visitate e topografate le grotte di Sambughetto in valle Strona nel novarese, il buco della Bondaccia, sul monte Fenera in Valsesia, la grotta di Pugnetto in val di Lanzo, la già citata grotta delle Vene, l'arma del Grai e la grotta dell'Orso di Ponte di Nava in val Tanaro, la grotta di Bossea e quella del Caudano nel Monregalese
Testimonia del discreto interesse che le grotte suscitavano all'epoca, il numero di grotte attrezzate per le visite turistiche: la grotta dell'Orso di Ponte di Nava in val Tanaro, quella di Bossea, ancor oggi visitabile in val Corsaglia, quella del Caudano e quella dei Dossi nei dintorni di Mondovì, la grotta di Rio Martino in valle Po e quella di Pugnetto in val di Lanzo, indice evidente del fatto che le regioni ipogee avevano un interesse generale e non limitato ai pochi avventurosi esploratori.
All'epoca d'oro della speleologia pionieristica segue un periodo di totale disinteresse dei piemontesi, contrariamente a quanto invece avviene nel resto d'Italia, nei confronti degli ambienti ipogei. Le grotte vengono dimenticate e per svariati decenni e dobbiamo giungere fino agli anni che precedono la seconda guerra mondiale per avere dei nuovi impulsi. Tra le poche eccezioni un imperiese, un certo Giulio Natta, che nella prima metà degli anni venti si occupa di alcune grotte dell'alta val Tanaro, prima di dedicarsi ad altro e vincere il premio Nobel per la chimica nel 1963.
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L'ora della riscossa viene per merito di uno studioso del Consiglio Nazionale per le Ricerche, il prof. Carlo Felice Capello. Attivo tra la fine degli anni trenta e l'inizio degli anni cinquanta, Capello triplica in pochi anni il numero delle grotte conosciute in Piemonte
descrivendo e topografando decine di cavità. Il suo lavoro, poi raccolto nell'opera "Il fenomeno carsico in Piemonte" edita dal CNR, è fondamentale per i successivi studi speleologici. Di grande importanza per le future ricerche la scoperta della carsena di Piaggia Bella, sempre sul Marguareis, che, scoperta dal Capello, sarà esplorata nei decenni seguenti fino a diventare, secondo i dati attuali ancora provvisori, la grotta più estesa del Piemonte con i suoi 950 metri di profondità e i suoi 40 chilometri di sviluppo.
L'attività del Capello e i contatti con i gruppi francesi che contemporaneamente iniziano ad interessarsi alle aree carsiche prossime al nuovo confine, fanno da prologo alla formazione dei primi gruppi speleologici piemontesi organizzati cosicché nel corso degli anni cinquanta vengono fondati il Gruppo Speleologico Piemontese Cai Uget a Torino e il Gruppo Speleologico Alpi Marittime Cai a Cuneo, dando così avvio alla speleologia moderna in Piemonte.
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