quella che porta a isolarsi, ad allontanarsi dal mondo; è quella in cui la vita contemplativa è concepita, al massimo, come una fase transitoria, come una pausa per una riflessione, perché è proprio dal contatto con i propri simili e con le più disparate situazioni che si raccolgono gli stimoli necessari ad ampliare la propria coscienza.

Seguire la " via dello spirito " non significa far crescere d'importanza il proprio io in un ambiente cosiddetto spirituale, ma che di spirituale ha solo il nome.

La verità di se stessi è l'intenzione. Perciò è perfettamente inutile modificare la propria condotta, la propria veste, quando l'intenzione rimane la stessa. Piuttosto restate al vostro posto e modificate le vostre intenzioni, convincendovi che ognuno dagli altri prende e, per giustizia, agli altri deve dare.

Solo questo deve essere il movente che spinge ad aiutare i propri simili, quando non si è spinti dall'amore per essi. Questo significa dare il vero senso spirituale alla propria vita: vero perché universale; che può essere accettato anche da chi allo spirito non crede; vero perché non è alienante, non esalta l'io non è fanatico.  

E quanto è facile, per voi, cadere nell'esaltazione; dopo di che attribuite virtù miracolose alle diete, i rimedi, le discipline di cui vi siete innamorati.

Vi dò anch'io una prescrizione per recarvi sollievo, senso di liberazione: mordetevi una mano fino a sentir male e continuate a farlo per un quarto d'ora, poi cessate. Sentirete che senso di liberazione e di sollievo!  

Chi da queste mie parole sarà toccato nei suoi interessi egoistici, certamente affermerà che esse vengono da entità basse, ignoranti, da forze negative. Così dicendo commette un errore grossolano: vuol distruggere il valore di una affermazione ne distruggendo chi la fa; e ciò è manifestamente illogico perché il valore di un messaggio non  dipende dal valore di chi lo pronuncia ma dal suo significato. Quest'ultimo vale discutere, non altro: e questo vi invito a fare.

                                                                                                                                                                                                               CLAUDIO

 

L'equilibrio interiore

Om Mani Padme Aum

Salve, fratello caro. Molte volte ti è stato ripetuto che il tuo corpo fisico è  solo un mezzo, uno strumento che ti permette di manifestarti nel piano della materia più grossolana.

Le discipline dettate dalle filosofie orientali ti esortano a non identificarti con il tuo corpo, con le tue sensazioni o coi tuoi pensieri, perché tu sei altro di tutto ciò. Purtroppo queste affermazioni, che sono in sé vere, quando sono male interpretate conducono a concezioni e comportamenti errati.     Uno degli errori che puoi commettere, fratello caro, è quello di credere che il corpo, le sensazioni, i pensieri non abbiano alcun reale valore e che tu, come uomo, debba tenerli in nessun conto. Venendo a sapere  che i tuoi pensieri, le tue sensazioni sono, in effetti, attività di altri corpi indipendenti dal fisico, ossa sono parti del tuo essere, tu poi commettere l'errore di credere che vi siano delle parti più importanti di altre.

Vorrei farti ben capire come tutti questi siano errori non solo dicendoti che, invero, le cose stanno diversamente, ma facendoti comprendere come, in realtà, esse sono. Tu devi considerare il tuo corpo fisico, il tuo corpo astrale o delle sensazioni e desideri, il tuo corpo mentale o dei pensieri, una sorta di macchina, di automatismi che funzionano  rispondendo, reagendo a degli stimoli. Se tu potessi mettere uno di questi corpi in un ambiente asettico, in cui ricevesse un solo stimolo di natura nota, tu potresti osservare la relativa reazione e scopriresti che essa è analoga a quella dello stesso corpo di un tuo simile, ma non è mai identica. Nulla, nel Cosmo, è mai identico ad un'altra cosa. La massima eguaglianza che si riscontra è la similitudine, l'analogia; mai l'identità.

Gli stimoli che fanno reagire e funzionare i tuoi veicoli, facendoti insorgere pensieri, sensazioni, emozioni, desideri, facendoti compiere azioni e incontrare esperienze non provengono tutti dal tuo profondo essere e dalla tua vera natura.

Facendo questa affermazione, due sono i concetti che io debbo chiarire: qual è il tuo profondo essere e quali altri stimoli fanno reagire i tuoi veicoli.

Il nucleo di te stesso, ciò in cui si riassume tutto te stesso, la vita di tutte le parti di cui sei costituito, che è la tua vera natura, è quel quid che da  solo dovrebbe dirigere ed ispirare l'attività di tutti i tuoi veicoli. Questo quid, rivelato dalle sensazioni, dai pensieri, è pura coscienza di esistere, è il tuo sentire più profondo e più vero; tuttavia, in te uomo, non è più importante delle altre parti che ti costituiscono.

Nell'uomo evoluto, quello in cui la coscienza individuale è costituita, gli stimoli che fanno agire i veicoli provengono unicamente da questo quid ed allora quell'uomo è padrone di se stesso, della sua mente e delle sue emozioni; agisce sotto la sua volontà; ha un suo pensare, un suo desiderare, un suo volere. Ma prima che la coscienza sia costituita, gli stimoli che mettono in moto la mente e i desideri che fanno agire l'uomo possono venire dall'ambiente in  cui vive, dalla società che lo attornia.

Fratello caro, se tu volessi guardare dentro di te con sincerità ti accorgeresti che sei dominato e preda di un gran numero di suggestioni, che tu credi siano tuoi bisogni essenziali e non ti accorgi che sono invece solo delle pseudo-necessità; esigenze che nascono dal desiderio che altri ha suscitato in te; tranelli della mente che ti rendono schiavo dell'altrui apprezzamento, del giudizio favorevole dei tuoi simili.

Non solo: le influenze a cui soggiaci non riguardano solo la tua vita sociale, i tuoi comportamenti con gli altri; si insinuano nella tua mente, diventano tue opinioni, e tu pensi non come senti ma come gli altri vogliono che tu pensi. E così è anche dei desideri. Se tu potessi essere messo in una sorta di ambiente sterile alle influenze ed ai condizionamenti che ne derivano, ti scopriresti molto diverso da quello che credi di essere. 

 

La liberazione dall'ambiente

Udendo queste mie parole, subito trai la conclusione che gli stimoli che tu ricevi dal tuo mondo siano deleteri ai fini della tua evoluzione, perché si sostituiscono alla tua vera natura e ti impediscono di essere te stesso. Vedi, fratello caro, quando la coscienza è embrionale, la mente ed il tuo corpo astrale hanno un'attività che è provocata eminentemente dagli stimoli ambientali, e si hanno delle esperienze che hanno origine dal fatto che si recepiscono quegli stimoli. Se quelle esperienze sono amorali, significa che non si ha un sentire che lo vieterebbe, una coscienza che farebbe respingere la suggestione esterna.         

A mano a mano che si cresce interiormente, si diventa sempre più indipendenti dall'ambiente in cui si vive, dalle sue influenze: la coscienza si costituisce dando una sempre maggior autonomia di pensiero e di desiderio, uniformando sempre di più la  propria volontà alla volontà del Tutto-Uno sino a quando la mente e le emozioni rispecchiano solamente il sentire profondo,  e il volere rispecchia il volere divino.    

Certo, fratello caro, si tratta di un processo graduale che comprendo una lunga serie di falsi in cui i pensieri, le sensazioni, le azioni indotte dall'ambiente via via cedono il passo a quelle dettate dall'intimo essere. Quindi proprio vivendo, proprio soggiacendo agli impulsi ambientali tu impari, per reazione, a diventare padrone di te stesso, a prendere coscienza del tuo essere. Vivendo hai delle esperienze che sono provocate in te dall'ambiente in cui sei, e poco a poco prendi coscienza di te stesso.    

Tu non vivi più seguendo l'istinto, come è nel regno animale, ma vivi consapevolmente, conscio delle tue azioni e delle conseguenze che esse hanno sugli altri, e ti sottrai a tutte quelle influenze a cui ora, inconsapevolmente, soggiaci. E tu vedessi quante sono, fratello caro!   

Via via che tu sperimenti la vita con tutto ciò che essa comporta, il tuo sentire profondo si amplia, la tua coscienza si espande. Ad un tale arricchimento corrisponde una vita di pensiero e di emozione più tua, più sottratta alle influenze ed alle suggestioni ambientali.

Il cammino è faticoso e doloroso: il dolore è il naturale correttivo che ti distoglie dalla direzione sbagliata, che ti fa comprendere ciò che non riesci a capire. Ma tu puoi, anzi tu devi raggiungere la stessa mèta con altri mezzi, ossia partecipare attivamente alla presa di coscienza di te stesso. Perciò è importante che tu ponga attenzione al tuo intimo per comprendere fino a che punto tu sei preda delle suggestioni ambientali; fino a che punto ti lasci trascinare o condizionare dai tuoi simili.

E' vero che tu senti la suggestione in te e, se la senti, ciò significa Che tu non hai superato l'idea di possedere ciò che desideri, perché se tu l'avessi superata non cadresti preda della suggestione; e quindi l'ambiente sociale non è responsabile dei tuoi desideri ma sei tu che non sei padrone di te stesso, maturo, spiritualmente adulto; tuttavia, se non poni attenzione al processo che si svolge in te, se non ti rendi conto di quanto sei dominato, non raggiungerai mai quella coscienza di se stessi che rende liberi e maturi. 

 

Il riscatto della volontà

Non essere abbandonato come le foglie cadute al vento. Sii consapevole di quanto sei vulnerabile e ricettivo all'altrui influsso. Più che desiderare ciò che altri ti fanno desiderare, devi avere un tuo desiderare; e più che un tuo desiderare, devi avere un tuo volere: Tu devi anche essere conscio che, come uomo, sei un essere costituito di più parti, nessuna delle quali è più importante delle altre, ma tutte debbono essere armonicamente unite e svolgere ciascuna la funzione che le è propria, in dipendenza del tuo vero, profondo sentire, sotto la direzione del tuo volere: volere che deve scaturire dalla conoscenza di te stesso, fratello caro.

Tu devi trovare il giusto equilibrio dell'attività dei tuoi corpi. 

Lo scopo della tua vita non deve essere costituito dalla sola attività di un tuo veicolo. Non devi imperniare tutta la tua esistenza sulla valorizzazione del tuo corpo fisico, non devi spenderla nella sola ricerca di nuove emozioni o nell'appagare tutti i tuoi desideri, non devi fare del tuo pensiero l'unico interesse della tua vita, altrimenti cadi nell'eccesso ed ogni eccesso è sempre squilibrio.     

Il tuo vivere, fratello caro, deve rappresentare la giusta misura fra la cura del tuo corpo, la vita di sensazione e l'attività intellettiva. Ogni tuo corpo è costruito per avere una giusta attività; è dannosa tanto l'inerzia quanto l'eccessiva azione.    

Esaminati con sincerità, osserva se sei preda di eccessi e ristabilisci il giusto equilibrio. Sii tu a farlo prima che la natura, attraverso dure lezioni, ti convinca della necessità di  perseguire la temperanza.     

Ricorda: come l'evoluzione conduce gli esseri a riconoscersi in Uno solo, Unico Essere, così tu cerca l'unione armoniosa e consapevole delle parti che costituiscono il tuo essere di uomo.

Om Mani Padme Aum

                                                                                                                                                                                    FRATELLO ORIENTALE 

 

La ricchezza interiore

L'uomo della civiltà occidentale riversa tutta la sua attenzione sul mondo da lui creduto esterno, e tutta la sua attività la indirizza verso fini che hanno attinenza con quel mondo. Anche la preparazione, la cultura, la professionalità, la perizia, insomma tutte quelle doti che sono patrimonio della persona, sono importanti solo per quanto possono valere nella società, per quanta importanza possono attribuire a chi le possiede e, conseguentemente, per quanta stima o prestigio riescono a fargli riscuotere.

