[o] prima pagina > iniziative > conferenze > 9 | news | [<] [>]

AWMR Italia - Associazione Donne della Regione Mediterranea
AWMR - 9a Conferenza Internazionale
L'infanzia nel Mediterraneo
Cipro - Limassol 12-16 luglio 2000
Comunicato Documento


Mirella Converso, Marina Visciòla, Lorelay Verusio, Ada Donno
Ninetta Pourou-Kazantzis, Yana Mintoff Bland, Maroulla Vassiliou

Comunicato [v] [/\] [o]

La nona conferenza annuale dell'AWMR-ASSOCIAZIONE DONNE DELLA REGIONE MEDITERRANEA si è tenuta a Limassol (Cipro) dal 12 al 16 luglio 2000 sul tema "L'infanzia nel Mediterraneo".
Nella conferenza è stata esaminata la realtà relativa alla situazione dei/delle bambini/bambine nei paesi mediterranei, per verificare se i loro diritti sono effettivamente rispettati.

Dieci anni sono trascorsi da quando è stata adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite la Convenzione sui Diritti dell'Infanzia ( 20 novembre 1989) successivamente ratificata da quasi tutti i paesi del mondo.
"E' stata in sé una rivoluzione considerare i bambini come soggetti e non come oggetti di diritti - ha detto la presidente dell'AWMR Yana Mintoff Bland nel suo discorso di apertura della Conferenza, nella sede della Municipalità di Limassol - è stata una rivoluzione da parte di quasi tutti i paesi del mondo avere ratificato la Convenzione; è stata una rivoluzione considerare i bambini uguali agli adulti in ogni aspetto della vita".

Ma - e questo è stato l'oggetto principale dell'analisi e riflessione di gran parte delle partecipanti - questa rivoluzione di principi trova riscontro nella realtà dei paesi del Mediterraneo? E, se no,
quanta strada resta da fare per la piena applicazione dei diritti dei/delle bambini/bambine,
quanto ancora resta da fare per cambiare le politiche, le legislazioni, le attitudini e le pratiche di vita quotidiana per farne valere i diritti?
A queste domande hanno cercato di dare risposte quanto più possibile concrete donne operanti in diverse associazioni, Ong, organizzazioni sindacali, istituzioni di Albania, Algeria, Bosnia, Croazia, Cipro, Egitto, Greece, Israele, Italia, Iugoslavia, Libano, Macedonia, Malta, Marocco, Palestine, Spagna, Tunisia.
Esse si sono anche misurate con i temi generali della politica nei loro rispettivi paesi e nell'area mediterranea, che in ogni caso coinvolgono e determinano la condizione dei bambini e delle bambine, cercando di formulare ed impegnandosi ad avviare azioni comuni in direzione della piena applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell'Infanzia.

Le partecipanti italiane (Mirella Converso e Lorelej Verusio di Roma, Ada Donno e Marina Visciòla di Lecce), sia nella relazione presentata da Marina in sessione plenaria che negli interventi nei vari workshops in cui si è articolata la conferenza, hanno focalizzato, fra l'altro, i temi della condizione dell'infanzia immigrata e rifugiata nel nostro paese, sottolineando l'importanza di una legislazione che applichi all'infanzia il principio della cittadinanza globale, perché siano assicurati pari diritti ed opportunità a tutti i/le bambini/e che vivono in Italia, senza distinzione di nazionalità ed etnia; ma nello stesso tempo è stata richiamata con forza la necessità di rendere effettivo nel sistema educativo italiano il principio dell'interculturalità, perché siano salvaguardate le differenze culturali, etniche e di genere.

Una sessione dei lavori della conferenza è stata dedicata, infine, al tema della Marcia Mondiale delle Donne 2000 contro la povertà e la violenza, alla cui preparazione l'AWMR partecipa attivamente, sia a livello internazionale che nelle singole realtà nazionali.

Documento [/\] [o]

Il testo della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia raccoglie in 54 articoli tutti i diritti che vengono garantiti ad ogni essere umano da zero a diciotto anni.
In essa si possono riconoscere tre gruppi di diritti: i diritti di base (salute, alimentazione, benessere fisico e psichico), i diritti culturali (uguaglianza di opportunità, istruzione, pace, informazione, gioco e libertà d'espressione) e i diritti di tutela (contro la violenza, lo sfruttamento del lavoro, ecc.).
Abbiamo scelto di focalizzare l'attenzione su due problematiche legate alla condizione dei bambini e delle bambine in Italia: il lavoro minorile e la condizione dei minori immigrati e rifugiati, con particolare riferimento ai problemi dell'inserimento scolastico e socioculturale.

