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ovvero i libri che leggo, via via che li leggo, perchè, come e dove, più che recensioni, briciole, perchè un libro è sempre un'avventura e ciascuno di loro merita un pensiero e un ricordo.
Silvia Montevecchi - Il sogno ostinato- lettere dall'Africa
mentre il mondo guarda con sgomento verso il cuore dell'Asia ... io leggo dell'Africa
"Se la miseria economica è terribile, quella culturale è una galera senza fine."
Questo dice Silvia in una pagina del suo diario, e aggiunge significativamente:
'uno degli aspetti peggiori dell'ignoranza è non esserne consapevoli'.
Diversamente non soltanto dagli smarriti educatori africani, ma anche da molti,
troppi, rappresentanti del nostro ricco occidente (come lo chiama lei), Silvia
è consapevole della sua ignoranza e procede con umiltà a raccontare le sue
meravigliose esperienze di viaggiatrice, prima di tutto,
e di educatrice, fin dove si può. Una certa amarezza si incontra nel suo
disincanto, nell'ammissione di una sostanziale sconfitta, perchè nulla si puo'
fare veramente per l'Africa e gli interventi della cooperazione internazionale
non sono che una goccia nel
mare agitato di paesi impenetrabili, irrecuperabili, condannati. E l'incontro
con l'Africa, dice Silvia, non è neppure più un incontro o
scontro di culture, perchè la cultura dell'Africa non esiste più. Tuttavia su
quest'ultima osservazione mi sorge il dubbio, e di genuino dubbio si tratta,
che i nostri parametri, i nostri valori siano ancora una volta troppo angusti
nella loro ridondante raffinatezza. Un dubbio che è l'altra faccia del doloroso
dilemma, di dove inizia e dove finisce la nostra (personale?) responsabilità,
su quella che nessuno può più negare sia la tragedia dell'Africa ... così
pienamente espressa dai versi di Mia Couto, un autore mozambicano, ancora
citato da Silvia:
Messi di fronte all'assenza di tutto,
gli uomini si astengono dal sogno
disarmandosi dal desiderio di essere altri.
Esiste nel nulla un'illusione di pienezza
che fa fermare la vita e imbrunisce le voci.
Mbacke Gadji - Numbeland - il regno degli animali -
Se i piedi sono destinati a calpestare il suolo, prima o poi incontreranno il serpente
Una raccolta di fiabe africane che vengono dal Senegal, storie di uomini e di
animali alla maniera delle tradizioni antiche che hanno radici nell'essenza
stessa dell'uomo. I primi protagonisti di queste storie sono, come suggerisce
il titolo, animali, e proprio fra questi animali stanno gli uomini e le loro
traversie. E come sfondo c'è, si percepisce, l'Africa e il suo orizzonte così
vasto, i suoi colori e le sue trasparenze. La natura, traboccante e volubile,
come nella storia di Samba, bambino distratto, dimenticato sopra un albero
dalla famiglia che fugge a causa di un'inondazione.
Quasi nessuna delle storie di Mbacke ha il classico
lieto fine del " ... e tutti vissero felici e contenti". Al contrario, le
conclusioni sono
spesso abbastanza sconcertanti, quasi, al nostro arido palato occidentale, che
l'autore avesse perso il gusto della storia e dovesse arrangiarsi a finirla in
qualche modo. Oppure è soltanto perchè a quell'autore non interessava per
niente la conclusione, ma solo, appunto, la storia.
Ciko (Roberto Mauri) - Luna Park Ruanda -
"Quello dell'infanzia abbandonata è un fenomeno particolarmente florido nei paesi in guerra, nei quali lo spostamento improvviso e massivo di intere popolazioni diventa necessario e frequente."
Non ho potuto fare a meno di pensare ai bambini smarriti di Peter Pan, quelli
che
scivolano fuori delle carrozzelle quando la
bambinaia non fa loro attenzione, e al loro inespresso,
eppure disperato desiderio di ritrovare una mamma.
I bambini smarriti ... Se entro sette giorni i
genitori non li
ricercano vengono spediti molto lontano, sull'Isola che Non c'è, perchè nessuno
se ne accolla le spese. Peter Pan dice - Non ho
mamma - E non solo non aveva mamma, ma non aveva
nemmeno il più debole desiderio di averla.
Riteneva che si attribuisse alle
mamme eccessiva importanza.
Ma per gli
ENA, enfants non
accompagné, di cui ci racconta Chiko, non c'è favola. Bisognerebbe
rivisitare
la favola e guardarla con gli occhi impietosi della
guerra, dove l'isola che non c'è è un'isola non trovata e rimangono solo i
grandi occhi sperduti dei bambini.
Alberto Moravia - Gli indifferenti -
"E' inutile," si ripeteva toccando con le dita incerte i bordi della finestra, "è inutile ... questa non è la mia vita..".