Questo finalizzare la propria vita verso obbiettivi che riguardano il mondo esterno, fa sì che l'intimo dell'essere, con tutti i suoi moti dell'animo, rimanga per l'uomo occidentale assolutamente sconosciuto. Le ragioni che determinano i comportamenti, almeno quelle più recondite, rimangono ignorate, e quando i comportamenti sono anomali si vorrebbero correggere senza prendere in considerazione le cause intime che li scatenano.

A tale ignoranza della propria vita intima fa coronamento un vuoto interiore abissale. Così, mentre ciascuno cerca di organizzare e di programmare la propria vita di relazione, nessuno dedica il suo tempo ad analizzare se stesso. A tale attività esteriore non fa riscontro una riflessione, una meditazione tesa a lievitare le qualità intime migliori: la capacità di sentire.         

Chi non è capace di vibrare interiormente, chi si annoia se non è posto in contatto  con situazioni dinamiche che dànno sensazioni forti, chi non ha la sensibilità di sentirsi pago anche con la sua sola vita intima, è una creatura che non possiede la più vera e la più bella ricchezza, quella interiore.

Avere una vita interiore od essere interiormente ricchi significa trovare nel proprio intimo tutti quegli incentivi, quei motivi che fanno vivere e che generalmente sono cercati nel mondo esterno; significa avere una vita di pensiero che non sia vòlta esclusivamente a indirizzare e dirigere la propria attività; significa non annoiarsi restando soli con se stessi e avere tanta sensibilità da emozionarsi con la meditazione come altri si emozionano nell'ammirazione, per esempio, di paesaggi sconosciuti.    

Tutto ciò non significa vivere staccati dalla realtà, in un mondo di fantasia; al contrario; significa vivere più intensamente, avere la capacità di vibrare non solo con gli stimoli grossolani ma anche con le sole sfumature; soprattutto significa avere delle doti  e delle qualità interiori tali da costituire un mondo in attività anche nell'isolamento più totale, ed essere, in mezzo agli uomini, un punto di orientamento da cui possano trarre forza e ispirazione per la loro vita.   

Chi possiede la ricchezza interiore non vive mai solo per se stesso; ecco perché essa non può e non deve essere considerata come un insieme di qualità di cui ornarsi. Sarebbe un errore considerarla fine a se stessa; e se è auspicabile, non lo è perché valorizza chi la possiede; è importante e auspicabile perché amplia lo spazio in cui l'uomo può avere esperienze e, quindi, stimoli che incrementano il destarsi alla vita di coscienza.

Chi non ha una sua vita interiore, chi cerca stimoli esclusivamente dalle situazioni  del mondo esterno, finisce col saturarsi di quelle situazioni, e per trovare nuovi stimoli, si direbbe per fuggire la noia, per richiamare l'attenzione degli altri su di sé, per colmare in qualche modo il suo vuoto interiore, può perfino ammalarsi. Quale motivo di interesse, di autocompatimento sono le proprie malattie!       

State attenti a non far diventate scopo della vita i vostri malanni più o meno immaginari; cercate di non creare, o di non esagerare, i vostri problemi; cercate di non farli diventare qualcosa che serva a colmare il vostro vuoto interiore.  

Chi dà sapore alla vita solo per mezzo degli stimoli che gli vengono dal mondo esterno, quando questi gli vengono a mancare, o non gli dicono più nulla, si trova faccia a faccia col suo vuoto interiore e resta attanagliato dall'angoscia. Nasce così il problema di come sfuggire all'angoscia. 

 

I frutti del vuoto interiore

Le soluzioni che si adottano possono essere molteplici e più o meno tragiche. Dalla ricerca di conforto e di aiuto da parte di qualche sedicente maestro, alle droghe e al suicidio.

Certo è  che le soluzioni sono tutte errate perché non sradicano la causa dell'angoscia che, appunto, è il vuoto interiore, ma si limitano a tamponare l'effetto cioè a tacitare l'angoscia stessa.    

Cercare il conforto della protezione di qualche "istruttore spirituale " è una illusione. Nessuno può fare per il singolo quello che il singolo personalmente, individualmente deve  fare; nessuno può togliervi quello che, inevitabilmente, per il vostro progresso individuale, dovete fare. Chi vi promette avanzamenti nella via dello spirito, o immunità dagli avvenimenti dolorosi, vi illude. Noi stessi, se erroneamente pensate che vi promettiamo tutto ciò, siamo per voi involontaria fonte di illusione.      

Non dovete venire a noi sperando che noi possiamo farvi crescere, maturare spiritualmente o colmare il vostro vuoto interiore senza una partecipazione viva e diretta da parte vostra.

Noi siamo come il cibo per l'affamato, il quale non si sazia al solo guardare il cibo ma deve portarlo alla bocca, altrimenti non si sfamerà, né si sfamerà guardando gli altri sfamarsi.   Non dovete venire a noi sperando che noi, per voi, risolviamo i vostri problemi o vi diamo serenità allontanando i motivi del vostro affanno. Noi, al massimo, possiamo insegnarvi a risolvere i problemi, a trovare in voi stessi quella forza che fa restare sereni e padroni di sé anche nelle avversità più dure. Ma sempre dovete essere voi stessi gli artefici di un tale vostro intimo cambiamento.    

Ricorrere alla droga per obliare l'angoscia che nasce dal vuoto interiore è eludere il problema nel peggior modo. Non si deve credere, però, che drogati siano solo Coloro che assumono sostanze chimiche alienanti. Se drogato è colui che è ricorso a eccitanti per stordirsi e sfuggire all'assillo dei propri problemi o alla noia del proprio vuoto interiore, i drogati sono molti di più di coloro che sono bollati con un tale aggettivo: in un certo senso, drogato è colui che si stordisce con l'alcool, chi fa del sesso un eccesso, chi è posseduto dal gioco, chi si serve della religione o della politica per evadere dalla realtà, colui che riesce a vibrare, a vivere solo schiacciando gli altri, chi fa delle gare sportive un pretesto per sfogare la sua bestialità, e così via. 

 

I negatori della vita

Vi sono alcuni che, non sapendo come colmare il proprio vuoto interiore, finiscono con l'uccidersi. Rifiutano la vita che, a loro giudizio, non sa dare un valido motivo di essere vissuta e non si accorgono che, invece, sono loro che non sanno trovare una ragione di vita.    

Piuttosto che rifiutare la vita, qualunque scopo si dia ad essa, sarà sempre uno scopo valido. Forse vivere solo perché si ha uno scopo che trascina, una qualunque mèta che si vuole raggiungere, può essere simile a trovare nelle droghe eccitanti lo stimolo a vivere; ma piuttosto che non vivere, cioè essere abulici, inerti, rinunciatari, è meglio essere degli esaltati, dei fanatici, degli invasati. Cadere nell'abulìa, nell'inerzia, nell'assenza di desiderio, è come suicidarsi, perché il desiderio è vita e vivere, anche in modo opposto al raggiungimento delle qualità interiori, alla fine porta sempre a quelle qualità, alla costituzione della coscienza individuale.

Dal proprio vuoto interiore alcuni sono portati a distruggere le qualità degli altri, dei loro simili , per sentirsi meno poveri, meno mancanti della vera ricchezza. Sono creature che comunemente si definiscono ciniche perché beffardamente disprezzano tutto. 

Così facendo, oltre che distruggere se stessi distruggono gli altri. Ciò è una forma di omicidio perché, come è suicidio l'abulia, il rinunciare a lottare per vivere, così distruggere l'attività, il pensiero, le intenzioni altrui è come distruggere la loro vita nei confronti dell'umanità.       

Chi veramente vale  non ha bisogno di minimizzare il valore altrui; non teme il confronto perché neppure se lo pone; non vive per essere il più bravo ma ciò che fa lo fa per amore al fare, al creare. Chi ha questo amore non sente sacrificio e non chiede ricompensa; la sua ricchezza interiore è mercede sufficiente; non aspetta che gli altri facciano o diano l'esempio; non è trascinato dalla decadenza e dal dilagare della disonestà e dell'angoscia e dell'ingiustizia ma, al contrario, vi si oppone facendosi modello di comportamento, perché sa che quando il denaro diventa padrone degli uomini,

quando gli scandali si susseguono senza più scandalizzare,

quando la giustizia colpisce solo i deboli ed i poveri,

quando la ragione più non vale e si pensa solo ai propri diritti,

quando si cerca solo lo svago,

quando il divertimento più non diverte,

quando, per fare il proprio dovere, è necessario avere paura, allora, perché non accada il peggio,

è il momento di capire che ognuno è responsabile

e che a ciascuno individualmente

spetta rendere bello e funzionante il suo mondo.

                                                                                                                                                                                 CLAUDIO

 

La divinità interiore

Sorelle, fratelli, la mia gioia di questo momento mi viene da voi, dal tatto che voi state ad ascoltarmi, mi accogliete. Come desidero, perciò, contraccambiare la gioia che mi date. Oh se riuscissi ad esservi utile!  

Certo non lo potrei tentando di spiegate la perfezione  di Dio. Io sono così poca cosa che non posso certo aspirare a capire tanta immensità. Ma tutto quello che sento in me, Dio me ne fa dono immeritato. E' come se il Suo potere, a cui nulla è impossibile, quell'oceano infinito ch'Egli è, entrasse e si  facesse contenere in una piccola piccola coppa. Sì, anche a chi è ben poca cosa Egli si rivela in tutta la Sua grandezza.

Ma Egli si rivela solo quando abbiamo imparato ad amarLo nelle Sue creature; e quanto poco impegno, invece, mettiamo in ciò!  Anzi cerchiamo, facciamo di tutto per mettere fra noi e loro delle barriere. Anche quando una simpatia, un amicizia sbocciano grazie ad un moto istintivo e inconsapevole, col volere mettere i punti sulle i, col voler dare sapore al sale, finiamo col raffreddare ed estinguere il reciproco slancio. 

Forse se ponessimo più attenzione a noi stessi, alle nostre imperfezioni, ci sarebbe più facile capire i difetti dei nostri simili, perché " simili "  si chiamano non solo per l'aspetto fisico, ma anche e soprattutto per l'essere interiore.

Sicuramente nessuno è perfetto; è fin troppo facile trovare dei difetti nei propri fratelli; ma se amiamo così tanto la perfezione da volere che essa sia attorno a noi, allora almeno una di quelle virtù che lamentiamo mancare negli altri facciamo che sia nostra. Siamo sinceri con  noi stessi; ammettiamo che poi, con la critica che facciamo a chi in qualche modo richiama l'uomo ad una vita retta, noi cerchiamo di creare una ragione per la quale non seguirne il richiamo; cerchiamo di crearci un alibi, distruggere l'uomo per zittire, annullare ciò che egli dice.

E' più facile negare Cristo che seguirne il Vangelo. E anche quando non Lo si nega, è più facile dire che fare. 

 

Comandare e ubbidire

Generalmente all'uomo piace sentenziare, disporre, comandare. Ma chi è preposto  al comando dovrebbe sempre pòrsi, nell'intimo suo, nei panni di chi deve eseguire e non chiedere di più di quanto egli stesso possa sopportare. Chi è preposto al comando sia consapevole della responsabilità che ha, essendo responsabile di coloro che  dirige; il suo ufficio non si esaurisca con l'ostentare il suo grado, col gloriarsene: piuttosto sia preoccupato per quello che l'ufficio comporta. E chi è in sottordine, subordinato, non si senta perciò privo di importanza.

Lo stesso Cristo, dicendo « Padre, sia fatta la Tua volontà e non la mia» ci ha insegnato la via dell'ubbidienza e ci ha svelato che essa è comandata da Dio. Dire con convinzione « sia fatta la Tua volontà « è avere trovato la sicurezza che il dolore che incontriamo è  sempre il frutto dei nostri errori, è sempre il frutto della nostra incomprensione, e che Dio lo permette per il nostro vero bene, per un fine non di vendetta ma di amore.  

