Bambini
in biblioteca
di Antonella Agnoli, direttrice della biblioteca comunale di Spinea
(VE).
1.
Cultura e lettura.
L’Italia
è il Paese dei paradossi: abbiamo 7 milioni di abbonati a Internet ma
quasi il 50 % dei ragazzi non finisce la scuola superiore. Abbiamo 30
milioni di telefoni cellulari e meno di 5 milioni di copie di quotidiani
vendute ogni giorno. L’indice delle copie vendute per 100 abitanti è
al livello in cui era nel 1900, inferiore a quello di tutti gli altri
membri dell’Unione europea, con l’unica eccezione del Portogallo. Il
Veneto, una regione che negli ultimi dieci anni si è molto vantata del
suo successo economico e che gode sostanzialmente della piena
occupazione, ha un fortissimo abbandono scolastico già dopo la terza
media. Qui non sono solo gli indicatori della scolarità a essere più
bassi della media nazionale: se guardiamo al numero di librerie in
rapporto alla popolazione scopriamo che Treviso è all’89° posto
nella graduatoria delle province italiane (preceduta da Caltanissetta,
Matera e Trapani) Vicenza è al 67°, mentre Padova, pur essendo una
città universitaria, è solo al 43° posto.
Questa situazione non ha nulla di naturale o inevitabile: è il frutto
di scelte (o di non-scelte) fatte nei passati decenni. Di chi è la
colpa se allo sviluppo economico non è corrisposto un investimento
nell’alfabetizzazione di massa ? Uno sforzo nella promozione culturale
secondo criteri moderni ed efficaci ? Se in migliaia di comuni italiani
non esiste una sala cinematografica, una libreria, una biblioteca, se
non esistono servizi e luoghi dove poter crescere sul piano
intellettuale questo è il risultato del disinteresse dei politici,
degli amministratori, degli intellettuali. I politici italiani non sanno
quale contributo fondamentale la biblioteca pubblica possa dare al
miglioramento della qualità della vita e si disinteressano di questo
servizio, al contrario di quanto avviene all’estero dove le
biblioteche sono considerate il fiore all’occhiello delle
amministrazioni locali.
Certo non facilita il nostro compito il fatto che un quotidiano con
ambizioni di qualità come La stampa abbia
tra i suoi editorialisti qualcuno che trova divertente scrivere:
<< in futuro la lettura sarà riservata a piccole minoranze, come
gli scacchisti o gli amanti dell’opera lirica >> (Fabrizio
Rondolino, Lettori ai margini, in ‘La stampa’ del 2 ottobre 1999).
In realtà, la lettura sarà sempre più condizione necessaria per la
fruizione dei diritti minimi di cittadinanza e pensare di farne a meno o
di riservarla a minuscole élite di privilegiati è semplicemente
assurdo. “Si può essere ricchi ma stupidi per una sola generazione”
ammoniva Romano Prodi nel 1992. L’attuale Presidente della Commissione
europea, intervenendo a un congresso dell’Associazione italiana
biblioteche, sottolineava che nel lungo periodo lo sviluppo economico e
produttivo di un Paese è garantito solo dalla presenza di un sistema
educativo avanzato, di cui ovviamente le biblioteche devono essere parte
integrante.
Negli Stati Uniti, malgrado la spesa per i servizi sociali sia stata
drasticamente ridotta negli ultimi 20 anni, le biblioteche hanno goduto
di finanziamenti crescenti, approvati per referendum da larghe
maggioranze di cittadini. Francia e Paesi scandinavi hanno continuato a
costruire biblioteche, sempre più grandi, più ricche, più attraenti.
Si è capito che l’investimento in cultura è l’unico che permetterà
di ottenere un vantaggio competitivo nelle relazioni tra economie sempre
più interdipendenti. Purtroppo l’Italia non ha mai avuto una
tradizione di public library sul modello anglosassone e si è
preoccupata soltanto delle sue biblioteche di conservazione. Questo ha
permesso di salvaguardare un patrimonio culturale prezioso ma ha avuto
effetti negativi nella promozione della lettura, di cui sostanzialmente
non ci si è mai occupati.
La biblioteca pubblica si caratterizza per il fatto di essere un
servizio per tutti (e non per i soli studiosi), di essere ad accesso
libero (quindi con orari prolungati, documenti a scaffale aperto,
servizi di prestito) e di fare una politica di promozione della lettura.
