LA GUERRA
Intanto però, intorno a questo piccolo mondo sereno e operoso, come del resto in quasi mezza Europa, erano presi a spirare minacciosi venti di guerra. Premonitrici la guerra d'Etiopia e la successiva guerra di Spagna, che però l'avevano appena sfiorato. Poi le sanzioni e l'autarchia avevano creato un clima di inquietudine. E infine fu la guerra vera. La borgata accolse la "dichiarazione" del 10 giugno 1940 senza entusiasmo e ascoltò perplessa il discorso del duce, le grida bellicose della folla che gremiva Piazza Venezia e la promessa dell'"immancabile vittoria". La politica pilotata dalla dittatura esigeva di Credere, Obbedire, e adesso Combattere. Vecchi, donne e ragazzi pensavano di esserne dispensati. I primi due anni e mezzo di guerra trascorsero senza eccessive scosse: Fermati i lavori di completamento del campanile, l'oscuramento, cibi e vestiti razionati, ogni tanto un lutto per qualche combattente caduto su uno dei tanti fronti. E gli allarmi frequenti, suonati dalla sirena situata nell'ufficio postale, costretto al servizio 24 ore su 24. In quei casi, dato che non esistevano rifugi, la gente lasciava le case per trasferirsi sulla collina o nella piana del fiume, ritenute sicure in quanto distanti dalla stazione, dai binari e dal ponte di ferro, obbiettivi militari. Ma erano più che altro occasioni di allegria: incontrarsi chiacchierare, scherzare, ingannando il tempo con qualche lavoro di ricamo o a maglia. Piccole scampagnate, insomma. Man mano, però, i lutti aumentavano, le vetrine si facevano sempre più sguarnite, le razioni diminuivano e i sacrifici aumentavano. Ma la radio e la stampa assicuravano che la fine vittoriosa della guerra era vicina, e tutti o quasi, a quei sacrifici si assoggettavano più o meno rassegnati. Il 29 agosto 1943 iniziò come una giornata perfetta. Aria mitigata dai temporali, cielo azzurrissimo, serena quiete del giorno domenicale. Ma a metà mattinata suona l'allarme. Solito esodo frettoloso ma non troppo, corsa in collina tra schiamazzi e fresche risate. Sarebbe durato poco, poi tutti di ritorno a casa. Ecco il rumore in avvicinamento dei bombardieri che tutti credono come al solito di passaggio. Invece, arrivati gli aerei quasi allo zenit, qualche cosa di nuovo e di orribile accadde. Un urlo tragico immenso disumano squarcia l'aria, insieme a boati enormi e profondi in rapida successione. Polvere e fumo oscurano il sole, piovono massi, tronchi d'albero, rami e foglie lacerate, E' il finimondo, il caos. La sera un centinaio di corpi senza vita, dilaniati e sfigurati, di ogni età e condizione, fanno tappeto al pavimento della chiesa rimasta miracolosamente quasi intatta, e nel lezzo, con i soccorritori si aggira un Padre Geremia stravolto dal dolore e stremato dalla fatica. Erano quasi tutti suoi figli. Mai avrebbe immaginato che la "sua" chiesa sarebbe stata per tanti di loro l'ultimo rifugio. Molti feriti gravi che sarebbero morti la notte e nei giorni seguenti. I bombardieri avevano appena sfiorato gli obbiettivi militari: le bombe erano cadute sulle case civili e soprattutto sulla collina e nella piana del fiume. I rifugi.
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