Ripetiamo con convinzione le parole del salmista: 

" Signore, Tu sei il mio  Pastore, io non mancherò di nulla; mi fai riposare su verdi pascoli, mi conduci presso acque tranquille, ristori l'anima mia. Anche se camminassi nella valle delle tenebre non temerei nulla di male, perché Tu sei con me ".

« Oh, Padre, fa' ch'io Ti veda attraverso le creature; fa' ch'io non mi fermi al lato tristemente umano, agli inevitabili limiti, ai diletti più, o meno scostanti; fa' ch'io non consideri la loro abilità, la loro sicurezza, la loro bellezza come qualcosa che appartiene a loro ma che li consideri Tuoi doni, quali in effetti sono; fa' che al di là di ogni apparenza io veda Te, Essere per Essenza, di cui noi siamo riflessi, tanto più somiglianti quanto meno siamo limitati.       

«Ciò che  Tu vuoi che l'uomo faccia e come l'uomo sia non è un mistero solo che l'uomo lo voglia, che se lo domandi. E non si può neppure dire che fare la Tua volontà sia faticoso, costi sforzo; lo è quando l'uomo non vuole, ma quando ci si abbandona a Te,  quando si dimentica se stessi, il proprio guadagno, il voler apparire, allora la Tua via porta innanzi con sicurezza, con la gioia nel cuore e una forza che tutto fa superare.

« Se si fissano in Te i nostri propositi Tu non ci abbandoni, ricolmi di consolazione la nostra vita. Capisco, o Signore, che è a Te che dobbiamo consapevolmente e volontariamente venire. Dicci dove dobbiamo guardare per vederTi e non vedere altro. Se, come dice sant'Agostino, quelli che si rifugiano in Te è con la fede che Ti trovano, dacci, o Signore, la fede; se è con la virtù, dacci la virtù; se è con la scienza, dacci la scienza.

«Forse per trovarTi, o Signore, dobbiamo lasciare il mondo, gli affetti, la famiglia, il lavoro? E' proprio indispensabile  che rinunciamo a tutto, ci isoliamo? No, Tu non lo vuoi necessariamente, tanto più perché se l'uomo non supera dentro di sé l'attaccamento smisurato alle cose sensibili è inutile che fugga il mondo; lontano che vada con sé recherà sempre nel suo cuore le sue innumerevoli brame. Invece, se pur restando nel mondo, nella famiglia, pur lavorando, compirà le sue azioni anonime, insignificanti, dedicandole a Te, se amerà e servirà di più i suoi cari donando a Te quella vita apparentemente inutile; se cercherà di pulire, abbellire, facilitare la vita degli altri per amore a Te; o Signore, allora sì che Ti mostrerai«. 

 

Donarsi e tacere

Tutto sta nell'intenzione: essa santifica le cose più inutili, le azioni più comuni. Chi nell'intenzione si dona al bene altrui vive unito a Te, o Padre, e tutto ciò che fa diventa soprannaturale.    

Dio è presente in tutte le Sue creature; infatti niente e nessuno può esistere se non per Iddio, in forza del Suo continuo comunicare l'essere. Tutto è opera della Sua sostanza e in tal modo Dio è dappertutto; ognuno di noi, per parlare col Padre e godere della Sua compagnia, non ha bisogno di salire al cielo; per cercarLo non ha bisogno di ali, perché basta che resti in silenzio e Lo contempli in se stesso.

Dunque, o Signore, non avrò bisogno di viaggiare in lungo e in largo il mondo per trovarTi, ma anzi quanto più il mondo mi sarà estraneo o indifferente, pur rimanendo io in esso, più facilmente Ti troverò.

Ora lo so, o Signore, io stessa sono il luogo dove Tu dimori e Ti nascondi; posso dunque non essere felice sapendo che Tu sei con me? Tu sei il mio vero essere; che cosa posso volere di più?, che cosa cercare ancora fuori di me, se Tu, il Tutto, sei in me ed arricchisci e colmi l'inutilità che io sono?

Eppure anche il mondo sensibile a noi esterno, se sapessimo osservarlo con attenzione, ci richiamerebbe a Dio, alla Sua incommensurabile grandezza.

Ma l'uomo si serve del mondo solo per appagare i suoi desideri egoistici, per cercare la sua gloria, e così trascura di osservare con attenzione quanto lo circonda e che in ogni particolare rende testimonianza alla grandezza di Dio: tutto, dalle meraviglie della natura alle invenzioni con cui inavvertitamente, senza imposizioni, richiami gli uomini a Te; Tu elargisci agli uomini il bene in una forma così umile e silenziosa che essi credono sia prodotto della loro fatica e della loro abilità; credono sia loro proprietà.

Sorelle, fratelli, Dio non vuole che la vita dell'uomo sia sofferenza, sofferenza e rinuncia, ma gli ha dato anche la gioia; e non solo quella spirituale e tutta interiore che può effondersi con l'estasi nell'animo del santo; non solo quella rarefatta e intellettuale dell'uomo raffinato; ma anche quella che può venire dai sensi  e che può godere anche l'uomo più rozzo. Ma la ricerca del piacere non deve essere lo scopo della vita dell'uomo, e non solo del piacere del mondo sensibile, e non solo della soddisfazione intellettuale, ma anche della gioia, dell'estasi mistica.

Nulla e nessuno, nella vita dell'uomo, deve essere esclusivo in assoluto, deve occupare il posto che, infine, è solo di Dio.

Perciò non amate solo voi stessi; e quando avete compreso ciò e amate gli altri, allora considerate che non dovete amare  solo alcuni; se non siete capaci di altro amore più impersonale, fate dell'amore ai vostri familiari lo scopo della vostra vita; e quando sarete riusciti a dedicare tutti voi stessi a loro, ricordate che la vostra vita non può avere quel solo scopo. 

 

Lo splendore della verità

Sorelle, fratelli, dimenticate quella domanda che insistentemente vi fate tutte le volte  che la vita vi si propone: che cosa ho da guadagnare o che cosa ho da perdere? Siate leali con voi stessi e con gli altri; non  vi difetti la sincerità.      

Dice sant'Agostino: « Liberami, Signore, dalla lingua ingannatrice, insegnami a non dire menzogna, a non spargere diffamazione, a non lanciare calunnie, a non rendere falsa testimonianza «. Così io dico a voi: abbandonate ogni forma di simulazione, doppiezza e formalismo. Rifuggite procedimenti tortuosi e subdoli, ma amate e cercate lo splendore della verità.    

Le vostre parole corrispondano ai pensieri. Pensare una cosa e dirne un'altra allo scopo di ingannare, di  assecondare la propria causa, divide gli uomini da Dio, mentre il nostro destino è l'unione.

« Signore, in Cristo Tu sei il Dio della pace, della misericordia, della verità, dell'amore. Fa' che quella pace, quella misericordia, quella bontà, quell'amore ci uniscano e siano con noi e fra noi in tutti i giorni della nostra vita.

« Tu sei il Dio dell'unione: fa' che lo spirito ci unisca consapevolmente gli uni agli altri in un solo corpo con la comunione dell'amore, della comprensione di una sola verità.

« Signore, Dio del Tutto, rendici degni del miracolo che stiamo vivendo.

Amen. Amen, Amen «.

                                                                                                                                                                                                   TERESA 

 

L'insostituibile insegnamento della vita

Miei cari amici, Alan vi saluta.

Lasciate che io vi chiami amici e voi pure consideratemi così, perché non ho da offrirvi altro che la mia amicizia; non ho l'altezza spirituale dei Maestri che abitualmente ci istruiscono; posso parlarvi solo di me stesso, delle mie esperienze.

Nella mia ultima incarnazione, che fu nel secolo scorso, fui un ufficiale al servizio di Sua Maestà Britannica, in India, dopo cessata la disperata resistenza dei Maratti.    

Credo che, nella vita di ogni uomo, la cosa più importante e significativa, dal punto di vista delle esperienze, sia l'affetto, l'amore. Io ebbi due amori nella mia vita: mia moglie e la vita militare. Non ebbi figli ma non ne sentii la mancanza perché l'amore per la mia Maud, mia moglie, mi riempiva completamente. Ella era una creatura deliziosa, buona, sensibile, bella. 

Mi amava profondamente e mi era devota in modo inimmaginabile: pensate che non mi fece mai capire che odiava la vita militare perché immaginava che io mi sarei dispiaciuto. 

Grazie all'amore che c'era fra noi, in virtù di quell'amore, la mia vita in maturità prese un indirizzo del tutto diverso da quello che seguivo in gioventù. Infatti in giovane età ero un perfetto militarista che odiava il nemico, e il nemico erano quei poveri diavoli  indiani che si opponevano alla colonizzazione dell'India. Mi ricordo che odiavo particolarmente il capo di certi « ribelli» così noi li chiamavamo.

Una volta sentii parlare di un certo asceta-santone che si diceva avesse la doppia vista e riuscisse a sapere cose segrete. Pensai di andare a trovarlo e di interrogarlo perché mi svelasse il nascondiglio del mio odiato nemico. Babaji, quello era il nome del Guru, mi guardò lungamente in silenzio e poi mi disse: « Tu presto troverai il tuo nemico senza che sia necessario che io ti sveli il suo nascondiglio. Ma sarà grazie a lui e all'amore che porti alla tua compagna che tornerai da me completamente trasformato «.

La profezia si avverò in pieno di lì a poco. Un giorno, in una battaglia, in un luogo della penisola del Deccan, mi trovai in un corpo a corpo con il mio odiato nemico; e quando lui stava sotto di me ed io ero per strangolarlo, il suo volto, nella mia visione, si trasformò in quello dolcissimo e amatissimo della mia Maud. Fu come una folgorazione! In quell'istante compresi che ciò che odiamo è solo un'immagine e che ognuno che odia non riesce a vedere oltre le sue limitazioni, altrimenti comprenderebbe che odiare è uccidere la propria capacità di amare.  

Io non sapevo niente di reincarnazione, di evoluzione, insomma di tutte quelle cose che danno un significato ed una logica ragione alla vita. 

Ma solo da quella visione capii che solamente l'amore è costruttivo e che il dovere di ognuno verso gli altri è quello di costruire, perciò di amare.  

Da quel giorno il mio atteggiamento verso la vita cominciò a cambiare. Cercai quale poteva essere una visione delle cose che potesse spiegare logicamente e sentimentalmente la folgorante conclusione a cui mi aveva fatto giungere la visione avuta.     

E in questa ricerca la mia Maud mi assecondava pienamente e preziosamente. La sua sensibilità la faceva pronta a riconoscere, fra le tante superstizioni e fanatismi che imperavano nell'India, quelle verità fondamentali che voi  avete ricevute senza fatica alcuna.

Tornai anche da Babaji e da lui ebbi quella chiarezza di idee che completò la mia trasformazione all'origine della quale era stato l'amore per Maud. Se infatti io non avessi provato un simile amore non avrei potuto sovrapporlo all'odio per il nemico e non avrei compreso quale errore sia odiare, uccidere. La mia Maud lasciò la Terra a cinquant'un anni, vittima del vaiolo. Ed io, dopo il suo trapasso, abbandonai la vita militare facendomi asceta. Vissi solo dell'essenziale, confondendomi fra i tanti che in India conducevano una tale vita. Ebbi così modo di approfondire quelle Verità che avevo solo intravisto e fui in contatto con tante persone, fra loro le più diverse come carattere, pensiero e casta. Da ognuna imparai qualcosa, perché vi posso assicurare che da ciascuno - purché lo si voglia, si abbia l'umiltà di volerlo - c'è da imparare.       

Conobbi esseri che consumavano la loro esistenza nell'amore al prossimo: una cosa meravigliosa, non c'è dubbio, ma è  meravigliosa più per chi ama che per chi è amato. 

 

Il dono più prezioso

Io credo che, per quanto sia grande l'amore dei santi, gli effetti di quell'amore sugli uomini che ne sono l'oggetto non sono mai all'altezza di quell'amore, e ciò non per difetto di chi ama. Per quanto sia grande l'amore di Dio per le Sue creature, non è mai tanto efficace nei loro confronti quanto lo è la vita.       