In questo senso essa è un servizio diversissimo dalle biblioteche di
conservazione il cui compito è invece salvaguardare un patrimonio
librario a memoria delle generazioni future.
Le biblioteche pubbliche sono parte di un sistema pensato innanzitutto
nei Paesi anglosassoni con l’obiettivo di favorire l’alfabetizzazione
di massa e l’esercizio dei diritti democratici da parte del cittadino.
Nessuna di queste due cose è stata considerata una priorità dai
governi che si sono succeduti a Roma dall’unità d’Italia a oggi. Le
iniziative in queste direzione sono state tutte di origine locale, opera
di bibliotecari competenti ed entusiasti che hanno rifiutato di
accettare l’idea delle biblioteche spesso chiuse, oppure semplicemente
mal organizzate, indifferenti, ostili nei confronti dei potenziali
utenti.
Purtroppo, le iniziative locali non possono supplire a uno sforzo
nazionale che finora è mancato: la biblioteca di pubblica lettura è
parte di un sistema che può dare risultati solo su lunghi periodi, come
la scuola. Non si può fare una politica a macchia di leopardo.
L’Italia è un Paese che ha una percentuale di diplomati e laureati
estremamente bassa per ragioni demografiche (chi è nato prima del 1950
quasi sempre ha interrotto gli studi dopo le elementari o le medie), ma
anche per le carenze di un sistema scolastico mai riformato con una
visione unitaria fino all’approvazione della recente legge sui cicli.
Non c’è da stupirsi, quindi, che decine di milioni di adulti, ma
anche di giovani, abbiano un rapporto di estraneità verso libri e
giornali.
2.
Biblioteca pubblica e capitale sociale.
L’investimento
sulle biblioteche di pubblica lettura è innanzitutto un investimento in
ciò che Robert Putman definisce “capitale sociale”, cioè quel
patrimonio di fiducia, di socialità, di valori condivisi che permette
un buon funzionamento della comunità. In Italia non si riflette
abbastanza su quanto le recenti trasformazioni nel modo di produrre e di
consumare mettano a dura prova il legame sociale. Il ritmo della vita,
l’incertezza del futuro ci disorientano, ci spingono a chiuderci in
noi stessi. I cambiamenti nella struttura fisica delle nostre città,
dove le piazze sono diventate parcheggi e i mercati all’aperto sono
stati sostituiti dai supermercati, hanno quasi eliminato i luoghi di
incontro tra persone che non si conoscono e tra generazioni diverse.
Oggi un bambino può arrivare all’età del voto senza avere mai visto
un anziano che non sia il nonno, un adulto estraneo all’ambiente
sociale dei genitori, un animale in carne e ossa che non sia il cane dei
vicini. L’automobile, l’insicurezza urbana, la televisione cospirano
per tenere tutti noi rinchiusi nello spazio delle mura domestiche, con
la TV e forse internet come fragili canali di comunicazione col mondo.
Le chat-line, purtroppo, non possono sostituire l’esperienza del
rapporto con persone in carne e ossa.
In futuro le biblioteche, assieme ai centri commerciali ed agli stadi,
saranno forse i soli luoghi di convivialità presenti sul territorio.
L’esperienza delle biblioteche anglosassoni ci dimostra che esse sono
preziose nel rafforzare i legami e gli scambi sociali. Negli Stati Uniti
la biblioteca è sempre un luogo a disposizione della comunità per le
attività più varie, dagli incontri degli alcolisti anonimi alle
riunioni dei consumatori. La biblioteca pubblica può e deve essere un
punto di ritrovo per i pensionati e un terreno di corteggiamento per i
giovani. L’apertura delle biblioteca a bambini molto piccoli crea una
nuova utenza: i loro genitori che scoprono il piacere di incontrare
persone con i loro stessi problemi, nuovi amici potenziali. La città
diventa meno disumana, più facile da vivere. Una politica per la
pubblica lettura non è spettacolare, è un’opera di largo respiro che
implica degli sforzi notevoli e di lunga durata. Non è sufficiente
creare delle biblioteche e aumentare le risorse per aumentare la
sensibilità per la lettura. E’ necessario creare luoghi gradevoli,
nei quali il pubblico abbia voglia di entrare, è necessaria
un’apertura del servizio ampia che permetta a tutti di accedere
facilmente alla lettura, alla consultazione sul posto o al prestito.
E’ necessario personale qualificato e fortemente motivato.
