a nostra storia comincia quattro secoli fa. Nel lontano anno 1567 quattro o cinque religiosi vestiti con saio di san Francesco, si stabilirono nel territorio di Cave.
In quel tempo, nel paese di Cave, operavano canonici, preti, padri agostiniani, distribuiti in numerose chiese dentro l'abitato e fuori. Ma non c'erano i francescani, e la simpatia con cui fu accolto il piccolo gruppo di seguaci del Poverello d'Assisi era certamente dovuta alla buona fama di cui godevano i francescani fra le popolazioni.
I frati chiesero di poter disporre di una piccola chiesa semiabbandonata appartenente alla Confraternita della Madonna del Santo Rosario. Si trattava di una chiesetta in località Monte del Corvo fatta costruire dalla confraternita molti anni addietro su terreno avuto in dono dai canonici di Santa Maria, sul quale preesisteva un piccolo cenobio benedettino da lungo tempo abbandonato. La chiesetta, costruita accanto al conventino, era dedicata alla Madonna e, per il fatto di trovarsi a mezza costa del monte che sorge in prossimità dell'abitato di Cave, era stata chiamata Santa Maria del Monte. I frati avrebbero pensato a riattarla e a farla tornare a nuova vita.
Le molte persone interessate alla cessione della chiesa, dopo essersi fra loro consultate e dopo aver ottenuto il consenso del cardinale Cristoforo Mandrusio, vescovo di Palestrina, e del Principe Marcantonio Colonna, stabilirono che la richiesta dei francescani poteva essere accolta.
Così, in un'afosa giornata di luglio, forse verso il tardo pomeriggio quando l'aria comincia a rinfrescare, si riunirono nel refettorio del convento dei padri agostiniani, annesso alla chiesa di Santo Stefano, diversi eminenti personaggi, per formalizzare la cessione della chiesa di Santa Maria del Monte ai francescani che l'avevano richiesta.
Erano presenti - ci par di vederli nei loro vestimenti cinquecenteschi - i maggiori esponenti della Confraternita della Madonna del Santo Rosario (il Camerlengo, il Priore, il Sotto priore), quelli del Clero e della Comunità di Cave, il Fattore della Curia Colonna, il Vicario Generale e il Padre Provinciale dei conventuali che rappresentava il gruppo dei francescani. E di fronte al notaio Pietro Antonio Luciani, di Cave, in quel lontano 6 luglio 1567, fu firmato solennemente l'atto di donazione della chiesa.
La generosità degli offerenti non si limitò a cedere la chiesa e il conventino, ma anche altri beni che potessero provvedere, con i lori frutti, al sostentamento della piccola comunità.
Infatti, l'atto di donazione comprendeva, oltre alla chiesa, anche l'orto e il terreno contiguo con vecchia cisterna; dodici coppe di terreno sul colle dell'Aquila; una vigna in contrada La Cona delle Piazze; una vigna a Canepine e alcuni canneti in Valle Onica.
La cessione di tutti i beni avveniva, comunque, con il peso di talune condizioni: nella chiesa di Santa Maria del Monte dovevano essere sempre presenti non meno di due frati sacerdoti, uno dei quali doveva, ogni sabato, celebrare la Messa nella cappella della confraternita in Santa Maria di Cave e fare da ministro nelle feste del Corpus Domini, dell'Assunzione e del Natale. Inoltre, il lunedì di Pasqua, la chiesa doveva essere a disposizione dei canonici di Santa Maria per celebrarvi una Messa cantata.
I nostri frati - dei quali non conosciamo i nomi, se non quello del primo padre guardiano Giacomo da Gravina, - presero possesso della chiesa, la sistemarono e la riaprirono al culto. E, per loro dimora, ripristinarono il piccolo convento dalle mura rustiche e spoglie che era stato in origine dei padri benedettini.
Il 15 febbraio 1579, dodici anni dopo i fatti narrati, Santa Maria del Monte doveva aver raggiunto una certa notorietà se fu stabilito di celebrarvi il Capitolo provinciale dal quale uscì eletto ministro il padre Antonio Guerreschi di Proceno. I lavori del capitolo, però, non si svolsero nel piccolo convento, troppo angusto per contenere tutti i religiosi convenuti, ma a Cave, nella casa della famiglia Biscia, una facoltosa famiglia che assumerà dopo alcuni anni grande importanza nella storia che stiamo narrando.
Padre Antonio Guerreschi lo ritroviamo ancora a Cave, divenuto ormai monsignore e vescovo di Segni, a consacrare la piccola chiesa di Santa Maria del Monte in ci ventiquattro anni prima era stato eletto ministro provinciale, il 7 settembre 1603, allorché, con solenne cerimonia, pose sull'altare le reliquie di Santa Maria Maddalena e di San Pietro martire.
Giunti all'inizio del nuovo secolo, i frati cominciarono ad avvertire l'esigenza di allargare il campo della loro attività pastorale.
Santa Maria del Monte si trovava lassù, in un luogo disagiato e difficile da raggiungere, specialmente nel periodo invernale quando le strade si ricoprono di neve e di ghiaccio. Bisognava scendere a valle e sistemarsi in un luogo meno impervio e più vicino ai fedeli.
Il Padre Guardiano fece del tutto per realizzare questo progetto e, alla fine, le sue capacità e la sua tenacia furono premiate con abbondanza di risultati.
La chiesa e il conventino non furono chiusi del tutto. Restò sul posto un fratello laico, una specie di eremita, con l'incarico di accudire alla chiesa che, così, poté essere ancora frequentata per lungo tempo da rari fedeli che si recavano a visitarla per devozione o per assistere a funzioni religiose o come mèta di brevi passeggiate fuori dall'abitato.