LAVORO MINORILE

L'attenzione del governo e delle parti sociali, in Italia, al problema del lavoro minorile è molto recente, non perché si tratti di una piaga della nostra vita sociale che appartiene solo ad una storia degli ultimissimi anni, ma in quanto problema che oggi è emerso con più urgenza, inscritto in altre grosse problematiche che coinvolgono l'età dell'infanzia e dell'adolescenza e che sono diventate emergenze: il basso tasso di scolarizzazione e successo scolastico, indice di abbandono precoce del mondo della scuola e conseguente canalizzazione dei giovani verso altre forme di inserimento sociale come il lavoro nero e la microcriminalità - non a caso infatti le rilevazioni su questi due problemi si intrecciano con i dati dell'abbandono scolastico -, una crescente povertà sia materiale che culturale, l'intensificazione dei flussi di immigrazione. Il 16 aprile 1998 viene firmata la CARTA D'IMPEGNI del Governo italiano e delle Parti Sociali per promuovere i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza ed eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile.

Cosa è stato fatto:

  1. Sono stati avviati accordi fra Sindacati, ARAN (agenzia governativa di contrattazione) e imprese private, per contrastare le varie forme di lavoro minorile;

  2. Sono state elaborate le Linee Guida della Cooperazione Italiana sull'Infanzia e l'Adolescenza, destinate ad orientare la programmazione degli interventi 1999 - 2001;

  3. E' stato affermato l'appoggio italiano per l'eliminazione delle forme più intollerabili di sfruttamento minorile in sede di Conferenza Internazionale OIL, 86.ma sessione. Il governo italiano si è impegnato a sostenere progetti OIL e UNICEF ed ha individuato nell'Albania e India i due paesi prioritari di intervento;

  4. Il Ministero della Solidarietà Sociale ha promosso diversi provvedimenti a sostegno di famiglie giovani, monoparentali e povere e di controllo delle forme di violenza nelle mura domestiche;

  5. Il Governo italiano, nella sua rappresentanza dei Ministeri degli affari esteri, Commercio con l'Estero, Lavoro, Industria Commercio e Artigianato, Interno, Pubblica Istruzione, ha valorizzato la CARTA D'IMPEGNI nelle varie sedi nazionali e internazionali, per attuare politiche e azioni di controllo e forme di intervento sul campo.
Non si dispone di dati quantitativi sul lavoro minorile, fondamentalmente a causa delle difficoltà di accesso a dati ufficiali per la natura stessa sommersa e illegale di questa forma di sfruttamento. Qualche numero lo si può ottenere incrociando i dati relativi all'abbandono scolastico e agli infortuni sul lavoro, riferiti ai minori di 14 anni (14 anni è l'età minima fissata dalla legislazione italiana per l'ammissione al lavoro). Dati che tuttavia vanno letti in una loro parzialità, in quanto i dati ufficiali sugli infortuni forniti dall'INAIL si riferiscono solo a quei casi per i quali il datore di lavoro non ha potuto fare a meno di denunciare l'incidente; inoltre risulta che oggi molto spesso i minori che lavorano decidono di non abbandonare la scuola.

L'ipotesi di rilevazione basata su questi doppi dati dà i seguenti esiti: sulla base degli infortuni sul lavoro sono circa 50.000 i minori che lavorano in situazioni illegali, mentre in base ai dati sulla dispersione scolastica i dispersi si stimano essere tra le 30 e 50.000 unità. Questi dati, e quanto verrà di seguito detto, emergono da una ricerca condotta dalla CGIL Nazionale, in collaborazione con l'Associazione dei ragazzi "L'Aquilone", sulla condizione minorile.

La ricerca si basa su dati qualitativi e si riferisce ai minori di età compresa fra i 6 e 14 anni. Scopo della ricerca era di fornire una visione d'insieme e un quadro di riferimento sul fenomeno lavoro minorile. Questo tipo di indagine parte dall'individuazione delle variabili socio-culturali alla base dello sviluppo del fenomeno.

Come primo aspetto emerge un elemento di continuità fra la società passata e quella attuale rappresentato dal permanere di una cultura del lavoro come valore sociale positivo: è considerato un fattore di formazione, crescita e disciplina, è un modo per la famiglia di controllare il tempo del minore, è uno strumento di recupero e re-integrazione. Oggi il ruolo di socializzazione primaria svolto dalla famiglia si è notevolmente ridimensionato, questa perdita di ruolo è avvenuta in assenza di luoghi alternativi di socializzazione e formazione per i minori. Prevale ancora una cultura del mono-lavoro-valore, a discapito di un approccio educativo che considera il tempo libero dei minori un momento di costruzione socio-psicologica.