Ogni riflessione sull’organizzazione degli spazi e dei servizi deve
partire dall’analisi dei bisogni delle diverse tipologie di pubblico.
I nuovi utenti hanno comportamenti e ritmi diversi dai frequentatori
abituali; gli studiosi hanno bisogno di calma e silenzio e spesso
passano tutta la giornata sul posto, i pensionati preferiscono venire
solo per la lettura dei giornali, o per una consultazione veloce. Chi
cerca lavoro consulta Gazzette Ufficiali e bandi di concorso, le
casalinghe vengono quasi solo per il prestito. Uno studio dei
comportamenti ci permetterà di diversificare l’offerta, attirando
molti utenti di cui oggi la biblioteca non si cura, o che ignorano
l’utilità di questo servizio per loro. Il punto di partenza devono
naturalmente essere gli spazi: grandi, ben illuminati, ben arredati. In
spazi angusti e poco attraenti, nessuno proverà la tentazione di
venire. Le collezioni devono a loro volta essere riformate, aprendosi a
supporti diversi dal libro, investendo nella multimedialità,
rinnovandosi con frequenza. Infine: solo un personale competente,
attento e motivato, può creare in biblioteca un’atmosfera piacevole,
relazioni di fiducia con il pubblico che durano nel tempo. E’
necessario credere nella missione del servizio.
3.
Diritto alla lettura per bambini e ragazzi.
I
bambini hanno diritto ad avere biblioteche a loro disposizione. Il primo
obiettivo del Manifesto Unesco sulle biblioteche pubbliche del 1994
dice: “Creare e rafforzare nei ragazzi l’abitudine alla lettura fin
dalla tenera età”. Al punto 4 il Manifesto continua indicando come
compito prioritario “stimolare l’immaginazione e la creatività dei
ragazzi giovani”. Occorre inoltre “sostenere i programmi di
alfabetizzazione rivolte a tutte le fasce d’età”. A queste
indicazioni elaborate dall’organizzazione non ci si può sottrarre.
Abitudine alla lettura: gli studi degli ultimi anni hanno dimostrato che
esiste una correlazione forte tra l’ambiente del bambino nei primi
anni di vita e i suoi interessi e suoi risultati scolastici successivi.
Bambini abituati al libro fin da piccoli, seguiti e stimolati nei loro
tentativi di avvicinamento a questo oggetto misterioso, svilupperanno un
amore e una facilità per la lettura di cui i loro coetanei
“parcheggiati” davanti alla TV resteranno inevitabilmente privi.
Oggi, invece, pochissime biblioteche italiane hanno servizi per i bimbi
da 0 a 3 anni.
Non si può improvvisare: i lettori più piccoli vogliono i loro libri,
i loro spazi, sono utenti molto curiosi ed esigenti; hanno un’attività
intensissima: manipolano i libri, li prendono, li spostano, li aprono,
li sfogliano freneticamente, cercano le immagini, il loro significato,
si riconoscono nei personaggi. Vivono la lettura in modo totalizzante e
la vogliono condividere con tutti. Un’età così particolare richiede
spazi delimitati, materiali d’arredo adatti, pensati anche per una
presenza adulta, lo spazio deve dare un’idea di calma, ordine e
sicurezza e deve corrispondere ai bisogni del bambino, ma anche
dell’adulto che lo accompagna, quindi mobili bassi, gradini dove
arrampicarsi, dove trovare i libri, dove sedersi accanto alla mamma che
legge una storia. Per i bambini piccoli l’universo è quello che può
essere modellato dal loro corpo e una buona architettura è quella che
fa in modo che sia lo stesso ragazzo a creare lo spazio. Gli arredi
devono essere costituiti da elementi versatili, capaci di adattarsi ai
differenti modi di leggere.
Questo rapporto della biblioteca pubblica con i più piccoli è
particolarmente importante perché introduce un elemento di uguaglianza
tra le famiglie e combatte l’emarginazione sociale. Per i bambini che
provengono da famiglie a basso reddito la biblioteca è l’unico luogo
dove si può avviare un rapporto con il libro, con il giornale, con il
computer. L’accesso al capitale culturale della società rimane
l’unico modo per sottrarsi alla povertà di partenza.
Per quanto riguarda i bambini dopo i sei anni, in Italia non si è
riflettuto abbastanza al fatto che occorre descolarizzare i processi di
apprendimento; instillare l’abitudine alla buona lettura non è
compito unicamente della scuola, che anzi ha spesso un effetto negativo.
