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Carissime donne Wilpf, questo non è il report formale di un evento, ma il racconto di un incontro emozionante e bello, che scrivo riportando le mie impressioni personali.
Si tratta dell'incontro che un gruppo della Wilpf-Italia - Ambretta Rampelli, Patrizia Sterpetti, Antonia Sani, Mirella Converso ed io - ha avuto con Silvia Baraldini, domenica 17 giugno a Roma, in quella che era la casa della madre di Silvia, dove si trova da circa due mesi, in stato di detenzione domiciliare.
Era un momento che aspettavamo con ansia, che abbiamo rinviato per varie ragioni. e forse è stata l'ansia a procurarci uno stupido incidente che ha rischiato di guastarlo: per la nostra imprudenza, mentre salivamo al piano dove ci aspettava Silvia, siamo rimaste per una buona mezz'ora chiuse nell'ascensore finché non sono arrivati i vigili del fuoco, dopo qualche tentativo inutile di trovare soccorso nel palazzo che pareva deserto, nel pomeriggio caldo dello scudetto, mentre mezza Roma era allo stadio e l'altra metà incollata ai televisori!
Ma è andata. E' stata un bella chiacchierata di oltre due ore, densa, amichevole. Abbiamo superato quella sorta di disparità iniziale che avvertivamo, credo, da ambedue le parti: ci vedevamo per la prima volta "dal vero", ma, mentre noi avevamo l'impressione di conoscerla da sempre
Silvia nell'aspetto sta bene. I capelli sono ormai bianchi, ma il corpo è energico e gli occhi azzurri hanno le luminosità magnetiche che immaginavamo.
Nel salottino semplice dove ci accoglie, si siede di fronte a noi scrutandoci con discrezione, mentre parla, parla. Dalla finestra aperta ogni tanto arrivano gli urli dei tifosi che seguono alla Tv la partita decisiva. Lei stessa ha l'orecchio teso - ammette di essere tifosa della Roma.
Sulla consolle, la foto della sorella Marina, morta tragicamente nell'89 nel cielo d'Africa, per un attentato terroristico all'aereo su cui viaggiava in missione diplomatica ("E' stata ammazzata" - dice Silvia con durezza).
Ci parla con franchezza di ogni cosa: la sua posizione giuridica, la salute, le sue giornate fuori del carcere nella nuova condizione di detenzione domiciliare, le sue aspettative...
Risponde a tutte le nostre domande curiose con la prontezza decisa di chi è abituata a rispondere a domande che si aspetta, in quel suo italiano fluente dalla curiosa inflessione non identificabile, propria di chi riprende dopo molto tempo dimestichezza con la lingua madre, e qua e là cosparso disseminato di termini desueti.
Ci racconta di essere rimasta colpita dalla "magnitudine" della sua popolarità. La gente per strada la riconosce, la chiama, la saluta, le rivolge parole di simpatia. Oppure - qualche rara volta, ma è significativo che accada anche questo - qualche parola cattiva, del tipo: "Tornatene a Rebibbia, là devi stare".
Silvia sta conducendo con una dignità senza lamenti la sua battaglia contro la malattia. Sta per completare il ciclo di terapia curativa per due linfonodi al seno: ci racconta fin nei dettagli come si è accorta di averli, i ritardi subiti nelle cure, la sua battaglia per ottenere la detenzione domiciliare per potersi curare e soprattutto per potere stare con la madre gravemente ammalata.
Il suo vero tormento è non aver potuto rivedere la madre viva, il dispositivo del Tribunale di sorveglianza è arrrivato una settimana dopo. Lo ripete più volte con le lacrime agli occhi. Forse una cattiveria insensata, forse l'assurda burocrazia.
La sua preoccupazione è di dover tornare in carcere una volta terminata la terapia. C'è questo rischio concreto, ora che la madre non c'è più. Una crudeltà possibile da parte del Tribunale di sorveglianza, che i legali che l'assistono dovrebbero scongiurare.
La libertà? E' una parola impronunciabile per ora. Il suo desiderio espresso è di migliorare le condizioni detentive. Attualmente le è consentito di uscire di casa dalle otto del mattino alle quattordici. Tempo che impiega per girare per Roma, fare footing, incontrare amici. Ma non può bastarle.
Vorrebbe trovare un lavoro che, da una parte, le consenta di prolungare la giornata fuori di casa, dall'altra le dia l'indipendenza economica di cui sente la mancanza. Si prospetta forse la possibilità di un lavoro redazionale in una rivista (che ovviamente non cito) e si vede che questo la carica di aspettativa.
Non le manca di che vivere (l'abbiamo pregata di esser franca con noi, in proposito), ma le pesa la dipendenza e comunque vorrebbe costruirsi un'attività stabile per il futuro. Ha sempre lavorato, ci dice Silvia, anche in carcere. Negli Usa lavorava in biblioteca, studiava e teneva corsi di letteratura per le detenute (se c'è una differenza che in qualche modo rimpiange del carcere americano rispetto a quello italiano, è proprio questa).
E' stato un colloquio felice, speriamo il primo. Silvia ci ha chiesto di non pubblicizzarlo con articoli nè comunicati sui giornali: ha scelto di non rilasciare interviste e di spegnere per il momento i riflettori che tanto a lungo sono rimasti accesi (per fortuna, per tanti versi) su di sé.
Un'insofferenza comprensibile. Abbiamo rispettato volentieri questa condizione. Questo racconto e le uniche due foto che lo corredano non credo che violino la consegna.
Abbiamo portato in dono a Silvia tre libri: il volume di poesie "Inventario delle cose certe" di Joyce Lussu (un'altra donna italiana di straordinaria forza e amica della Wilpf, recentemente scomparsa); "La vita è infinita", ricordo a più voci della stessa Joyce Lussu (ambedue di A.Livi editore); e poi "Le figlie di Teuta", immagini di Caterina Gerardi dall'Albania (Besa editrice).
Abbiamo infine consegnato a Silvia una piccola documentazione (simbolica) di articoli, volantini e materiali vari che testimoniano l'impegno della Wilpf Italia dall'89 ad oggi per il suo rimpatrio. Alcune cose Silvia le aveva già, come ad esempio il libro-dossier "Una donna senza confini", pubblicato nel maggio 1993, in occasione della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani (Vienna, 14-25 giugno) in cui fu presentato. Contiene anche un'utilissima parte documentale relativa al conferimento a Silvia della membership onoraria della Wilpf, il 12 dicembre 1990, e ad altre azioni significative che senz'altro hanno contribuito ad appassionare migliaia di persone al "caso Baraldini", nel mondo.
Silvia sta raccogliendo tutta la documentazione possibile sulle attività in suo sostegno. Ci siamo lasciate con l'impegno che l'aiuteremo a completare la nostra parte. Ciao Silvia, auguri e arrivederci presto, finalmente libera fra noi.
ADA DONNO
Lecce, 21 giugno 2001
Nelle immagini: Silvia Baraldini durante l'incontro, regge la cartapesta dei "Messapi" di Lecce, dono della Wilpf Italia.