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(BESA editrice)
Anna Rita Merico: scheda di lettura utilizzata per l’ incontro. Lo stereotipo della strega malefica e satanica si sviluppa intorno all’idea dell’esistenza di un legame privilegiato tra la donna e le potenze occulte. Come stereotipo nasce intorno al 1400 ed è generato dalla crisi che attraversa la cristianità alla fine del XIV sec. e che si approfondisce con la rottura dell’ unità religiosa nel XVI sec. Questa crisi determina una degradazione dell’immagine sociale della donna mentre, nel XVIII e soprattutto nel XIX sec., avviene il passaggio da questo stereotipo del femminile a quello dell’isterica: quando la donna era una strega, il rogo o il carcere manifestavano la sua piena responsabilità penale, con l’isteria la donna diventa vittima della sua immaginazione con una responsabilità personale limitata. Attraverso la stregoneria ci viene offerto un sistema di rappresentazioni del mondo e dei rapporti tra genere umano e forze sovrannaturali. Per quanto riguarda l’origine del mito demoniaco due sono le tesi storicamente accreditate:
C’è, comunque da sottolineare che tra il XIV ed il XV sec. avviene una rivoluzione mentale che dà luogo ad un sistema di rappresentazioni del mondo destinato a durare circa tre secoli: l’occidente si convince del fatto che esistono uomini e donne dotati di poteri malefici utilizzati per nuocere agli uomini e a Dio al fine di instaurare la religione del Diavolo (sono loro ad essere responsabili di calamità naturali, epidemie, cattivi raccolti, epidemie, impotenza, morte di bambini). Si riuniscono in assemblee notturne (sabba) che si concludono con banchetti... tutto ciò contribuisce a rendere il mito demoniaco un’eresia tesa a sovvertire la religione cristiana. Nel 1486 viene pubblicato a Strasburgo il Malleus Maleficarum in cui si stabilisce un legame diretto tra l’eresia della stregoneria e la donna. In esso viene costruita una forte separazione tra le streghe aggressive e gli uomini minacciati nella loro capacità riproduttiva. La stregoneria fu la manifestazione della miseria del tempo e la sua repressione fu proporzionale alle calamità naturali che oppressero le popolazioni: l’epidemia, il cattivo raccolto, la morte inspiegabile potevano essere più facilmente "risolte" con la presenza di un capo espiatorio, dei colpevoli. Se la donna ha il potere di guarire con mezzi simbolici o tramite l’uso di piante, perché non pensare che ella sia capace di nuocere con procedimenti simili? La pratica giudiziaria procederà su questa linea: il rapporto tra levatrici e guaritrici accusate di stregoneria è alto. PIU’ QUESTE DONNE SONO ANZIANE, PIU’ LA LORO ESPERIENZA E’ GRANDE E PIU’ IL SOSPETTO AUMENTA. Nel XV sec. e nei primi anni del XVI sec. la geografia della stregoneria ricalca quella dell’eresia. Gli inquisitori si inserivano in un processo intellettuale la cui origine risale agli inizi del XV sec. Nel secolo precedente, grazie agli ordini mendicanti, la donna aveva rivendicato la sua autonomia e la sua libertà di espressione all’interno della chiesa. Lo scisma d’occidente aveva permesso l’emergere di un movimento profetico femminile percepito sotto l’aspetto sovversivo (Caterina da Siena, Brigitta di Svezia), ed è un dato che non si conobbe caccia alle streghe laddove l’eresia fu eliminata rapidamente o non prese piede come in alcune zone del sud Europa. Era stato Federico II ad aver introdotto nel 1224 il rogo come pena per combattere l’eresia mentre la Chiesa aveva utilizzato sino ad allora, come sola arma spirituale, quella della scomunica. Il fenomeno fu risultato di una repressione che unì cattolici e protestanti. STREGATURA: studio della pratica magica dal XVII al XVIII sec., attraverso i documenti è possibile la comprensione di atteggiamenti morali e religiosi del Salento, le modificazioni intervenute sul fenomeno che collega il basso della collettività con il suo corrispettivo gerarchico superiore. La comprensione della dimensione magica in terra d’Otranto passa attraverso la lente dell’opera riformistica del cattolicesimo che ha soffocato antiche forme di paganesimo. I documenti processuali conservati nell’archivio vescovile di Oria danno una visione del modo di vivere e pensare della società del tempo, dai documenti emerge un microcosmo di dolore e di miseria interiore, l’ universo dei poveri avverte la precarietà come unico sistema di connessione, la lettura del mondo parte da livelli depressi di sussistenza. La strega è l’emigrazione nel luogo del desiderio, parte da un allontanamento dal quotidiano ne nascono sabba senza fauni e tirsi. Si mantiene la separazione tra magia dotta (maschile) e magia popolare (di dominio femminile) mentre l’universo delle denunce si presenta come un luogo perverso dello scambio e dell’annientamento dell’altro/a, in questi spazi viene vissuto lo spazio dell’immaginazione e dell’invenzione di sé. Prima della "caccia alle streghe" la donna che conosceva le virtù delle erbe era un punto di riferimento all’interno della collettività e le si riconosceva uno specifico peso sociale nei momenti di pericolo per la comunità. Partecipando dei segreti degli organismi viventi, riusciva a combinare le varie proprietà per affinità e ad interpretare i loro messaggi, decodificando un alfabeto noto a pochi e trasmesso oralmente. Durante l’incontro è stato toccato il tema delle tarantate ed è stato evidenziato come vi sia un "meccanismo" leggibile in entrambi i momenti di vita di queste donne accomunate anche da profonda poverta’ e durezza estrema delle condizioni di vita. Il filo di entrambe queste esperienze estreme è nel fatto che queste donne attivavano un rituale di "uscita" dalla comunita’ di appartenenza e poi vi "rientravano" attraverso un ri-avvicinamento altrettanto rituale e controllato dal gruppo sociale cui esse erano legate. Un "uscire" ed un "rientrare" che aveva a che fare con momenti limite della costruzione della loro identità e dei loro processi di accettazione di realtà esistenziali dure. A tal proposito, nella conversazione è stato sottolineato quanto la metafora del viaggio possa servire per leggere questi "allontanamenti" e questi "ritorni" ritmati da momenti di ritualità. Durante lo scorso incontro era stata sottolineata la dimensione del viaggio come luogo di costruzione delle appartenenze rispetto a spazi (la terra cui si torna) e tempi (i tempi dell’infanzia, i tempi delle narrazione) questa volta, si sottolinea la dimensione del viaggio nel "non-luogo" e nel "non-tempo" (il sabba, i luoghi dei desideri da soddisfare)... questa riflessione ha consentito di sottolineare le molte possibilità di elaborazione di strategie interiori per costruire, definire, sostenere il proprio processo di identificazione a partire da forti meccanismi di controllo sociale.
(BESA editrice)
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