Un’indagine della sociologa francese Claude Poissenot ha dimostrato
che l’aumento del carico di lavoro scolastico è uno dei motivi
principali di abbandono della biblioteca da parte degli adolescenti.
Occorre pensare a un’organizzazione scolastica che lasci ai bambini e
ai ragazzi anche il tempo di sperimentare percorsi di apprendimento più
autonomi, sfruttando le biblioteche.
Questo sarà tanto più facile quanto la biblioteca lavorerà per
portare i proprio libri nei quartieri disagiati, nei parchi, negli
ospedali, ovunque si trovino potenziali giovani utenti. Non solo questo
non avviene, ma nelle nostre biblioteche non viene quasi mai concessa
una superficie sufficiente ai ragazzi; gli arredi e il patrimonio non
sono concepiti per loro e ancora troppo spesso li confiniamo in spazi
isolati, perché fanno rumore e disturbano gli adulti. Una politica
opposta è ciò di cui avremo bisogno. Come nelle nostre case i ragazzi
hanno ormai conquistato il diritto ad uno spazio tutto loro, e le camere
dei bambini sono sempre più grandi, anche nelle biblioteche dobbiamo
rivedere completamente l’organizzazione degli spazi perché la rigida
separazione tra adulti e ragazzi è un concetto del passato (in alcuni
settori come il reference o gli audiovisivi le barriere sono del tutto
ingiustificate oltre che antieconomiche). Il compito delle biblioteche
di pubblica lettura è dare spazio proprio a figure come il cattivo
lettore o l’adolescente riottoso, recuperandoli ad un rapporto con il
sapere che è loro mancato fin qui.
Gli adolescenti sono un grande problema per l’intera società e quindi
anche per le biblioteche. L’allungamento della scolarità, l’aumento
della disponibilità di denaro, la trasformazione delle famiglie hanno
prodotto un disagio che in Italia non è forse grave come in altri Paesi
ma che si fa sentire. Stentiamo a trovare perfino una definizione
precisa per l’adolescenza: oggi è una classe di età fluttuante, che
inizia verso i 12 anni e tende a non finire mai perché l’allungamento
della scolarità e la disoccupazione giovanile ritardano fin verso i
trent’anni l’ingresso nel mondo del lavoro. La famiglia come
sostegno economico e come luogo tollerante verso una gestione
relativamente libera della sessualità contribuisce a ritardare un
distacco che è condizione necessaria per l’ingresso nella vita
adulta. Gli adolescenti tendono a fuggire dalla biblioteca per vari
motivi: un rapporto debole con l’istituzione, l’aumento
dell’impegno scolastico, la scoperta dell’altro sesso. A queste
cause è difficile porre rimedio, ma le biblioteche possono invece fare
una politica per eliminare altri fattori di rigetto, come orari e
regolamenti troppo rigidi, materiali organizzati in modo vecchio,
tecnologie non soddisfacenti. Lo slogan “multimedialità” non
significa nulla se i ragazzi che vengono in biblioteca, spesso abituati
a materiali o strumenti di avanguardia, trovano delle anticaglie,
affidate per di più a un personale poco interessato. La capacità di
attirarli in biblioteca dipende inoltre dalla creazione di spazi non
ghettizzati, dove possano pescare materiali sia destinati agli adulti
che ai ragazzi e confrontarsi con tecnologie a loro già familiari.
Per concludere: la biblioteca pubblica sarà in futuro un ponte. Un
ponte tra età diverse, tra etnie diverse, tra culture diverse, tra
sistemi di apprendimento diversi. Un luogo non specialistico, facile da
utilizzare, amichevole verso il cittadino. Uno snodo di quel sistema
integrato in cui biblioteche, scuole, giornali, editoria, reti di
computer permetteranno ai cittadini di vivere meglio, di esercitare i
propri diritti democratici, e di ottenere le informazioni necessarie a
competere nell’economia globale. Occorre una politica che faccia dei
bambini l’obiettivo principale dello sforzo di trasmissione sociale
del sapere e che investa nelle biblioteche come strumento forte di
questo progetto.
da:
CITTADINI IN CRESCITA, Rivista del Centro Nazionale di
Documentazione ed Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza, Anno I /
n. 2-3, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2000. ( Rivista consultabile
on-line all’indirizzo http://www.minori.it
).