La vita è il mezzo che rende produttivo l'amore di Dio per l'uomo; senza un tale mezzo, perfino l'amore infinito sarebbe privo di effetti, fine a se stesso.    

La vita insegna sempre, anche quando si va dalla parte opposta a quello che si deve imparare. Perciò non c'è mai veramente una parte opposta: c'è una via più faticosa, lunga e dolorosa, che è come una dimostrazione per assurdo con la quale si raggiunge lo stesso scopo raggiunto dalla dimostrazione diretta. Perciò la vita è sempre un dono prezioso ed in ultima analisi non è mai inutile. E se la vita è preziosa, il dovere di chi usufruisce di un bene di sì gran valore è quello di far progredire il mondo.      

Parole grosse che possono spaventare, lo capisco. Però, alla fin fine, il modo migliore di raggiungere una tale mèta è fare della propria esistenza un esempio.

Io non voglio farvi delle prediche: quello che dico è frutto delle mie esperienze, di quello che io, pagando di persona, ho scoperto. Accettatelo con amore.  

La maggior parte degli uomini è convinta che il mondo, che la società si possa modificare modificando l'ambiente, le istituzioni, insomma quello che sta all'esterno dell'uomo. I nostri Maestri hanno ripetuto fino alla noia che ciò non è sufficiente per far cessare lo sfruttamento, l'ingiustizia, la sopraffazione, la violenza. Il primo cambiamento, quello più importante, devo avvenire nell'intimo di ognuno, e non è cambiamento che riguarda solo i gusti o la mentalità; il che riguarderebbe pur sempre l'intimo dell'uomo; è una trasformazione del più profondo essere interiore, del sentire; una diversa natura.

Se in una società in cui l'onore di un uomo è legato alla fedeltà sessuale della compagna si riuscisse a far comprendere che il valore di un essere umano non può risiedere in quei fattori aleatori e non dipendenti dalla sua volontà, per i quali egli non viene tradito, è certo che la questione, con tutti i tormenti che l'accompagnano, non sarebbe così superata. Infatti la natura degli uomini che vivono in quella società creerebbe nuovi costumi, nuovi pretesti per sfogare in altre direzioni il desiderio di spadroneggiare, soffocare, assoggettare; desiderio che ora è esercitato e addirittura idealizzato nella figura dell'uomo capo-famiglia, padrone assoluto.

Quello che occorre è un cambiamento di sentire, più che un cambiamento di pensiero. Quando c'è un diverso sentire, il diverso pensare è automatica conseguenza. Ma solo la vita con le sue esperienze e le inerenti riflessioni apre la via a un diverso sentire, il solo che può realizzare un mondo migliore. 

 

Il labirinto e l'uscita

Permettetemi di dirvi di non confondere il progresso di cui noi vi parliamo con un incremento delle necessità individuali, con un maggior desiderio di beni non essenziali. Il modo di vivere di ognuno deve essere semplice. La mente non deve essere volta a sensibilizzare l'uomo su quanto e su quello che gli altri hanno di più, o se si è abbastanza considerati e riveriti. Per quanta importanza riusciate a riscuotere dai vostri simili, sarà sempre una cosa effimera e che non vi appartiene e, dicono i nostri Maestri, non aumenterà di un atomo quello che siete in realtà.

Ha un senso perdere la propria serenità per accumulare? L'arraffare per l'arraffare, poi, oltre che essere proprio dell'avidità e quindi non essere morale, non è nemmeno intelligente perché non tiene conto che elevare a sistema un simile comportamento equivale a distruggere l'economia, a rendere disumana e crudele la società. Dopo di che si chiede aiuto a Dio perché metta le cose a posto. E quante invocazioni di aiuto salgono al cielo!      

Così succede perché non si è compreso il vero significato della vita; non si è compreso che la vita è una occasione che gli esseri hanno per rendere costruttivo il loro esistere,; un mezzo per guardare oltre l'orizzonte del proprio egoismo e della propria limitazione. E quando gli esseri così non fanno, la vita è la sola educatrice che possa indurre a tanto. Allora essa si trasforma in un labirinto in cui l'uomo si sbizzarrisce come può, facendosi guidare, quanto gli è più possibile, dal capriccio, per portare all'esterno di sé gli impulsi che dall'interno premono.

Per quanto caos possa creare questo modo di vivere dell'uomo, quindi per quanto  complicato possa essere il mondo umano, la vita, con spinte dall'interno all'esterno dell'uomo, in modo sicuro, perfetto, meraviglioso, conduce gli esseri a rendere costruttivo il loro esistere, a guardare oltre l'orizzonte del loro egoismo.         

Se dunque la vita vi infligge dei colpi, non invocate il cielo perché siate risparmiati. Essi sono il vostro vero bene.

L'uomo può errare e perciò allungare il suo cammino; la vita no; ogni sua percossa è essenziale, misurata, giusta, perfetta. Abbiate questa fiducia: che non significa rassegnato fatalismo; significa, anzi, partecipazione attiva di tutto il vostro essere ai richiami della vita, per comprendere; perché questo fine essi hanno; e quando l'inesorabile rende vani i vostri sforzi è fiducia in chi guida il vostro cammino e vuole il vostro vero bene.       

Vi ringrazio, o amici, di avermi dato l'opportunità di parlarvi, anche se quello che ho detto non è così importante come le cose celestiali di cui ci parlano i nostri Maestri. Ma prendete queste parole come una testimonianza di grande amore per voi.

                                                                                                                                                                                                              ALAN  

 

Gli errori delle religioni: il mondo non è una valle di lacrime

Qualcuno disse: «Nel momento che si nasce si comincia a morire».

Noi vi diciamo: « Nascete all'oggi, morite all'ieri e sarete sempre vivi, non cadaveri ambulanti «.

Il più grande dono: il dono della vita!   

Ma voi non siete d'accordo con me: siete un po' tutti degli stanchi e sfiduciati della vita, poveri fratelli senza entusiasmo, timorosi di vivere, timorosi di morire.  

« La vita è una prova, è vero fratello? Qua non v'è felicità, bisogna cercare solamente di restare in grazia di Dio per meritarsi la vita eterna «: ecco il ritornello che da secoli si canta all'umanità come supremo conforto religioso.

E quando gli uomini cercano qualcosa di più convincente, parlano gli "spiriti" con parole nuove: « Questo vostro mondo non è il mondo della realtà; la vita comincia dopo la morte «.

A voi piacciono queste spiegazioni, perché vi scusano un po' con voi stessi e con gli altri per quello che non avete fatto.

Se interrogate una creatura che in vita sua non abbia fatto niente, vi risponderà che le è stato impedito di "fare" : malattie colpi del destino, rovesci di fortuna e via dicendo. Come se l'uomo esistesse solamente per essere impedito. Sono tutte evasioni e scuse.    

Il mondo non è una valle, di lacrime per disposizione divina, non è terra di continuo dolore a sé stante, ma parte di quel Tutto-Uno che si chiama Assoluto, in cui ogni suddivisione è convenzionale essendo unica la Realtà.

Convincetevi di questo e la vita vi apparirà sotto una luce diversa.    

Se pensate infatti che sia un esilio per l'uomo, siete portati a trascorrerla in un modo che è un compromesso tra ciò che ritenete piacevole e ciò che fate con sforzo, chiudendovi, in questo tergiversare, alla realtà stessa della vita. Ogni avvenimento, ogni pensiero sono presi, allora, come pretesto per la continua evasione dalla vita. La stessa Verità comunicata da altri è fraintesa e usata come giustificazione al « non vivere « che voi fate nel vero senso della parola.

«Fratello, credi alla legge dell'evoluzione?». E' comodo credervi. Voi dite: "L'evoluzione avviene in ogni modo; giungerà comunque l'ora della mia liberazione".  

« Fratello, credi al karma? Guarda quella creatura quanto soffre «. « E' il suo karma» e con questo credete di essere esonerati dall'aiutarla. «E l'altra creatura? Da anni è negli stenti». « E' il suo bene» dite.   

Non è così, purtroppo? E' l'uomo che interpreta erratamente, che vive tra compromessi illudendosi di trarne due o più vantaggi.  

Non è importante credere alla legge dell'evoluzione: se non vi muovete, tali siete e tali resterete.

Non è importante credere al karma, fratello che ci credi: anzi, se nel timore di dio che possa ricadere su di te vivi in costrizione, meglio è che tu non ci creda.

Non potete certo dire di amare i vostri fratelli se, considerando che essi si trovano in difficoltà per loro stessa cagione, credete di essere in diritto di disinteressarvi dal prestare loro aiuto.

Dovete intendere nel vero senso i nostri insegnamenti; non dovete sfuggire a voi stessi, illudervi; ma dovete essere esattamente edotti di tutti quei "come " e "perché " che determinano la vostra condotta e che corrispondono ad altrettanti " come " e " perché ", misteriose incognite della vostra esistenza.

Non dovete pensare che la vita sia una prova, che la vita sia un castigo, che sia una ed una sola delle molte incarnazioni necessarie al conseguimento della Realtà. Così, facendo, voi riguardate alla vita come a qualcosa che bisogna sopportare di buon animo e che non è completa in sé, mentre proprio per questo è il più gran dono.

La vita è completa in sé.

Ognuno prende esattamente da essa quanto a lui fa bisogno.    

Noi, i Maestri, Cristo stesso, nessuno può sostituirsi all'insegnamento della vita.

                                                                                                                                                                                                       KEMPIS

 

Rapporto tra cervello e psiche - Indipendenza tra senso dell'io e autocoscienza

Si riconosce, nella vita dell'uomo, una attività fisica che viene espletata dal corpo fisico dell'uomo; inoltre, si riconosce una attività di sensazione, che si incentra in quello che abbiamo chiamato corpo astrale; ed infine una attività intellettiva alla quale presiede il corpo mentale dell'uomo.     Senza un corpo fisico non si agisce nell'omonimo piano; così, senza il corpo astrale, non si hanno né sensazioni né emozioni; senza il corpo mentale non solo non si ha attività intellettiva vera e propria ma non si riconoscono neppure le sensazioni e le emozioni, né si possono coordinare le azioni.    

Il corpo astrale è più sottile del fisico ma più grossolano del mentale; tuttavia ciò non significa che i tre corpi siano totalmente indipendenti; né questo deve farlo pensare il fatto che alla morte del corpo fisico gli altri due corpi sopravvivono per un certo periodo di tempo.      

Per rendere più esplicativo questo discorso dirò che, come nel corpo fisico vi sono materie in stato di aggregazione molecolare solido, liquido e gassoso, senza che perciò nessuno si sogni di considerare, per esempio, lo scheletro qualcosa di a sé stante rispetto al resto del corpo, così è della triade corpo fisico - corpo astrale - corpo mentale, che costituiscono l'uomo, il suo io, il suo carattere, insomma la sua psiche. E proprio questo intendo evidenziare: che cosa è, per noi, la psiche dell'uomo.

Oggi, questo termine così antico è diventato di uso comune perché accontenta tanto il materialismo della scienza e dei positivisti, quanto lo spiritualismo di chi crede che la realtà non sia tutta materiale.

Che cos'è la psiche? E' il complesso di tutte quelle facoltà e di quei caratteri che dirigono l'attività e l'esistenza dell'uomo; cioè di quelle qualità, non fisiche, che poi caratterizzano un individuo e lo diversificano da un altro della stessa specie. Così, è psichica l'attività mentale istintiva o intellettiva; è psichica l'attività sensoria e di percezione; ma sovrana creatura della psiche è l'io.   

Quando si parla di io, comunemente si intende il proprio essere e, più comunemente ancora, la coscienza di esistere; ma ciò non è esatto. Infatti, già da quello che asseriscono la psicoanalisi e la psicologia sapete che una tale concezione, che lega l'io alla coscienza, è un errore, perché l'io ha aspetti subconsci ed inconsci, quindi non è tutta coscienza. Ma prima di parlare di un tale errore, vorrei dire qualcos'altro. 

