bullet1 ROBERTO PIZZUTTI

I prati stabili con particolare riguardo alla pianura friulana


bullet2 Definizione di prati stabili

Definiamo ora cosa sono i prati stabili: i prati stabili sono quelle formazioni erbacee che non hanno subito il dissodamento (aratura o erpicatura) e che sono mantenute tali esclusivamente attraverso lo sfalcio e l’eventuale concimazione, che non deve essere comunque eccessiva, pena la perdita di ricchezza floristica. Non vi è bisogno di procedere a semine artificiali, in quanto la propagazione delle specie è garantita da meccanismi naturali.

I prati stabili potrebbero essere confusi con i prati avvicendati, ossia con quelle colture che assieme al mais, al frumento, alla soia e poche altre, costituiscono una fase delle rotazioni. Questi prati avvicendati sono in genere costituiti da erba medica o trifoglio e/o una o più graminacee seminate. Invece i prati stabili, specialmente quelli poco concimati, ospitano numerosissime e ben determinate specie vegetali, alcune anche endemiche della nostra regione, tipiche di questi habitat a cui sono legate per la loro sopravvivenza. Tali specie appartengono a numerose famiglie, la più importante delle quali, per valore naturalistico, è quella delle orchidacee.

Dal punto di vista strutturale prevalgono nettamente le graminacee, seguite da leguminose e composite, di elevato valore foraggiero. La notevole varietà di specie dei prati stabili rispetto alla uniformità di quelli avvicendati è apprezzabile anche a colpo d’occhio al momento della fioritura per effetto dei colori delle appariscenti e multiformi corolle.

Queste specie vegetali sono legate all’ecologia ed alla storia di un determinato territorio e per questo, oltre a rappresentarne l’identità biologica, ne indicano il grado di naturalità e di conservazione. Le entità dei prati, e non solo quelle vegetali, sono molto sensibili alle alterazioni ambientali. Non sopportano manomissioni come arature, calpestamento, eccesso di concimazione ecc., e non ricolonizzano facilmente superfici degradate, soprattutto per la concorrenza di specie avventizie sinantropiche maggiormente adattate alla colonizzazione di aree rimaneggiate.

Circa l’origine delle formazioni prative si è già in parte detto. In generale, almeno le tipologie più primitive di prati asciutti o dei più umidi, erano presenti anche prima che l’uomo espandesse la propria influenza, ed è anche per questo che tra esse troviamo un così gran numero di entità endemiche.

Per meglio capire come man mano si sono evolute, bisogna immaginare come ha avuto origine la nostra pianura.

L’intensa attività glaciale, che perdurò fino a circa 10.000-12.000 anni fa, produsse una grandissima massa di detriti, trasportati a valle prima dai ghiacci e quindi dalle varie correnti fluvioglaciali. Il clima rigido impediva la crescita di piante arboree, e pertanto le aree non percorse dai corsi d’acqua erano coperte da vegetazione prativa, che cresceva su un substrato molto superficiale, ancora povero di materiale fine e nutrienti.

Con il passare dei secoli, seppure con fasi alterne di riscaldamento e raffreddamento, vi è stato un miglioramento climatico che ha permesso l’espansione dei boschi da sud verso nord (per la nostra regione sarebbe meglio dire da sud-est e da sud-ovest). Vi è stata parallelamente la migrazione delle praterie verso le quote più elevate, ma un certo numero di specie ha trovato rifugio in aree planiziali più fresche per effetto della risorgenza d’acqua, che non sono state colonizzate dagli alberi perchè troppo a lungo sommerse e troppo povere di elementi nutritivi.

L’instaurarsi di certe condizioni ecologiche in aree localizzate ha determinato l’isolamento genetico di certe entità, che hanno così potuto evolvere nelle attuali specie endemiche.
Similmente a quanto si è avverato nelle aree in cui la falda affiora in superficie, vaste superfici non vennero occupate dai boschi che si espandevano verso nord poiché le frequenti alluvioni mantenevano molto primitivo il substrato e asportavano le plantule che eventualmente avevano attecchito.

Successivamente, anche a seguito dei vasti disboscamenti operati dall’uomo e del pascolamento transumante, molte specie si sono qui insediate migrando da aree più calde e secche, prevalentemente meridionali ed orientali. Vi fu infatti un’importante flusso dalla regione Pontica (posta a nord del Mar Nero e del Mar Caspio), dalla regione Pannonica (Ungheria), dalla Penisola Balcanica.

Con il miglioramento climatico vi fu inoltre l’espansione verso la nostra regione di specie sub-mediterranee illiriche (che si erano differenziate lungo le coste della Penisola Balcanica). In questo contesto di flussi migratori derivanti dal mutare delle condizioni climatiche e dalle alterazioni ambientali causate dall’uomo, la pianura comunque era continuamente soggetta all’apporto di specie alpine, che scendevano sotto forma di semi o organi vegetativi, come continuano a fare ancor oggi, con le ricorrenti piene dei corsi d’acqua, trovando condizioni primitive come quelle d’alta quota proprio sulle ghiaie nude o recentemente colonizzate.

In sintesi la pianura friulana è stato il luogo di confluenza e di successiva giustapposizione di specie provenienti dai quattro punti cardinali. In base alla provenienza si possono perciò individuare quattro gruppi di specie.

Gruppo continentale steppico: rappresentato da specie quali Allium montanum,Campanula sibirica, Crambe tataria, Chrysopogon gryllus, Genista sericea, Medicago falcata e M. minima, Peucedanum oreoselinum, Stipa eriocaulis, Pseudolysimachion barrelieri, ecc.
Gruppo di specie alpine: è costituito dalle specie Biscutella laevigata, Dryas octopetala, Gypsophila repens, Gentiana verna ed altre.
Gruppo di specie endemiche locali: per quanto riguarda le formazioni asciutte le più importanti sono Brassica glabrescens, Centaurea dichroantha, Mattiola carnica; per le formazioni umide Erucastrum palustre, Armeria helodes, Euphrasia marchesettii, Centaurea forojuliensis.
Gruppo di specie mediterranee: ne sono esempio Orchis tridentata, Serapias vomeracea, molte specie del genere Ophrys.