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Al tempo delle lotte baronali fu addirittura sede di accampamento del re
aragonese Ferrante I che si era mosso con l’esercito reale nelle nostre terre
per sedare una delle tante congiure baronali contro la corona di Spagna. Era il
15 settembre del 1461.
Salire la scala, anticamente, simboleggiava la pena da scontare per la
purificazione dai peccati. Anche se le origini dell’attuale nucleo antico di
Pietrelcina affondano le radici nel Medioevo, da varie vestigia d’indubbia
fattura romana s’inferisce che il territorio di Pietrelcina dovette essere
abitato già in epoca pagana. L’opera si compone di un’aquila che poggia gli
artigli su una testa umana e che sostiene, nel contempo, un leggìo con
iscrizioni e finemente ornato. Un’iscrizione contenente un voto che un certo
Caio Umbrio Eufileto faceva a Giove — I.O.M. - C. UMBRI - US EUPHI - LETUS -
V.L.S. — «A Giove Ottimo Massimo - Caio Umbrio - Eufileto - libero scioglie il
voto», incastrato attualmente nello spigolo destro del sagrato della chiesa
madre di S. Maria degli Angeli, una statua togata di un patrizio romano del I
secolo d.C., un grosso blocco lapideo a mo’ di architrave impreziosito da metope
e triglifi ed altri reperti rinvenuti in località Isca Rotonda, presso il fiume
Tammaro, fanno pensare alla presenza in tale zona di una o più «villae» romane.
All’esterno, risalta immediatamente l’enorme mole del campanile, di forma
ottagonale, che si sviluppa per un’altezza di 27 metri. Alla caduta dell’Impero
romano (476 d. C.) le orde barbariche si riversarono con veemenza sulle nostre
zone. I saccheggi, le violenze e le angherie contraddistinsero questi tempi bui,
in cui la povera gente fu costretta a cercare rifugio e salvezza in luoghi
isolati e discosti dalle vie di comunicazione. Sorsero, così, tante piccole
comunità aggregate attorno ai primi conventi e chiese che divennero, ben presto,
centri di vita e di lavoro, oasi tranquille in quei tempi tristi dell’Altomedioevo.
Nel 1656 «la peste di Napoli» falcidiò la popolazione di Pietrelcina, causando
circa 700 vittime e come se non bastasse la peste ad infierire sui nostri avi,
il sabato del 5 giugno 1688 avvenne un terremoto spaventoso procurando notevoli
danni all’abitato. In tale occasione furono rinvenute moltissime monete bronzee,
risalenti all’età Imperiale, Ostrogota e Bizantina. Successivamente viene citato
nella cronica medioevale di Falcone Beneventano che registra la distruzione da
parte del re normanno Ruggiero II in persona nell’anno 1138 del piccolo castello
di Pietrelcina [«castellum Petrae Policinae»], appartenente al cavaliere
normanno Bartolomeo. Non solo, ma reperti archeologici di epoca pagana — resti
di anfore e vasi di vario genere, basamenti di porte, architravi, frammenti di
fregi architettonici e numerosi resti di «dolium» di diverse misure — sono
emersi anche in località Piana Romana dove si ritiene fosse accampata una
colonia di Liguri Bebiensi, schiavi deportati dal console romano Bebio. Sulla
destra si nota l’altare dedicato a San Francesco d’Assisi, fatto costruire nel
1675 da una guarnigione di soldati ispanici venuti in pellegrinaggio a San
Michele. I locali vennero alla luce in seguito a degli scavi archeologici
effettuati intorno agli anni Cinquanta. Nell’atrio si nota, sulla sinistra, il
sepolcro di Jacopo Polderico, un tempo occupato dalle spoglie di Margherita
Sanseverino, nonna del re Ladislao e della regina Giovanna II. Risorgerà dalle
ceneri pochi anni dopo e si avvierà ad essere un centro di una certa importanza
dal momento che nel luglio del 1269, insieme ad altre terre feudali, potrà
fornire soldati ed uomini al re Carlo I D’Angiò che ne fece espressa richiesta
in un’ordinanza reale. Secondo il censimento dell’epoca, commissionato
dall’Arcivescovo di Benevento Vincenzo Maria Orsini (futuro Papa Benedetto XIII),
la popolazione di Pietrelcina ascendeva a 505 anime. Le varie costruzioni si
sono succedute a partire dall’originaria grotta, fulcro dell’intera struttura
del Santuario di S. Michele. L’ambiente, privo di finestre, è illuminato dalla
flebile luce delle candele adorative. Fu fatto edificare da re Carlo I d’Angiò
nell’anno 1282. La facciata del santuario presenta una chiara architettura
gotica, opera del mastro Simone da Monte Sant’Angelo. In una piccola nicchia, al
di sotto della mensa, si legge la lettera Tau che, secondo una leggenda, venne
impressa sulla roccia dallo stesso Poverello d’Assisi. Nel periodo feudale
Pietrelcina ebbe l’onore di appartenere alle più grandi famiglie nobili del
Regno di Napoli (Caracciolo, D’Aquino, Carafa) che se ai nostri occhi può
apparire un vanto storico, non lo era certamente per i nostri avi che furono
costretti ad affrontare sempre più precarie condizioni di vita, oltraggiati
com’erano dai soprusi e dai tracotanti atteggiamenti dei baroni. In fondo, nella
zona absidale, è possibile ammirare l’Altare del Sacramento o del Santissimo, in
stile barocco del ‘600. La volta e il fondo della spelonca, dominata dalla
pietra che affiora ovunque, rappresentano il cuore del Santuario di San Michele.
A lato, sempre verso sinistra, è situato l’altare della Madonna del Suffragio,
protetto da una struttura a mo’ di baldacchino, tutta in marmo. Dietro l’altare,
vi è il «pozzetto» dove cade di continuo una goccia d’acqua santa che trasuda
dalla viva roccia. Al di sotto della Basilica dedicata a San Michele Arcangelo,
in corrispondenza dell’antico ingresso alla Grotta, attualmente è stato
allestito un vero e proprio Museo.