 

La vecchia psiche e la nuova psichiatria

Fin qui mi sembra di avere, anche se solo accennato, fatto capire che la psiche della scienza umana o della umana conoscenza è né più né meno che l'attività del corpo astrale e del corpo mentale, secondo la nostra nomenclatura.   

Ora, in ordine ad un vecchio modo di concepire l'uomo che è la conseguenza non di una analisi ma di un modo di vedere il mondo in chiave, più che religiosa, direi chiesastica, la psiche era un complesso di caratteristiche totalmente indipendenti non solo dall'ambiente, dall'educazione, ma anche e soprattutto dal corpo umano. La psiche faceva parte dell'anima, perciò era, come quella, immortale, dono di Dio. 

Parte di questa concezione, e precisamente l'indipendenza della psiche dal corpo, fu adottata dagli spiritisti, i quali vi aderirono interpretando che i defunti si manifestavano con la personalità avuta in vita proprio perché essa era una parte della psiche, indipendente dal corpo, la quale parte sopravviveva intonsa alla morte di questo.

D'altro canto la moderna psichiatria, provando con l'esperienza scientifica che il modo di essere dell'individuo, cioè la personalità, come l'umore, come le facoltà mentali, sono dipendenti da certe cellule cerebrali (al punto che anche gli  stimoli ambientali ed educativi si imprimono nella personalità solo perché condizionano i processi biochimici di quelle cellule) ha dato un colpo alla interpretazione spiritica dei fenomeni medianici. 

Se infatti la personalità è strettamente legata alle cellule cerebrali, come per esempio lo è la memoria, a tal punto che l'una può cambiare e l'altra può sparire in conseguenza di lesione dell'encefalo, come potrebbe la personalità rimanere integra dopo la morte del corpo?       

Se uno spirito comunicante si presenta in una seduta medianica con la personalità che aveva in vita e ricordando episodi accadutigli, e  se invece la psichiatria ha dimostrato che  tali qualità mentali sono strettamente connesse al cervello fisico, cervello che lo spirito non ha più, due sono le soluzioni: o lo spirito non è uno spirito, ma semplicemente una drammatizzazione, una  ricostruzione di una tale personalità che il medium opera impiegando le proprie facoltà chiaroveggenti; oppure c'è qualcosa, nel meccanismo cervello-personalità-anima, che ancora non è stato compreso.       

E' inutile dichiarare che io propendo per quest'ultima soluzione, anche se non escludo che certe comunicazioni spiritiche siano drammatizzazioni medianiche; cioè affermo che non necessariamente le sedicenti comunicazioni spiritiche sono veramente tali: esse ricoprono una gamma che va dalla frode conscia a quella inconscia, come è la drammatizzazione, fino alla pura e vera comunicazione spiritica, peraltro molto rara .      

Ma la questione non verte sul fatto che sia possibile o meno la comunicazione dei disincarnati. Trovo più interessante  cercare di chiarire, per quanto è possibile, con termini non complicati, perché mai la personalità sembra strettamente dipendente e legata a certe parti anatomiche del cervello.       

Noi abbiamo sempre affermato che l'encefalo - specie nelle sue parti costituenti: cervello e cervelletto - costituisce una sorta di apparecchio rice-trasmittente dell'attività degli altri due corpi: quello astrale e quello mentale. Però va precisato che l'attività del cosiddetto "istinto naturale" (che governa le funzioni biologiche e che può, osservato, sembrare frutto di un'attività mentale, almeno nelle funzioni più complesse) solo in piccola percentuale ha veramente quell'aspetto: per il resto è frutto dell'attività del corpo fisico e del corpo astrale. Mentre l'attività psichica, nel suo complesso - conscia, subconscia e inconscia - è invece totalmente frutto del corpo mentale.

Allora, com'è possibile che, alterando le cellule cerebrali - cioè di un corpo che, secondo le nostre affermazioni, è  semplicemente un ricettore del corpo mentale ove ha sede la vera attività omonima - si modifica invece, anche profondamente, l'attività psichica, così come è stato osservato dalla psichiatria e dalla neurochirurgia? Mi servirò di un esempio che per voi è di attualità: il calcolatore elettronico.

 

Elettronica e microchirurgia

Questo apparecchio si può convenzionalmente considerare diviso in due blocchi: il terminale, dove si immettono e si estraggono i dati per la elaborazione, ed il calcolatore vero e proprio, il quale è cosa diversa dal terminale in sé. Ora, chi ignorasse l'esistenza ed il funzionamento del calcolatore elettronico crederebbe che l'intero apparecchio fosse racchiuso nel terminale ed in quello identificherebbe la sede di tutte le funzioni svolte dall'apparecchiatura composta da terminale e calcolatore.

Allo stesso modo è delle facoltà psichiche, che hanno, nel cervello, la porta di entrata e di uscita, per così dire; cioè una sorta di terminale; un terminale però non passivo ma intimamente connesso col corpo astrale e con quello mentale, tanto connesso che i cambiamenti che avvengono nelle cellule per opera degli impulsi ambientali - e sono cambiamenti che riguardano la biochimica delle cellule oppure i cambiamenti di natura organica anche traumatica - immediatamente si riflettono sui corpi astrale e mentale modificando il comportamento psichico dell'individuo.

Supponiamo che, con un intervento chirurgico specializzato, ad un uomo venga cancellata una parte della memoria mediante un'azione sulla parte del cervello che, si dice, presiede a quella  funzione.

In effetti il chirurgo, agendo sul cervello, agisce indirettamente anche sul corpo mentale di quell'uomo e agisce a tal punto che se il paziente trapassasse e si manifestasse in una vera seduta spiritica, si manifesterebbe smemorato. Oppure, se con lo stesso metodo chirurgico si agisse sui centri dell'aggressività, tale azione si ripercuoterebbe inesorabilmente sulla personalità del paziente, ma solo perché le cellule cerebrali sono simbioticamente unite con il corpo mentale dell'individuo, tanto che il cambiamento delle une si riflette coercitivamente sull'altro.     

Se ammettiamo che fra le cellule del cervello e i corpi astrale e mentale vi sia un'intima connessione; tale che ciascun cambiamento a livello organico delle une si ripercuota sugli altri due, dando diversità di comportamenti psichici; si comprende come la psichiatria identifichi esclusivamente in tali cellule la sede della personalità umana.      

In altre parole, e cercando di chiarire con un esempio, si può dire che chi manovra un terminale di un cervello elettronico e introduce dei dati nell'apparecchio amplia la memoria dell'apparecchio intero, che è composto di terminale ed elaboratore. 

Allora, ammessa questa stretta interdipendenza dei due corpi, risulta chiaro che sia difficile credere, a chi ne veda uno solo, che le rispettive funzioni siano svolte da quel solo corpo e siccome gli uomini, appunto, vedono solo ciò che i loro occhi fisici fan vedere - ossia dei due corpi solo il corpo fisico -, pensano che in questo corpo, precisamente nel cervello, abbia sede la psiche dell'uomo. 

Ecco come nasce l'errore di giudizio della scienza umana circa la collocazione della psiche; errore giustificato, se si considera la possibilità umana di conoscere; ma che diventa arroganza allorché la scienza stessa non tiene conto che, nella conoscenza, ha precisi limiti che la condizionano e trae delle conclusioni che considera definitive. 

 

Dalla parte dell' «io»

Ed ora la questione che più mi preme. Alcuni affermano che la « coscienza d'esistere « è strettamente dipendente dal senso dell'io, tanto che non v'è coscienza d'essere senza senso dell'io. Rispondo subito che non v'è nulla di meno vero di questo. Certo non posso dimostrarlo, perché farlo a forme di vita umana, cioè a chi veramente per sentirsi d'essere deve rimanere nel gioco dell'io - non io, e quindi pensare e vivere in termini egoistici, è cosa estremamente ardua. Provate a inibire coercitivamente l'egoismo ad un egoista e ne farete un povero essere privo di volontà e di voglia di vivere. 

L'egoismo deve essere superato e sostituito da una diversa maniera di concepire la vita, altrimenti è la morte. Tuttavia, anche se non posso dimostrare quello che asserisco, posso renderlo plausibile ed accettabile dalla logica. D'altra parte, anche chi asserisce il contrario delle mie affermazioni non è certo in grado di dimostrare ciò che dice; quindi ognuno, poi, sceglierà quello che gli sembrerà più logico.

Già negli animali individualizzati, ossia quelli che rispetto ad altre specie hanno uno spiccato senso di individualità, lo psicologo non trova un io con caratteristiche  analoghe a quelle dell'io umano. Tuttavia non si può certo affermare che quegli animali non abbiano consapevolezza di esistere, cioè non si sentano d'essere. Anche se si prendono in considerazione animali non individualizzati, per esempio un'ape, in cui chiaramente non esiste il senso dell'io, credo che nessun serio studioso si sentirebbe di affermare che quel piccolo  essere è semplicemente un robot privo di sensazioni vitali; intendo dire che mancando in quel piccolo essere il senso dell'io, se la coscienza d'esistere, se il sentirsi d'essere fosse legato all'io dovrebbe in lui mancare anche la più elementare forma sensoria che, in qualche modo, lo faccia sentire vivo, palpitante ed esistente. Mentre così, non è in assoluto. 

Che gli organismi, anche i più semplici, abbiano una vita di sensazione, ve ne fanno testimonianza gli studiosi dell'evoluzione biologica, i quali sanno benissimo che se negli organismi semplici o complessi non vi fosse stata la sensazione, com'è, per esempio, nei robot costruiti dall'uomo, non vi sarebbe stata evoluzione.

Laddove esista anche la più debole forma sensitiva, cioè al di sotto degli organismi vegetali, c'è sempre un sentirsi d'essere, quantunque non vi sia il senso dell'io; proprio perché, appunto, la sensazione è la prima forma di coscienza d'esistere, e ciò è a tal punto vero che, nel linguaggio umano, la sensazione si definisce « modificazione della coscienza a seguito di stimoli esterni ed interni «. 

 

Dalla parte di Dio

Ma guardiamo ora la questione dal lato opposto, cioè dalla parte di Dio. Se la coscienza d'essere fosse legata e dipendente indissolubilmente dall'io, ne deriverebbe che Dio o sarebbe un io infinito oppure non avrebbe coscienza d'esistere.

Scartata subito quest'ultima ipotesi, senza che valga la pena di spendere una parola, rimane l'altra: cioè che la coscienza assoluta sia tale perché Dio sia un io assoluto.  

Consideriamo se possa esistere un io assoluto, o se ciò non sia una contraddizione in termini.    

L'io nasce da una concezione della realtà in cui il soggetto ne è - o crede di esserlo - solo una parte. Questa concezione della realtà scaturisce dal fatto che il soggetto vive, vibra, solo attraverso le sensazioni e la percezione in genere, cioè attraverso le modificazioni che si producono nella sua consapevolezza a seguito di stimoli. Ora, siccome gli stimoli che il soggetto ha provengono unicamente dal suo corpo fisico; e ciò perché il soggetto, non essendo un superuomo, un santo, ha sviluppati solo i sensi fisici; ne consegue automaticamente che considera se stesso limitato alla portata dei suoi sensi fisici; cioè identifica il suo essere con il suo corpo fisico, ritenendo esterno a sé ciò che  non è il suo corpo fisico stesso.

Da tutto questo nasce la concezione di un mondo esterno, ossia di un mondo che è tutto quanto il soggetto crede di non essere; nasce, per contrapposizione, l'io e il non-io.

Ora, se l'uomo avesse desti altri sensi e, perciò, avesse una gamma di ricezione più estesa, automaticamente nella sua considerazione allargherebbe l'esistenza del suo essere; e se la possibilità di ricevere - o meglio ancora, di essere in contatto - fosse estesa all'intera realtà, allora  non esisterebbe più un mondo esterno, e di conseguenza un io e un non-io, ma vi sarebbe una coscienza completa del Tutto. 

