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Le origini, leggende e miti
Livio "Storia di Roma"
Prefazione
I racconti tradizionali che sì riferiscono al tempi
precedentì la fondazione o la futura fondazione dell'Urbe,
conformi più alle favole poetiche che a una rigorosa
documentazione storica, io non intendo né confermarli nè
confutarli.Si può ben accordare agli antichi questa licenza
di nobilitare le origini delle città mescolando l'umano col
divino; e se v'è un popolo cui si deve consentire di
divinizzare le proprie origini e di attribuirne la causa prima
agli dèi, il popolo romano ha tale gloria militare che,
quando esso vanta soprattutto Marte come padre suo e del suo
fondatore, le genti accettano di buon animo questa sua
debolezza così come ne accettano il dominio.
Livio "Storia di Roma" I ,1 (le
origini troiane di Roma)
E' innanzi tutto generalmente noto che, dopo la presa di
Troia, si infierì contro tutti i Troiani, fuorché due, Enea
ed Antenore, in favore dei quali, e per un antico vincolo
d'ospitalità e perché essi erano sempre stati fautori della
pace e della restituzione di Elena, gli
Achivi rinunciarono ad ogni diritto di guerra;
E' noto anche che Enea, profugo dalla patria perché
vittima della stessa sventura, ma destinato dai fati a dare
inizio a più grandi eventi, giunse dapprima in Macedonia, e,
sbalzato di là in Sicilia mentr'era in cerca d'una sede,
dalla Sicilia approdò con la flotta nel territorio di
Laurento. Anche questo luogo è chiamato Troia. Poiché i
Troiani, sbarcati che furono, non essendo rimasto loro quasi
nulla dopo quell'interminabile peregrinare all'infuori delle
armi e delle navi, depredavano i campi, il re Latino e gli
Aborigeni, che abitavano allora quella regione, accorsero
dalla città e dai campi, in armi, per respingere l'invasione
degli stranieri. Ne derivò una duplice tradizione alcuni
affermano che Latino, vinto in battaglia, fece pace con Enea e
poi strinse con lui legami di parentela; altri che, quando già
gli eserciti avevano preso posizione, prima che fosse dato il
segnale della battaglia Latino s'avanzò tra i maggiorenti e
invitò a colloquio il capo degli stranieri; e che, dopo aver
chiesto chi fossero, donde venissero, per quale circostanza
fossero partiti dalla loro patria, e a quale scopo fossero
sbarcati nel territorio di Laurento, saputo che la massa era
composta di Troiani, che il loro capo era Enea figlio di
Anchise e di Venere, e che, fuggiti dalla patria in seguito
all'incendio della loro città, cercavano una sede e un luogo
ove fondare una nuova città, ammirando la nobiltà di quella
gente e del suo capo, e il loro animo pronto sia alla guerra
che alla pace, tesa la destra, fece solenne promessa di futura
amicizia. Affermano pure che fu stretto un patto d'alleanza
fra i capi, e che fra i due eserciti fu scambiato il saluto;
che Enea fu ospite nella casa di Latino, e che ivi Latino,
dinanzi agli dèi Penati, al pubblico patto d'alleanza ne
aggiunse uno privato, dando la propria figlia In sposa ad
Enea. Questo fatto conferma del tutto nei Troiani la speranza
di porre finalmente termine al loro peregrinare In una sede
stabile e sicura.Fondano una città; Enea la chiama, dal nome
della moglie, Lavinio. Di li a poco nacque dal nuovo
matrimonio un figlio maschio, ai quale i genitori diedero il
nome di Ascanio.
Livio "Storia di Roma" I ,4 (La
leggenda di Romolo e Remo)
Ma era destinato dai fati, io credo, che dovesse sorgere sì
grande città e che avesse così inizio l'impero più potente
subito dopo quello degli dèi. La Vestale, essendole stata
fatta violenza e avendo dato alla luce due gemelli, sia che ne
fosse realmente convinta, sia perché meno disonorevole
apparisse una colpa di cui era responsabile un dio,
attribuisce a Marte la paternità della sua illegittima prole.
Ma ne gli dèi ne gli uomini sottraggono lei e la sua prole
alla crudeltà del re: la sacerdotessa, In catene, viene
imprigionata; quanto ai bimbi, egli ordina che siano gettati
nella corrente del fiume. Per un caso che ha del divino il
Tevere, che era straripato dilagando in placidi stagni, non
permetteva di accostarsi fino al letto normale del fiume,
mentre dava ai portatori la speranza che i bimbi potessero
ugualmente venir sommersi dalle acque, per quanto inerti esse
fossero. E così, convinti di aver eseguito l'ordine del re,
espongono i bimbi nella più vicina pozza, nel punto in cui
oggi si trova il fico Ruminale , un tempo detto, a quanto si
racconta, Romulare. V'erano allora In quei luoghi vaste lande
deserte. Persiste ancora la tradizione che, quando le acque
poco profonde lasciarono in secco l'ondeggiante canestro nel
quale i bimbi erano stati abbandonati, una lupa assetata,
scesa dai monti circostanti, fu attratta dai loro vagiti; che
essa, abbassatasi, offri le sue poppe ai piccini con tanta
mansuetudine, che il mandriano del re - dicono si chiamasse
Faustolo - la trovò nell'atto di lambire i bimbi con la
lingua; che costui li portò nelle sue stalle e li affidò da
allevare alla moglie Larenzia.
Livio "Storia di Roma" I
,6,7 La fondazione di Roma)
Affidato così a Numitore lo Stato albano, Romolo e Remo
furono presi dai desiderio di fondare una città in quei
luoghi in cui erano stati esposti ed allevati. Sovrabbondava
infatti la popolazione degli Albani e dei Latini, e ad essi
per di più s'erano aggiunti i pastori, sì che tutti
senz'altro speravano che sarebbe stata piccola Alba, piccola
Lavinio, in confronto alla città che sì voleva fondare.
S'insinuò poi tra queste considerazioni quel male ereditario
ch'è la cupidigia di regnare, e in conseguenza di ciò nacque
l'indegna contesa originata da motivi piuttosto futili. Poiché
erano gemelli, e non valeva dunque come criterio risolutivo il
rispetto dovuto all'età, affinché gli dèi sotto la cui
protezione erano quei luoghi indicassero con segni augurali
chi doveva dare il nome alla nuova città, chi dopo averla
fondata doveva regnarvi, Romolo, per prendere gli auspici,
occupò come luogo d'osservazione il Palatino; Remo
l'Aventino.
Si dice che a Remo per primo apparvero come segno augurale
sei avvoltoi; e poiché, quando ormai l'augurio era stato
annunziato, se n'erano offerti alla vista di Romolo il doppio,
le rispettive schiere li avevano acclamati re entrambi: gli unì
pretendevano d'aver diritto al regno per la priorità nel
tempo, gli altri invece per il numero degli uccelli. Venuti
quindi a parole, dalla foga della discussione furono spinti
alla strage; fu allora che Remo cadde colpito nella mischia.
È più diffusa la tradizione che Remo, in atto di scherno
verso il fratello, abbia varcato con un salto le nuove mura;
che per questo egli sia stato ucciso da Romolo infuriato, il
quale, inveendo anche con le parole, avrebbe aggiunto: Cosi
d'ora in poi perisca chiunque altro varcherà le mie mura!
Pertanto Romolo ebbe da solo il potere; fondata la città,
essa ebbe nome dal suo fondatore.
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