acquario

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L'Acquario viene visto come un giovanetto che versa il nettare divino da un vaso, da cui attinge il Pesce Australe. Come per molte costellazioni, anche questa ha origini antiche: per gli Egiziani rappresentava il dio del Nilo, ma i Greci la ereditarono non attribuendole alcun riferimento al sacro fiume.
Gli Arabi assegnarono alle stelle più luminose che la compongono dei nomi alquanto singolari: alfa aquarii divenne così sa'd al-malik (oggi Sadalmelik) , "le stelle fortunate del re"; beta aquarii venne chiamata sa'd al-su'ud (oggi Sadalsuud), "la più fortunata delle fortunate"; infine gamma aquarii divenne sa'd alakhbiya (oggi Sadachbia), forse "stelle fortunate delle tende". Nessuno sa però con certezza il motivo di tali denominazioni.
Nella mitologia greco-romana, la storia che riscuoteva maggiori consensi era quella che identificava la costellazione dell'Acquario con il giovane Ganimede, il ragazzo più bello della Terra, figlio del Re Tros da cui prese nome la mitica città di Troia. Zeus si innamorò di lui e, mutatosi in aquila (la cui costellazione è difatti appena sopra l'Acquario), lo rapì portandoselo nell'Olimpo: laggiù il giovane divenne il mescitore degli dei, cioè colui che versava il nettare divino nella coppa dei numi e del sommo dio, con grande gelosia della moglie Era. Secondo un'altra versione sarebbe stata Eos, la dea dell'Aurora, a rapirlo, ma Zeus poi glielo rubò. Ganimede divenne in Grecia il simbolo divino dell'omosessualità, a Roma invece il simbolo della corruzione, dato l'orientamento "puritano" della popolazione italica.
Secondo Germanico Cesare si trattava invece di Deucalione, il figlio di Prometeo che ripopolò la Terra con la moglie Pirra dopo il diluvio universale: egli viene rappresentato nell'atto di versare l'acqua dalla quale fuggì. Igino invece parla di Cecrops, uno dei primi re di Atene, che nel cielo offre in sacrificio agli dei l'acqua, unica bevanda del suo regno quando ancora non si conosceva il vino.