Ma non si tratterebbe certo di un io assoluto perché, per sua stessa concezione, l'io poggia ed è contrapposto al non-io, mentre in una coscienza d'essere che abbraccia tutta la realtà non vi sono limitazioni, perciò non può esservi né io né non-io.

Mi pare quindi chiaro che non si possa confondere la coscienza d'essere con l'io solo per il fatto che l'uomo identifica erroneamente questi due termini. L'io esiste solo a livello umano, mentre il sentirsi d'essere esiste sia a livello subumano, laddove è legato al solo mondo delle sensazioni, cioè dove non c'è il senso dell'io; sia a livello umano, dove prende corpo  ed è identificato con l'io egoistico e personale; sia a livello superumano o divino dove l'io è trasceso e la coscienza si espande talmente da identificarsi con la Realtà, cioè essere la Realtà stessa.

Diversamente da così la reale qualità e condizione del Tutto non sarebbe l'unità dell'essere, ma sarebbe la molteplicità del divenire; ma la molteplicità e il divenire non potranno mai essere qualità e condizioni da esistenza di una Realtà anche solo quale l'uomo la sta scoprendo, perché nessuna realtà, anche molteplice ed ancora più in continua trasformazione, starebbe in piedi se non costituisse un sol Tutto inscindibile. Questo è lapalissiano.

                                                                                                                                                                                                             KEMPIS

 

La "resurrezione della carne"

Non c'è dubbio che una situazione, una ideologia, una concezione della vita piacciono, si accettano liberamente quando danno - o per lo meno promettono - qualcosa: cioè quando valorizzano la persona, l'io. Allo stesso modo, una situazione, una ideologia, una concezione della vita si respingono allorché non gratificano l'io personale ed egoistico.

Per questa ragione il concetto dell'io che viene trasceso, della comunione degli esseri, dell'identificazione con Dio, lascia molti - nella migliore delle ipotesi - indifferenti. Pensate come è grande l'istinto di conservazione dell'io! Nel dubbio che l'identificazione in Dio possa portare all'annichilimento dell'essere, all'annullamento dell'io, si preferisce credere che la vita di limitazione, solo nella quale può esistere l'io - questa condizione in fondo miserevole - continui eternamente.    

Certo, nella condizione  di esistenza di coscienza assoluta a cui ogni essere è destinato non è concepibile il senso di separatività su cui si fonda l'io; ma ciò non significa che, non sentendo più in termini di limitazione, di separazione, vi sia automaticamente un annichilimento, cessi la coscienza di esistere.

Al contrario: si trova la coscienza d'essere, d'essere il Tutto. E scusate se non ho altro da offrirvi in cambio dell'io. D'altra parte, se tutto questo non vi piace, se vi ripugna l'idea della comunione degli esseri, se preferite l'individualismo integrale, c'è la meravigliosa concezione della resurrezione della carne che può appagarvi in pieno. 

 

Domande senza risposta

Pensate che meraviglia: al suono delle trombe del giudizio ogni uomo resuscita dalla cenere e riacquista le sue caratteristiche psico-fisiche per un tempo senza fine! Questa almeno è stata la riaffermazione dottrinale, ufficiosa, di un Papa che non sa più che espediente trovare per mantenere a galla una barca piena di falle, e non capisce che se ancora fa presa sulle genti non è per la dottrina, la teologia che egli può offrire, ma per qualcosa di più grande e più vero: il bisogno dell'uomo di rivolgersi al Divino, di avere aiuto, protezione, ma soprattutto di credere che la propria vita abbia un senso.  

Certo, se si paragona quella riaffermazione ad una legge emanata, ci voleva subito dopo il regolamento, o quanto meno una circolare esplicativa, perché contrapporre al concetto di evoluzione, di identificazione in Dio, il concetto dell'uomo di carne che rimane integro con le sue caratteristiche psico-fisiche per l'eternità, senza spiegare un po' di più, è certamente poco.    

Quali caratteristiche psico-fisiche? Perché dall'infanzia alla vecchiaia le caratteristiche psico-fisiche cambiano non poco. Allora, quali sono quelle che sopravvivono? C'è da augurarsi che siano quelle del momento migliore; però, anche se questo fosse vero, non sarebbe molto tranquillizzante: infatti non si può dire che l'essere irosi, invidiosi, crudeli, egoisti non siano caratteristiche della personalità di un uomo. E allora, gli uomini continueranno a dare un così misero spettacolo del loro carattere per l'eternità?

Credo che, senza sprecare profonde speculazioni filosofiche, il semplice buon senso impedisca di sostenere una simile ipotesi; quindi c'è da credere che l'uomo risorto abbandoni tutti i suoi difetti e presenti solo virtù. Certo, però, non si può dire che conserverà la sua personalità. E le caratteristiche fisiche? Pure lasciando perdere la bellezza o la bruttezza del corpo, che possono essere opinioni, non c'è dubbio che i difetti somatici, come le gibbosità e simili, sono caratteristiche somatiche dell'individuo: e allora? Rimangono per un tempo  senza fine? C'è da augurarsi che il corpo fisico risorto sia una copia riveduta e corretta di quello mortale; oppure che i difetti somatici, nella concezione della resurrezione dei corpi, non siano inclusi fra le caratteristiche fisiche. Forse appunto le caratteristiche del corpo fisico sono solo il colore degli occhi, dei capelli, l'altezza, la razza... 

Che dite?, non siete soddisfatti delle vostre caratteristiche e quindi non vorreste conservare per l'eternità la vostra insoddisfazione? Allora non c'è che da augurarsi che automaticamente lo siate, oppure che per caratteristiche fisiche siano intese altre; per esempio, che so, il sesso.

Per carità, che cosa mi è sfuggito! Il sesso porta con sé una valanga di problemi, complicazioni, insoddisfazioni. E poi, c'è da supporre che la vita, dopo la resurrezione della carne, sia una vita asessuata, come quella degli angeli o di Adamo ed Eva prima della cacciata dal paradiso terrestre, quindi « sesso « inteso così semplicemente, come fattore esterno somatico.

I soliti prolissi potrebbero chiedersi: « Ma che cosa ci sta a fare? «. Risponderei: « Niente. C'era prima ed è giusto che ci sia anche dopo. Serve a mantenere l'identità della persona». Però, a ben vedere,  in che cosa consisterebbe questa identità? Nelle caratteristiche fisiche no, o almeno in senso molto generale, cioè nel senso che tutti avrebbero due braccia, due gambe, due occhi e così via; insomma avrebbero un corpo umano. 

Ma questo sarebbe ben poco; tanto meno in senso psicologico di personalità, perché se levate o quanto meno modificate ad un uomo le sue inclinazioni, il suo carattere, ditemi se non modificate il suo modo di essere e quindi la sua identità, se per identità si intende, appunto, mantenere immutato il proprio essere. E nel concetto della resurrezione del corpo, l'identità deve essere strettamente legata alla conservazione delle caratteristiche psico-fisiche, altrimenti che senso avrebbe conservare tali caratteristiche?

Certo, se il destino celeste dell'uomo è quello di restare un tempo infinito con le sue caratteristiche psicofisiche, è un destino ben misero, perché non c'è dubbio che tali caratteristiche condizionano e perciò limitano l'essere. Chi può affermare il contrario? Chi può ragionevolmente sostenere che i nostri vizi, le nostre debolezze o semplicemente i nostri gusti non ci limitano? Al limite, le nostre stesse virtù sono condizionanti. Ora, ditemi se non è stolto e cieco chi vanta se stesso così perfetto da desiderare da non cambiare. In tutta coscienza corpo fisico a parte, per il quale la risposta è scontata - vi sembra che le vostre caratteristiche psichiche non potrebbero essere migliori? Certo, le opinioni non fanno  testo e perciò non dobbiamo interessarcene; ma sono sicuro che ogni uomo vorrebbe essere migliore in ogni senso già sulla Terra, figuriamoci poi in un regno celeste che non conosca fine.

Il dilemma logico della resurrezione del corpo, credenza - badate bene - che non è esclusiva del cristianesimo, perché è condivisa dal giudaismo, da cui appunto l'hanno tratta i cristiani, e dallo zoroastrismo, è un dilemma che si pone in questi termini: l'uomo, risorgendo con le sue caratteristiche psico-fisiche, rimane condizionato da esse. E allora, lasciatemelo dire, che futuro miserando!  Oppure non ne è condizionato, godendo di uno stato perfetto, ma allora ditemi che cosa ci stanno a fare tali caratteristiche e, soprattutto, come si estrinsecano.   

Vi immaginate se gli uomini, da Adamo in poi, risorgessero con i loro caratteri umani, che campionario vi sarebbe nel regno celeste? L'uomo delle caverne come sosterrebbe l'accostamento psico-fisico con il raffinato intellettuale del futuro? 

 

Il vero destino dell'uomo

Noi affermiamo un diverso destino dell'essere, in cui non esistono limitazioni; ma questo è possibile solo in una condizione di esistenza in cui non esiste carattere, personalità; in cui non esiste separatività e quindi rapporto dialettico; ma esiste completezza di sentire, comunione integrale, immedesimazione col Tutto.  

In tale condizione sopravviviamo non come ci sentiamo di essere in questo momento, perché la nostra identità non è legata ai nostri limiti e per conservare e far sopravvivere l'identità non è necessario conservare a far sopravvivere i limiti. Per noi, conservare la propria identità non significa rimanere sempre come si è, perché questo è assurdo; e poi basta esaminare la propria vita dall'infanzia in poi per rendersi conto di quanto ciascuno modifichi il suo modo di essere. Nessuno è mai identico, perché ogni istante è diverso.

Ed è così diverso, anche rispetto agli altri, che è identico solo a se stesso, limitatamente ad ogni istante. Solo Dio è identico a se stesso e sempre identico, in quanto non muta mai. Ora, se, nonostante i cambiamenti, ognuno rimane se stesso, cioè conserva l'autocoscienza, la consapevolezza di esistere, ciò significa che l'identità non è legata alle proprie caratteristiche psico-fisiche, ai propri limiti. Per noi identità significa mantenere immutata la propria unità attraverso il mutare degli attributi; e ciò che nell'essere permane attraverso alle mutazioni, ciò che unisce una teoria di sentire, l'uno diverso dall'altro, punto comune di ognuno, è il sentirsi di esistere, la coscienza d'essere. 

 

La vera sopravvivenza

Ma, badate bene, neppure il sentire di esistere permane o perdura immutato. Tutt'altro. Per convincersene non occorre poter esaminare momenti dell'esistenza di un essere appartenenti a incarnazioni diverse; voi stessi, esaminandovi attimo per attimo, potete rendervene conto: il vostro sentirvi di esistere - la cosiddetta autocoscienza dell'uomo - in un momento può essere esaltata dal buon umore, dall'entusiasmo, in un altro momento, invece, può rivelare stanchezza, svogliatezza, abbandono; tuttavia al di là di ciò che la coscienza di esistere rivela, fa percepire, non c'è dubbio che essa non viene mai meno e che si mantiene nei più diversi stati d'animo: perciò è di natura indipendente da essi.   

Dico di natura indipendente e non solo indipendente, perché in effetti quando il sentire non è sufficientemente ampio la coscienza di esistere è legata agli stimoli che vengono dall'ambiente e che si ripercuotono nell'individuo per mezzo dei corpi grossolani. 

Cioè l'individuo sente di esistere perché ha, quanto meno, sensazioni; cosicché, dopo la morte del corpo fisico, siccome la coscienza di esistere non può mai venire meno né avere una soluzione di continuità, accade che l'essere ha, a breve termine, una nuova incarnazione proprio per avere gli stimoli necessari a far manifestare la sua coscienza d'essere. Invece poi, a mano a mano che la coscienza si amplia attraverso alle esperienze, il sentirsi di esistere, l'auto-coscienza coscienza sussiste anche in modo completamente svincolato dalle sensazioni, emozioni, pensieri. Perciò la vera sopravvivenza, la vera resurrezione, e la coscienza di esistere, il sentire d'essere che non viene mai meno anche quando vengono meno i caratteri psico-somatici.  

