Definizione di prati stabiliDefiniamo ora cosa sono i prati stabili: i prati stabili sono quelle formazioni erbacee che non hanno subito il dissodamento (aratura o erpicatura) e che sono mantenute tali esclusivamente attraverso lo sfalcio e l’eventuale concimazione, che non deve essere comunque eccessiva, pena la perdita di ricchezza floristica. Non vi è bisogno di procedere a semine artificiali, in quanto la propagazione delle specie è garantita da meccanismi naturali. I prati stabili potrebbero essere confusi
con i prati avvicendati, ossia con quelle colture che assieme
al mais, al frumento, alla soia e poche altre, costituiscono una
fase delle rotazioni. Questi prati avvicendati sono in genere
costituiti da erba medica o trifoglio e/o una o più graminacee
seminate. Invece i prati stabili, specialmente quelli poco concimati,
ospitano numerosissime e ben determinate specie vegetali, alcune
anche endemiche della nostra regione, tipiche di questi habitat
a cui sono legate per la loro sopravvivenza. Tali specie appartengono
a numerose famiglie, la più importante delle quali, per
valore naturalistico, è quella delle orchidacee. Dal punto di vista strutturale prevalgono
nettamente le graminacee, seguite da leguminose e composite, di
elevato valore foraggiero. La notevole varietà di specie
dei prati stabili rispetto alla uniformità di quelli avvicendati
è apprezzabile anche a colpo d’occhio al momento della
fioritura per effetto dei colori delle appariscenti e multiformi
corolle. Queste specie vegetali sono legate all’ecologia
ed alla storia di un determinato territorio e per questo, oltre
a rappresentarne l’identità biologica, ne indicano il grado
di naturalità e di conservazione. Le entità dei
prati, e non solo quelle vegetali, sono molto sensibili alle alterazioni
ambientali. Non sopportano manomissioni come arature, calpestamento,
eccesso di concimazione ecc., e non ricolonizzano facilmente superfici
degradate, soprattutto per la concorrenza di specie avventizie
sinantropiche maggiormente adattate alla colonizzazione di aree rimaneggiate. Circa l’origine delle formazioni prative
si è già in parte detto. In generale, almeno le
tipologie più primitive di prati asciutti o dei più
umidi, erano presenti anche prima che l’uomo espandesse la propria
influenza, ed è anche per questo che tra esse troviamo
un così gran numero di entità endemiche. Per meglio capire come man mano si sono
evolute, bisogna immaginare come ha avuto origine la nostra
pianura. L’intensa attività glaciale,
che perdurò fino a circa 10.000-12.000 anni fa, produsse
una grandissima massa di detriti, trasportati a valle prima dai
ghiacci e quindi dalle varie correnti fluvioglaciali. Il clima
rigido impediva la crescita di piante arboree, e pertanto le aree
non percorse dai corsi d’acqua erano coperte da vegetazione prativa,
che cresceva su un substrato molto superficiale, ancora povero
di materiale fine e nutrienti. Con il passare dei secoli, seppure con
fasi alterne di riscaldamento e raffreddamento, vi è stato
un miglioramento climatico che ha permesso l’espansione dei boschi
da sud verso nord (per la nostra regione sarebbe meglio dire da
sud-est e da sud-ovest). Vi è stata parallelamente la migrazione
delle praterie verso le quote più elevate, ma un certo
numero di specie ha trovato rifugio in aree planiziali più
fresche per effetto della risorgenza d’acqua, che non sono state
colonizzate dagli alberi perchè troppo a lungo sommerse
e troppo povere di elementi nutritivi. L’instaurarsi di certe condizioni ecologiche
in aree localizzate ha determinato l’isolamento genetico di certe
entità, che hanno così potuto evolvere nelle attuali
specie endemiche. Successivamente, anche a seguito dei
vasti disboscamenti operati dall’uomo e del pascolamento transumante,
molte specie si sono qui insediate migrando da aree più
calde e secche, prevalentemente meridionali ed orientali. Vi fu
infatti un’importante flusso dalla regione Pontica (posta a nord
del Mar Nero e del Mar Caspio), dalla regione Pannonica (Ungheria),
dalla Penisola Balcanica. Con il miglioramento climatico vi fu
inoltre l’espansione verso la nostra regione di specie sub-mediterranee
illiriche (che si erano differenziate lungo le coste della Penisola
Balcanica). In questo contesto di flussi migratori derivanti dal
mutare delle condizioni climatiche e dalle alterazioni ambientali
causate dall’uomo, la pianura comunque era continuamente soggetta
all’apporto di specie alpine, che scendevano sotto forma di semi
o organi vegetativi, come continuano a fare ancor oggi, con le
ricorrenti piene dei corsi d’acqua, trovando condizioni primitive
come quelle d’alta quota proprio sulle ghiaie nude o recentemente
colonizzate. In sintesi la pianura friulana è
stato il luogo di confluenza e di successiva giustapposizione
di specie provenienti dai quattro punti cardinali. In base alla
provenienza si possono perciò individuare quattro gruppi
di specie. • Gruppo continentale steppico: rappresentato da specie quali Allium montanum,Campanula sibirica, Crambe tataria, Chrysopogon gryllus, Genista sericea, Medicago falcata e M. minima, Peucedanum oreoselinum, Stipa eriocaulis, Pseudolysimachion barrelieri, ecc.
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