Romanzo di grande fortuna, innovativo per la sua epoca; romanzo d'altri tempi, ma ancora capace di convincere perchè l'insalubre e sfatta atmosfera in cui si muove la sua gente ricca e vuota esiste ancora, forse da sempre, forse per sempre. Non lo avevo mai letto, così a un certo punto ho desiderato conoscerlo, non senza una certa diffidenza, e senza aspettarmi miracoli. E' un romanzo teatrale, non grandi spazi, nè inquietanti orizzonti, piuttosto stanze male illuminate, pesanti tendaggi che mal celano meschini segreti, porte socchiuse, e le strade di una città sotto la pioggia, intraviste oltre i vetri di un'auto che scivola nel buio. Così teatrale che mi viene il dubbio che l'aspirazione più genuina di Alberto Moravia fosse non tanto la narrativa, ma il dramma. La storia è costruita intorno a un solo personaggio, Michele, la sola personalità indagata con accurata dedizione dallo scrittore. Tutti gli altri sono comparse, quasi in forma di suppellettili, osservate e descritte con studiata malizia, e disprezzate, come fossero loro, quelle persone-cose che gravitano intorno a lui , i responsabili della colpevole indifferenza che paralizza l'anima di Michele. Una storia che non sono riuscita ad amare, perchè altre sono le storie che amo, quelle che fanno vibrare corde sconosciute, inventano sentimenti e autorizzano scoperte, o seducono quasi senza ragione. Una storia famosa, che (forse) val la pena di conoscere.
Jon Krakauer - Aria sottile -
"E poi mi ritrovai in cima a un gradino di ghiaccio, adorno di una bombola d'ossigeno vuota e da un ammaccato tripode di alluminio del servizio geodetico: non c'era più nulla da scalare."
Ho cominciato a leggere questo libro come si legge di un'avventura, come si
legge di viaggi che non potremo mai fare e quindi cerchiamo di immaginare sui
libri. La narrazione davvero mi ha portato sull'Himalaya, e su verso l'Everest, e mi ha insegnato e
comunicato l'atmosfera della spedizione e della scoperta; ma poi,
inesorabilmente, mi
ha
travolto nel vortice della tragedia, lasciandomi dolorante e esterefatta.
Perchè questa non è la tragedia di Scott o di Mallory che hanno perso la vita
nel tentativo di realizzare un'impresa mai compiuta prima, non è la tragedia
del pioniere che va incontro all'ignoto, è la tragedia di uomini che si sono
persi perchè già da prima avevano perduto la misura delle loro forze e dei loro
limiti.
Su questa vicenda sono state spese
pagine e pagine di inchiostro e di polemiche, e certo anch'io me ne sono fatta
un'opinione, e ho formulato la mia del tutto personale (e necessariamente
arbitraria)
valutazione delle responsabilità. Chiunque ha raccontato questa vicenda,
Krakauer prima, e poi Bourkreev, e persino lo sherpa Tenzing, era certamente
consapevole che raccontare una storia la espone al giudizio del lettore. Ma se
schierarsi è quasi inevitabile, ciò che rimane veramente del libro è un
profondissimo sgomento, e una reverente ammirazione per un'immensa, altera e
inviolabile montagna.
Helen Fielding - Il diario di Bridget Jones -
... perchè tutte le donne, prima o dopo, sono state single ...
Ho trovato questo libro delizioso e
spassionatamente lo consiglio a tutte le donne (l'altra metà del cielo deciderà
da sola, avvalendosi dello spiccato senso critico di cui la natura li ha
ampiamente forniti) che abbiano superato la
maggiore età da
non più di qualche decennio, e lo consiglio soprattutto alle amanti di Jane
Austen, di cui
"Il diario" è farcito di citazioni più o meno evidenti. La più
ovvia, quasi pacchiana, è l'aver copiato il nome del protagonista,
l'ineffabile Mr. Darcy
di "Pride and Prejudice". L'industria cinematografica se ne è subito
impossessata affidando la parte al Colin Firth che già aveva interpretato il
Darcy ottocentesco in una miniserie TV del '95 (opportunamente citata nel
diario). Ma il gioco delle 'citazioni' (o se preferite, delle parodie) non
finisce certo qui. Una single non più giovanissima, ma ricca di spirito e
intraprendenza, ben rappresenta la brillante ed intelligente, ma ahimè quasi
povera, giovinetta
ottocentesca, perfettamente conscia della sua difficile posizione di
secondogenita in una nidiata di cinque femmine, tutte in cerca e impellente
necessità di un buon matrimonio. Ancora, in
entrambe le storie, l'approccio fra i due protagonisti è tutt'altro che
idilliaco e le incomprensioni che ne derivano sono fertili di gustosa ironia.
Ma gli equivoci si dissolvono come nebbia al sole quando Darcy si riscatta dal
precedente comportamento alquanto villano con un'azione nobilmente
disinteressata nei confronti della famiglia di Elizabeth/Bridget, utilizzando
elegantemente in
entrambe i casi della sua elevata posizione socio-professionale . E mentre
le analogie potrebbero continuare all'infinito, forse oltre le stesse
intenzioni dell'autrice, bisogna pur dire che "Il Diario di Bridget Jones" non
è affatto una copia, nè brutta nè bella di P&P, è un po' fumetto, un po'
satira, una parentesi esilarante e totalmente disimpegnata nel grigiore della
narrativa moderna.