Questa concezione, per essere accettata, non ha bisogno di un atto di fede perché trova sostegno nella logica e nelle univoche affermazioni di chi ha sperimentato una tale condizione di coscienza. 

 

La logica della Verità

Se io fossi Papa, eviterei di porre l'accento su questioni dottrinali che possono essere accettate solo sotto imposizione dogmatica e tacitando ll raziocinio con la comoda affermazione che « Le cose divine non possono essere comprese dalla mente umana «. 

Contesto solennemente questa affermazione! Certo Dio è uno stato di coscienza che può essere compreso solo provandolo, sentendolo; tuttavia se Egli è il Tutto-Uno-Assoluto ciò significa che ogni Suo aspetto non è indipendente, ma è addirittura una consecuzione. Perciò la consequenzialità che lega ogni virtuale parte - punto di Dio - se non è l'essenza stessa della logica, ditemi che cosa è; e se è la logica, allora il raziocinio, se non può farla sentire, può almeno farla capire.

Certo va scoperta. Però, quando si afferma che un tale concetto è la Verità, essa Verità si dà per scoperta ed allora deve essere logica e così rimanere non solo in se stessa ma anche di fronte a tutte le conseguenti implicazioni e sviluppi.

Se fossi Papa, eviterei anche di affrontare i problemi umani sul facile terreno delle affermazioni che tutti possono sottoscrivere. Come, ad esempio, che ogni uomo ha diritto ad un lavoro giustamente remunerativo, che non deve esserci sfruttamento, ingiustizia e che la fame nel mondo deve sparire. Infatti, osannanti folle da fedeli, e non, si compiacciono di queste parole. « Anche il Papa l'ha detto! «. Vorrei proprio sapere perché un Papa dovrebbe dire il contrario! Tanto più che il solo dire così non costa niente. Sono sicuro che anche voi, senza essere papi, vedendo qualcuno in ristrettezze economiche vi sentireste di dire: « Poverino, ti ci vorrebbe proprio un po' più di denaro! «. E, se non lo direste, sarebbe giusto per la paura di essere picchiati, ammesso che chi vi ascoltasse fosse intelligente.

Naturalmente, ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.

                                                                                                                                                                                                             KEMPIS

 

L'ideologia della sopravvivenza 

Questa comunicazione è stata dettata da Dali perché fosse ascoltata al Congresso di Camerino, imperniato sul tema della Sopravvivenza, svoltosi dall'1 al 3 agosto 1980.

Sopravvivenza: problema indiscutibilmente aperto alla ricerca scientifica.

Chi non è d'accordo e afferma che la ricerca scientifica deve agire in altri campi,  tenga presente che limitare il campo di ricerca della scienza significa limitare la scienza stessa. Mentre la vera scienza  non deve conoscere aprioristiche preclusioni. Certo, d'altra parte, se i mezzi di indagine della ricerca scientifica si chiamano solo microscopio, è chiaro che essi non sono adeguati allo scopo.  

In altre parole, estendendo il problema, chi vi dice che ciò che voi osservate sia la Realtà? Quello che l'uomo conosce, scopre, è la Realtà oppure ciò che appare di essa? Credo che nessuno abbia difficoltà ad ammettere, anche senza fare un atto di fede, che dati i mezzi mediante i quali l'uomo conosce, dato il meccanismo umano del « conoscere» che si fonda sulla percezione, sicuramente ciò che l'uomo perviene a conoscere è solo un'apparenza della Realtà.

D'altra parte, la conoscenza basata appunto sulla percezione non può che dare questo risultato. La fredda strumentazione scientifica, concepita in modo da captare ciò che sfugge alle possibilità penetrative dell'uomo e trasformarlo in segnali raccoglibili da uno dei cinque sensi umani, non è probante in assoluto che ciò che viene osservato sia la Realtà e non invece un'apparenza di essa. Infatti la strumentazione scientifica non costituisce un accrescimento del numero dei sensi dell'uomo, mentre solo altre categorie di sensi potrebbero mostrare una realtà diversa.    

Si deve convenire, per esempio, che la sottile scia nebulosa che si osserva in una camera Wilson non è l'osservazione diretta della Realtà ma un fenomeno provocato da quella realtà ipotizzata dallo scienziato; ossia una prova quanto meno indiretta; se prova, perciò, può essere.

Non v'è nessuna prova provata scientificamente, valida in assoluto, dimostrante che la realtà sia quella che sembra essere e che viene ipotizzata dall'osservazione di ciò che appare.

Non solo: filosoficamente, a monte della conoscenza, sta il problema « se la Realtà sia conoscibile «; dilemma, questo, sul quale i filosofi si sono ampiamente sbizzarriti fino a negare, con l'idealismo post-kantiano, l'esistenza oggettiva della Realtà.

Certo se la Realtà, in sé, non esiste oggettivamente, non è possibile conoscerla.

Ora, ammettendo che la sopravvivenza esista, essa non può che far parte della Realtà - non dell'apparenza - altrimenti il problema della sua esistenza non sussisterebbe; ma se la sopravvivenza fa parte della Realtà che non appare, che sfugge cioè all'indagine dei cinque sensi umani e degli strumenti costruiti in funzione di quei sensi; allora la ricerca scientifica, che tra i suoi mezzi di indagine non annovera altre possibilità di conoscenza che vadano oltre quelle sensorie ordinarie, non potrà mai dare una risposta certa. Perciò occorre stare bene attenti, perché si potrebbe dedurre che l'indagine ha dato esito negativo, cioè la sopravvivenza non esiste, quando invece non si avevano i mezzi adatti per indagare.  

Ma più che entrare nel vivo, nel merito del problema, desideriamo rivolgerci a tutti quelli che sono interessati al problema della sopravvivenza ed al riguardo, hanno un'opinione. 

 

Il giusto modo di credere

Voi, che credete che la sopravvivenza sia un fatto dimostrato e dimostrabile, state attenti a non costruire su questa certezza un'altra religione nel senso deteriore della parola.

Sia il credere in modo certo alla sopravvivenza un motivo per andare incontro agli uomini fraternamente, perché questo è il sentire che la certezza nella sopravvivenza deve recare seco.     Anche il credere nella sopravvivenza può avere degli aspetti negativi: può, per esempio, far perdere all'uomo il senso dell'importanza della vita terrena; oppure condizionarlo con la paura del castigo divino tanto da farne un tepido; peggio ancora, tanto da metterlo in mano a coloro che dell'invisibile si dicono intermediari per plagiarlo e sfruttarlo.

Il giusto modo di credere nella sopravvivenza è quello che dà serenità, voglia di vivere, di operare; è quello che fa realizzare se stessi ora, nel presente, nella vita che state vivendo.    

Voi che pensate, invece, che la sopravvivenza sia un fatto incerto, indimostrabile, o che non vi credete affatto, sappiate che nell'economia delle cose siete tanto utili quanto i più accesi sostenitori dell'immortalità dell'essere; ma non sentitevi autorizzati ad improntare la vostra vita al più cieco materialismo, alla sensualità più spinta, dando importanza ai soli beni materiali e alle sole sensazioni fisiche.

 

Il giusto modo di agire.

Il non credere alla sopravvivenza può essere un fatto positivo quando serva a concentrare tutti gli sforzi sull'indagine priva di condizionanti tabù, ma con un solo intento di migliorare le condizioni di vita del mondo terreno. Il credere che nulla esista dopo la morte del corpo può essere estremamente utile se spinge gli uomini ad unire le loro forze, ad essere solidali nella sventura che - secondo l'interpretazione materialistica - il caso cieco e crudele rovescia su di loro; quando li spinge a colmare quel vuoto, quel " nulla " che vi sarebbe al posto dello spirito, con qualcosa che dia un significato alla vita, la renda meritevole di essere vissuta, la riscatti dall'essere solo una polluzione della materia.

Credere che l'uomo muoia con la morte del corpo può essere positivo quando, pur senza la speranza che la vita abbia un significato trascendentale; cioè nella convinzione di finire di esistere; egualmente si riesce a lavorare  per un mondo migliore, per quelli che verranno e che non ci saranno grati del loro benessere.

La concezione materialistica, quella che nulla dà all'uomo per colmare la sua solitudine, diventa la concezione più spirituale che vi sia quando fa dell'uomo un essere che vive, che sente, in termini di rettitudine pur non avendo la speranza d'essere ricompensato in vite future. E in verità io vi dico che gli esempi più fulgidi di questo vero spiritualismo si trovano fra i materialisti. 

 

Invito alla responsabilità

A tutti voi, che credete e non credete, diciamo: non siate convinti d'essere i depositari della verità assoluta, e perciò non siate intolleranti; siate sempre disposti ad ascoltare chi non è della vostra stessa opinione. Guai a chi crede che non vi sia nient'altro che possa fargli rivedere le sue convinzioni; o, peggio ancora, a chi crede che non vi sia nulla di più importante di ciò che sa.

Non fate delle vostre convinzioni un pretesto per distinguervi e dividervi da chi non la pensa come voi. Non coalizzatevi con l'intento di avversare chi non è con voi, ma siate consapevoli che ciascuno rappresenta una parte di un tutto poliedrico e che ciascuno è unico e irripetibile nel Cosmo.     

Come in un organismo pluricellulare ciascun organo ha una sua funzione che lo distingue dagli altri, e tutti insieme non si combattono ma cooperano e interagiscono per l'equilibrio vitale dell'organismo stesso, così voi non fate dell'altrui diversità in senso lato - cioè non solo della diversità di opinione -  motivo di antagonismo, di condanna; ma sappiate vedere in chi è diverso da voi un complemento di voi stessi, perché in realtà ciascuno fa parte di un sol Tutto inscindibile.

Cercate di rappresentare nel miglior modo possibile la parte che siete chiamati a rappresentare, sì da non creare ostacoli a chi voglia riconoscersi in ciò che credete. Ad ognuno il suo compito, ed è importante che ciascuno lo svolga con l'unico scopo di arricchire la conoscenza dell'uomo e renderla il più aderente possibile alla Realtà oggettiva.

A tutti voi, credenti e non credenti, auguriamo di essere soprattutto in buona fede; di non essere portatori di interessi

faziosi od egoistici; di risvegliare le qualità migliori di chi avvicinate; di avere una chiarezza di idee tale da costituire un punto di riferimento per il pensiero dell'uomo; di giungere là dove siete attesi e necessari; di essere docili strumenti del divino volere che tutti guida all'ampliamento della coscienza individuale; di capire che in realtà non vi sono né debbono esservi vinti o vincitori ma solo persone che, con la loro fatica, col loro impegno, in buona fede, lavorano per riscattare l'uomo dall'ignoranza, dalla paura, dalla dipendenza e dallo sfruttamento e ne fanno un nuovo essere con un nuovo, meraviglioso sentire.

                                                                                                                                                                                                                       DALI

 

Lo spiritismo di punta

Mi rivolgo a voi che fate delle comunicazioni spiritiche il fulcro della spiritualità; a voi, convinti spiritisti. Mi rivolgo a voi perché non facciate dello spiritismo una sorta di religione nel senso peggiore del concetto, cioè qualcosa che vi dà un'etichetta, vi distingue da chi non la pensa come voi o, addirittura, di essi vi fa avversari.

State attenti a non fare del vostro spiritismo una sorta di chiesa con le sue cerimonie, i suoi riti, i suoi sacerdoti, i suoi dotti, gli interpreti ufficiali del pensiero, della ideologia; insomma una sorta di apparato che intenda arrogarsi il diritto di essere l'intermediario fra l'umano e il divino e che intenda gestire tale rapporto.  

