La Villeggiatura

ave, specialmente in passato, quando aveva più spiccate caratteristiche agresti, era una delle mète preferite dai romani per la villeggiatura estiva. Essi trovavano qui aria pulita, acque salubri, cibi genuini e, specialmente, un modo di vivere ben diverso da quello convulso e chiassoso della loro grande città. La villeggiatura dei romani era per Cave una delle principali risorse economiche.

Nel 1918, con l'Italia ancora in guerra, furono non meno di seicento le persone che vennero a villeggiare in Cave durante il periodo estivo. E poiché si era in tempo di razionamento annonario, il Comune dovette preoccuparsi di approvvigionarsi per tempo delle derrate occorrenti per alimentare tante persone in soprannumero, facendone richiesta alle superiori autorità. Furono impartite, per la distribuzione, severe disposizioni. Il Comune doveva rilasciare ad ogni villeggiante una tessera annonaria, valevole per il periodo del soggiorno, per pane, pasta, riso, e zucchero. Ma i villeggianti avevano l'obbligo, prima di partire per le vacanze, di depositare le loro normali tessere annonarie presso il comune di residenza.

Finito il periodo della villeggiatura, il Comune di Cave doveva render conto delle tessere rilasciate, dichiarando i nomi delle persone che l'avevano ricevute.

In quel periodo, per alcuni anni, il Comune ospitò a sue spese presso il convento di San Carlo, circa duecento ragazzi orfani del Conservatorio della Divina Provvidenza di Roma.

Visto il notevole afflusso di persone durante il periodo estivo, viene da domandarsi come Cave potesse far fronte all'alloggio di tanti forestieri. La risposta è che Cave riusciva a sopportare bene questo aumento estivo di popolazione, grazie ad una notevole potenzialità di ricezione alberghiera.

Esistevano in Cave diverse locande ed era diffuso tra la popolazione l'uso di affittare le stanze o anche l'intera abitazione, nel qual caso la famiglia si ritirava temporaneamente a dimorare nella casa di campagna.

C'è da dire che, prima di rilasciare le licenze, il Comune faceva ispezionare le pensioni e le camere da affittare dall'Ufficiale Sanitario per controllarne l'igiene e il decoro. Nel 1933 l'attrezzatura alberghiera più efficiente del paese era costituita dal complesso appartenente all'impresa Claudio Renzi di Cave. Complesso che era costituito da un albergo con trentadue camere contenenti quarantasei letti; da un villino con sette camere di cui quattro da letto, dalla Casa Renzi formata da nove appartamenti, ciascuno di quattro vani con quattro letti; da un appartamento nel villino Renzi sulla passeggiata della Cona, composto di quattro vani con quattro letti. Nell'albergo Renzi le camere ad un letto costavano dieci lire per notte; quelle a due letti venti lire. A queste cifre andava aggiunto il 10% per il servizio ed il 4% per la tassa di soggiorno.