Dopo circa un quarto di secolo, la sopravvivenza di Santa Maria del Monte è documentata da un particolare episodio. Apparteneva in quel tempo alla comunità francescana di Cave un frate converso che si chiamava fra Umile De Fabiis di Paliano, addetto ai faticosi lavori della terra. Era un uomo molto pio ed austero: si nutriva con cibo semplice e scarso, dormiva su una tavola vestito del solo saio, tormentava il suo corpo con una catenella di ferro. Fra Umile di Paliano morì, all'età di settant'anni, il 17 ottobre 1656 in Santa Maria del monte, dove da tempo risiedeva come eremita.
Si parlò subito di lui come di un santo e il suo corpo fu trasportato a Cave e sepolto nella tomba dei conversi,in una cassa speciale.
La tradizione di mantenere un eremita presso la chiesa di Santa Maria del Monte dovette resistere non pochi decenni, se nel 1670 vi fu costruito un piccolo forno e, dopo circa quarant'anni, una mano annotò sul libro dei conti del convento di Cave: "23 novembre 1707, da fra Luigi nostro eremita di Santa Maria del Monte, si ebbero per carità scudi 3 e baiocchi 70". Saranno stati probabilmente denari delle elemosine ricevute dai visitatori della chiesa, oppure una somma avuta in regalo e ceduta al convento "per carità".
Dopo la notizia del 1707, le cronache del convento non parlano di Santa Maria del Monte per circa trent'anni. Ma sicuramente la chiesa fu abbandonata, poiché si ha notizia che nel giugno 1731 fu chiusa a chiave in quanto correva voce che vi rifugiassero dei ricercati dalla giustizia e che fosse stata ridotta a stalla. E il degrado dovette continuare se nell'ottobre 1754 gli altari furono disfatti.
Eppure in qualche modo la chiesetta dovette tornare a vivere, perché troviamo che nel 1815 era nelle mani di poco scrupolosi affittuari ed "in pessimo stato".
Bisognava decidere se ripristinarla o sopprimerla. I canonici di Santa Maria, che possedevano l'antico diritto di celebrarvi una Messa solenne nel giorno di Pasquetta, avrebbero voluto che fosse riaperta al culto. Ma i frati non possedevano i mezzi per ripristinarla (non sarebbero bastati cinquemila scudi!) e perciò si accordarono con i canonici stabilendo che la Messa solenne fosse celebrata nella nuova chiesa di Cave.
Accomodata così la questione e sottoposto il tutto all'esame e all'approvazione del cardinale Carracciolo, vescovo di Palestrina, "avendo (egli) bene esaminato le ragioni dei Signori Canonici e dei Padri...., si determinò venire soppressione di detta chiesa e tutti quei diritti di cantare la suddetta Messa solenne ecc.".
Sconsacrata la chiesa dopo il decreto vescovile di soppressione, le mura delle due costruzioni rimasero in piedi per consumarsi alle intemperie. Ma il terreno all'intorno continuò ad essere coltivato, come doveva esserlo stato sempre in passato, poiché il cronista annota, nel dicembre 1825, che furono acquistati "per la vigna di Santa Maria del Monte, 800 capiti di cesanese di Affile" e nel settembre 1859: "per piantagione di olive in Santa Maria del Monte si ricevono dal Cancell. Arte agraria scudi 43".
Il convento, che era stato venduto nel 1873 per disposizione del governo italiano, fu ricomprato dal padre Giacomo Sbarra di Vignanello con denari della Curia provinciale e con altri presi a prestito, forse con la speranza di poterlo impiegare in qualche utile servizio. Ma poi, delusa la speranza, quelle mura furono vendute nel 1877 al cav. Paolo Ziluca di Cave.
Alla fine del 1800, di Santa Maria del Monte e del suo convento non rimanevano che mura fatiscenti. Ecc come le descrive il Ciavardini: "attualmente 1899, del convento e della chiesa rimangono solo le mura cadenti. Il quadro dell'altare maggiore rappresenta la nascita del Bambino Gesù. Vi si vede ancora la figura di San Giuseppe, parte della Madonna, un angelo, un pastore, parte del bove e dell'asinello. Nel muro dalla parte del vangelo vi è dipinta un'antica immagine della Madonna col Santo Bambino dello stile del 1300. L'ellera cresciuta intorno a questa bellissima immagine la preservava dai geli. Vi è ancora una statua in gesso di Sant'Antonio...Il convento poi è così mal ridotto che sta per cadere totalmente".
In un tiepido pomeriggio dello scorso mese di aprile, ci siamo recati sul posto dove sorgevano i due edifici. Chiunque voglia arrivarci dovrà, come noi, prendere - sulla strada per Genazzano, subito dopo aver oltrepassato la fonte di Santo Stefano - la seconda via a sinistra, via del Patratarone, che volge in salita verso il monte. Percorsi circa cinquecento metri di erta salita troverà, su un ampio pianoro con bel panorama, i resti dell'antico conventino. Il portico, ristrutturato, è in disfacimento. Si nota sul lato destro il piccolo forno aggiunto nel 1670 e, sul lato sinistro, dove era la chiesa, oggi non ci sono che rovi. Peraltro, sul fondo, nascoste dai rovi e dall'edera, sono ancora in piedi tre absidi affrescate. L'antica cisterna è ancora piena d'acqua.
Il visitatore sarà certamente colpito dalla suggestione dell'ambiente, che l'aiuterà a ricostruire con la fantasia l'immagine di come poteva essere quel posto, nella seconda metà del '500, quando i francescani ne fecero il loro primo insediamento in Cave.