Dio non ha bisogno di interpreti ufficiali e di legali rappresentanti. Quando vuol servirsi di qualcuno può scegliere chiunque, senza nemmeno tenere in particolare evidenza chi, almeno intenzionalmente, dedica la sua vita a Lui, e tanto meno chi si autodefinisce "conoscitore della Verità".

State attenti a non fare dello spiritismo una fonte di ascendente sugli altri o, peggio ancora, di potere sulla loro persona e sulla loro vita.   

Se veramente avete compreso l'insegnamento spirituale, sapere che nessuno deve imporsi agli altri; al massimo può "proporsi", lasciando poi liberi gli altri di accettarlo o meno. E quando gli altri lo accettassero, l'unica autorità che potrebbe avere su loro sarebbe quella che gli deriverebbe spontaneamente dall'altrui riconoscimento, dall'altrui stima, e che tuttavia non gli darebbe alcun diritto di piegare gli altri alla sua volontà.    

Non pretendete che la via dello spirito divenga uno " spazio " in cui voi stessi emergere, in cui valorizzarvi e diventare qualcuno per compensare l'insuccesso della vita umana.  

Non ostentate la vostra fede nel paranormale e la vostra qualità di sperimentatori, o esperti, per essere interessanti agli occhi degli uomini e destare la loro attenzione.

Non cercate dallo spiritismo un guadagno per la vostra persona ma piuttosto fatevi servitori degli altri, e sia la vostra persona ad arricchire lo spiritismo.

State attenti a non cadere nel facile errore di ritenervi dei prescelti, degli eletti. Se anche amaste tanto i vostri simili da dedicare la vostra vita ad aiutarli, Dio non vi amerebbe più di quanto ami il più egoista degli uomini. Inoltre, l'esperienza che ciascuno sta vivendo è egualmente importante, sia che si tratti di una esperienza mistica che di una esperienza sensuale.  

Non esiste una scala di valori in cui trovino posto i vari tipi di esperienze; e quindi non si può dire che una esperienza abbia più valore di un'altra; se mai è importante che ciascuno tragga dall'esperienza che sta vivendo tutto l'insegnamento che essa deve dargli, tragga il massimo profitto per la sua comprensione.   

Non fate l'errore di sentirvi unici depositari della Verità solo per il fatto che quanto voi sapete vi è stato detto da entità disincarnate, nessuna delle quali può sottrarsi ad una visione soggettiva della Realtà.

Chi veramente ha compreso vi dirà che la Realtà che un essere non assoluto - e di Assoluto c'e so lo Dio - può scoprire, è sempre relativa e limitata. Non solo: ogni Realtà, tanto più se vasta e completa, può essere fatta conoscere ad altri, che non l'abbiano trovata dentro di sé, solo mediante il linguaggio; cioè per mezzo di simboli; cioè non per contatto diretto. 

Una tale comunicazione è sempre imprecisa e soggetta ad errori di esposizione e di comprensione.   

Chi veramente vi parla con cognizione di causa sa che deve giungere a voi gradualmente, senza turbarvi, rispettando ciò che voi credete fino dove è possibile. Questo nella migliore delle ipotesi, cioè quando chi vi parla è una entità evoluta; perché, poi, può darsi benissimo che chi si erige a vostro istruttore sia qualcuno che ben poco abbia da dire. 

 

Come distinguere le entità

Molte volte le personalità comunicanti credono di supplire alla loro insufficienza attribuendosi nomi di personaggi celebri. Non restate colpiti da entità che dicono, o lasciano credere di essere stati grandi uomini; giudicate quello che dicono; quello può essere importante, non altro.  

Tenete presente che sarebbe perfettamente inutile che, ad esempio, un grande mistico tornasse per ripetere cose già dette. Al massimo la sua venuta potrebbe avere un valore per gli astanti, un valore personale ma non generale.       

Se un grande santo dovesse tornare per insegnare all'umanità, dovrebbe dire cose nuove e non rimasticature di ciò che ha già detto.  

Allo stesso modo lo spiritismo di punta, quello che esiste per seguire l'uomo nel suo evolvere, deve rinnovarsi nel linguaggio e comunicare nuovi contenuti. La Verità si scopre gradualmente: ciò che non conosce l'uomo di oggi sarà conosciuto dall'uomo del futuro, perché « non c'è cosa nascosta che non sarà conosciuta, e ciò che oggi è sussurrato verrà gridato sui tetti».    

Lo spiritismo di punta deve dire qualcosa di più e di diverso da quello che dicono religione, filosofia e scienza, altrimenti diventa un fatto personale, che ha certamente un suo valore ma per il quale si ha il dovere di chiedersi se veramente sia giustificato, se veramente ciò che dànno i morti non sarebbero in grado di darlo, con eguale efficacia, i vivi.       

Lo spiritismo di punta deve diversificarsi dalla  scienza, dalla filosofia, dalla religione, ma al tempo stesso deve fornire una valida spiegazione della Realtà che, proprio  perché valida, concili la vera scienza e la vera filosofia con i principi fondamentali delle religioni più ispirate.

Lo spiritismo di punta non è una ideologia, una organizzazione, una milizia che si contrapponga a qualcuno o a qualcosa, perché è al di sopra di tutto ciò; non è neppure una disciplina, cioè materia di studio e di insegnamento, più di quanto non possa esserlo, ad esempio, la bontà. E soprattutto, non è tanto una dottrina quanto un modo di vivere, di sentire la vita.         

State attenti a non farlo diventare un'evasione dalla realtà del mondo nel  quale state vivendo, riducendolo solo ad una

fonte di conforto. E' e deve essere molto di più: per esempio, un occasione per comprendere la Realtà, e quindi dare significato alla vita e a tutto quanto accade; un motivo per vivere più profondamente la propria esistenza, comprendendo che è nel presente che vanno affrontati i problemi, perché la vita è il presente.       

Chi, per pigrizia, si lascia fuggire l'occasione che il presente offre, rinuncia alla vita.       

Colui che ha compreso veramente qual è il messaggio che lo spiritismo vuol portare non commetterà mai l'errore di non dare valore al presente, di riporre tutte le sue aspirazioni, i suoi propositi nell'attesa che il futuro gli regali ciò che gli manca; soprattutto non si darà mai per vinto  nella ricerca di una vita migliore credendo che solo la vita futura possa esserlo. Se non cambiate il presente, il futuro sarà quale è l'attuale.      

E siccome per vita migliore non si deve intendere maggiori comodità e svaghi, bensì una vita interiore più ricca ed equilibrata, neanche la vita in una dimensione in cui non esistono più problemi materiali può essere felice se non si è capaci di trovare in se stessi quella serenità che deriva dall'aver capito il vero significato dell'esistenza: serenità che non è subordinata all'appagamento dei desideri o alla mancanza di problemi. 

 

Gli spettacoli del fanatismo

Chi ha compreso veramente il messaggio spiritico sa che lo spiritismo non è inutile, come taluno afferma. Certo molti spiritisti hanno, quale credenziale, solo la loro grande fede, che però non è sufficiente a non farli cadere in certi errori dei quali ho parlato all'inizio di questo discorso.

Fra i vari errori in cui si può facilmente cadere, quando non si è ben compreso il messaggio spiritico, ve ne sono alcuni in cui cadono solo proprio coloro che hanno una fede cieca. Forse, più che di fede, si dovrebbe parlare di fanatismo, perché altro non può essere quando si crede a certe affermazioni che vengono fatte da presunte entità secondo le quali, per blandire chi ascolta, non si ha peritanza a fargli credere d'essere stato un grande personaggio e d'essere investito di una importante missione.       

Il valore di una persona non è qualcosa di cui ci si possa fregiare, che si possa attribuire, che non faccia parte dell'intimo essere. Che senso avrebbe sapere di essere stati, ad esempio, un grande filantropo, se attualmente non si avesse più quello slancio d'amore che rende filantropi? Non lo si sarebbe più, e l'esserlo stato non cambierebbe la realtà del presente.

Per la stessa ragione, perché  dar credito ad una entità che dice d'essere un grande personaggio quando da ciò che dice non risulta essere nemmeno l'ombra di se stessa? Inoltre, una sciocchezza, ancorché fosse detta da un grande personaggio, sciocchezza rimarrebbe.     

Perciò date valore, se lo merita, al messaggio, e non al messaggero.     

Ma l'errore che rende palese la meschinità di chi lo commette è quello di prendere o far diventare le entità come motivo di rivalità fra gruppi di spiritisti, ognuno dei quali cerca di collocare quelle con le quali è in contatto al primo posto di una ideale graduatoria di importanza. E' un errore che ha del patetico, che è mosso dallo stesso desiderio dell'amante di vedere apprezzato il suo amato, ma che neppure in questo caso è scusabile.      

Certo, si deve dare valore al contenuto delle comunicazioni, lo si deve raffrontare, comparare, passare al vaglio della logica e del buon senso, vedere se rappresenta una visione generale che spieghi molti interrogativi esistenziali; spiegazione in cui si inseriscano armoniosamente i principi, i concetti più veri e perciò più validi e più belli della mistica, della filosofia e della scienza; dopo di che si può anche tenere in diversa considerazione i messaggi a seconda del contenuto di ciascuno; ma fra ciò e far diventare le comunicazioni spiritiche motivo di competizione, concorrenza, contrasto o addirittura opposizione e financo lotta, la distanza è incolmabile.      

Spiritisti, vi prego, fate in modo di non dare un si' triste spettacolo. 

 

La responsabilità del medium.

In particolare mi rivolgo ai sensitivi, agli intermediari, al medium che, più degli altri, sono soggetti ad incorrere negli errori che ho accennato. Siate consci della responsabilità che avete, sapendo che si guarda a voi come a persone speciali; voi avete anche una funzione particolare, la stessa di tutti coloro i quali sono al centro dell'attenzione: essere, cioè, di esempio. 

A voi bene si adattano le parole che Cristo rivolse ai suoi discepoli nell'ultimo insegnamento: « Amatevi gli uni agli altri, perché solo così gli uomini potranno capire che io vi ho inviati «; cioè non agite per ambizione ma per amore. Similmente voi dimostrerete di essere strumenti di bene se farete della vostra vita la realizzazione di quell'insegnamento che, attraverso di voi, è dato ad altri, ma soprattutto se vi amerete, se non entrerete in competizione fra voi. 

Non considerate il fenomeno che attraverso di voi si manifesta come una vostra abilità, una vostra dote. Voi siete come la penna che scrive. Sarebbe assurdo che essa si attribuisse i meriti dello scrittore. Perciò guardatevi bene dall'inorgoglirvi, dal sentirvi superiori agli altri o, peggio ancora, dall'esigere che gli altri così vi considerino. 

Piuttosto siate umili come umile è colui che dedica la sua vita ai suo prossimo.  

Infine, a tutti coloro che sono propensi a prendere in considerazione il messaggio spiritico, auguro di non cadere negli errori di cui ho parlato e che tradirebbero l'intento del vero spiritismo e ne farebbero fallire l'esistenza.

Auguro soprattutto di costruire, di essere un punto di riferimento per coloro che ricercano un significato della vita che vada  oltre ciò che appare; di contribuire a fare dello spiritismo qualcosa di utile e di bello; sempre ricordando quello che è valido per tutti gli uomini ma ancor più per coloro che vedono nell'amore, nella solidarietà verso gli altri non un dovere che ogni uomo dovrebbe sentire solo per il fatto di essere uomo ma addirittura un comandamento divino; ricordando cioè che è meglio sbagliare sapendo di farlo piuttosto che ignorarlo; è meglio desiderare egoisticamente, vivere passionalmente piuttosto che essere dei tepidi; è meglio essere un ateo che va incontro al suo prossimo piuttosto che un credente senza pietà; ma meglio ancora è sapere quale è il proprio dovere ed avere la volontà di assolverlo; desiderare il bene degli altri ed avere la forza di spendere la propria vita per essi; avere una fede che faccia trovare Dio in ogni essere.

                                                                                                                                                                                                                           DALI

 

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