E se a qualcun altro capitasse, come è capitato a me, di non averne abbastanza,
si può addirittura continuare con "The edge of reason", in italiano "Che
pasticcio, Bridget Jones" (solita infelice traduzione del titolo), seguito
egregiamente all'altezza dell'esordio.
Thomas Mann - I Buddenbrook - decadenza di una famiglia
Diceva Italo Calvino che un classico è un libro che non ha mai finito di dire
quello che ha da dire dire.
Provo a far parlare questo libro attraverso le sue donne (giocando a
dimenticarmi dei Johann che hanno fatto grande la famiglia, ma anche di Thomas
e Cristian e del giovane e sfortunato Hanno). Le donne sono tre e, come sempre
nella vita vera, sono quelle che rimangono. Gli uomini partono, muoiono,
scompaiono ... otto donne recitano la scena finale del libro, quando ormai
tutto si è compiuto e il tempo rimasto serve solo agli addii. Ma tre, dicevo,
sono le protagoniste: Elisabeth, Antonie e Gerda ( e Gerda è la mia
preferita, anche se io non le sarei stata simpatica). Elisabeth, la signora
madre, è il vero pilastro della famiglia. Dopo aver portato in dote al marito
console la prestigiosa parentela con il borgomastro, a lei il
destino riserva una sorte più limpida che alle altre due, una vita all'apice e
quattro figli, di cui soltanto di Clara è costretta a
testimoniare la morte. Finchè Elisabeth è in vita
non esiste per i fortunati eredi nè decadenza nè incertezza. Il declino dei
Buddenbrook comincia con la sua fatale polmonite, anche se già da tempo Thomas,
pur al vertice del successo, della decadenza aveva avuto sentore. Antonie,
figlia di Elisabeth, è l'unica che l'autore (uomo) si permetta di
schernire un po', con quella sua testa spinta all'indietro e quel suo mento sul
petto,
in una perenne posizione di rigidezza innaturale. Antonia è una vittima
indomita e sincera, ma libera, perchè non
deve soggiacere mai alla condanna del silenzio. " Niente di inespresso la
consumava, nessuna esperienza taciuta la gravava" e "di fronte a nessuna
lusinga e a
nessun affronto della vita aveva mai taciuto." Impotente tuttavia a forgiare il
proprio destino, ci pare, con la sua petulante vitalità, come un fuscello trasportato dalla rapida, ingannata dall'ingenua speranza che la vita debba prima o poi riservarle il dovuto rispetto. Infine Gerda, impenetrabile musa, enigmatica fino all'ultimo,
compresa forse solo dal suo violino. Ella è delle tre la più sola, ma non è
lecito per questo pensarla come la più infelice. Ella, come ha da dire Antonie nella già
ricordata ultima scena, "ha perso tutto", ma se l'ha perso è perchè molto ha avuto, e ancora ha, perchè l'arte è l'unica immortalità che l'uomo conosca e perchè la ricchezza della vita non è nella meta, ma nel viaggio.
Martin Buber - Il cammino dell'uomo
"Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero."
Poco posto è rimasto nella nostra esistenza di animali tecnologici per la filosofia e la spiritualità. E allora bisogna davvero che mi conceda il lusso di leggere qualche pillola di saggezza, qualcosa che mi rammenti di come funziona il pensiero, quello libero da condizionamenti e dal ricatto del bisogno quotidiano, ma anche da dogmi e teologie imposte e insindacabili. Leggere e rileggere, penetrare questa visione senza sentirsi giudicata o inquisita, senza giudicare e inquisire, soltanto per ragionare, riflettere e sentire.
Debra Dickerson - An American Story
Sono alcuni (molti) mesi che trascuro questa rubrica, ovvero trascuro tutte le mie pagine a causa di impegni vari e di tante altre piccole e grandi ragioni. Non posso dire altrettanto della lettura che, per fortuna, accompagna i miei giorni con piacevole assiduità. E ho letto vari libri veramente interessanti. Quasi tutti appartengono ad una categoria che, di solito, mi è poco congeniale, quella dei 'romanzi brevi'. Non amo i romanzi brevi perchè non mi consentono di entrare in intimità con i personaggi, ma devo riconoscere che sono utilissimi nei viaggi brevi, negli ambienti affollati e nelle notti insonni. Circostanze queste divenuti assai usuali per me, ma credo per molte altre persone in questo incipit di millennio.
E così nell'affanno quotidiano, all'inseguimento scomposto di non si sa che cosa, nella singolar tenzone fra me il tempo, ben venga la breve e fugace pausa che mi concedono queste crisalidi di romanzi (uso una metafora di Kundera). State con me ancora un poco, e spero proprio che vi parlerò di tutti