E' evidente che in questo contesto l'istituzione scolastica riveste un ruolo di importanza primaria, sia come luogo di formazione e integrazione, sia per il modello culturale che offre. Infatti dalla maggior parte degli studi condotti sull'argomento è emersa l'esistenza di un nesso molto stretto fra il fenomeno in oggetto e il modello culturale offerto dalla scuola.
Non esistono dati certi sui settori di lavoro in cui vengono inseriti illegalmente i minori. Nel passato recente i minori venivano impiegati nelle imprese tessili, delle confezioni e dei generi alimentari. Il settore di maggiore utilizzo della manodopera infantile era però quello agricolo, ambito di sfruttamento pesante, a salari miseri. Oggi la meccanizzazione e la maggiore richiesta di personale qualificato ha messo un freno a questa forma di sfruttamento. Una realtà dei nostri giorni fa emergere che spesso il minore che entra nel mondo del lavoro lo fa senza abbandonare la scuola.

In contesti sociali culturalmente ed economicamente depressi emerge il fenomeno della devianza sociale percepita come "lavoro". La devianza diventa strumentale al soddisfacimento dei bisogni. Le azioni illegali assumono, agli occhi dei minori, la connotazione di un vero e proprio status. L'individuo definisce se stesso e la propria identità sociale sulla base dell'appartenenza al gruppo, il problema che emerge da questo collegamento fra mondo minorile, devianza e mondo del lavoro è che sono ancora tanti i minori che, in assenza di modelli culturali e sociali "sani", trovano riconoscimento e appartenenza all'interno di gruppi deviati o che comunque vivono in un equilibrio età-necessità alterato.

Oltre a interventi normativi a sostegno di situazioni di emergenza ed emarginazione sociali, è stata percepita come sempre più urgente la necessità di aiutare i minori a crescere, creando luoghi in cui si sentissero accolti e dove potessero trovare modelli culturali che servissero da guida. In questo direzione il Ministero della Pubblica Istruzione ha attuato, anche se con estremo ritardo sia rispetto all'emergenza e urgenza del fenomeno che rispetto al contesto europeo, leggi di riforma del sistema scolastico, innanzitutto con l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 15 anni (Legge 9/99) - diventeranno 16 con la completa attuazione della riforma - e, molto importante, con l'obbligo di indirizzare e monitorare, in caso di uscita dal sistema scolastico, verso la formazione professionale o l'apprendistato (Legge 144/99).

I MINORI IMMIGRATI E RIFUGIATI IN ITALIA

L'Italia è da alcuni decenni un paese geograficamente e geopoliticamente molto esposto all'ingresso di stranieri provenienti da paesi molto più poveri e da zone di conflitto; il fenomeno è quindi tendenzialmente crescente. Di fronte al forte incremento del fenomeno immigratorio, l'Italia si è trovata impreparata. Negli ultimi anni il flusso migratorio ha assunto proporzioni nuove e inattese. Nel 1998 l'Italia era già il secondo paese di accoglienza di nuovi immigrati, dopo la Germania.

La mancanza quasi assoluta di informazioni in presenza di statistiche disaggregate, oltre all'assenza di una rete di rapporti qualificati sul territorio nazionale, rende difficile una completa e veritiera conoscenza del fenomeno dell'immigrazione minorile, tuttavia si avverte l'entità crescente dell'impatto sociale del fenomeno, che rende urgente un'opera di sensibilizzazione.

Solo recentemente l'Italia ha mostrato disponibilità ad assumersi, pur non senza contraddizioni, la responsabilità di essere un paese di asilo, adottando una normativa necessaria e mettendo a disposizione adeguate risorse e strutture per assicurare l'effettivo rispetto dei diritti umani e civili di immigrati e rifugiati. Ciò, pur non essendo di per sé sufficiente, non è da sottovalutare, soprattutto se consideriamo il complesso del contesto europeo. Dobbiamo tenere conto infatti che:

  • nei confronti di immigrati e rifugiati, in quest'ultimo decennio, in tutta Europa c'è stata piuttosto una tendenza alla restrizione, all'esclusione, ci siamo trovati di fronte a fenomeni crescenti di xenofobia e di razzismo;

  • nelle recenti elezioni in paesi vicini, una destra apertamente xenofoba ha ottenuto un notevole successo;

  • anche in Italia esiste una opinione reazionaria diffusa che parla di "tolleranza zero" verso stranieri migranti e rifugiati, i quali vengono definiti indifferentemente "clandestini", anche quando si tratta di rifugiati del Kosovo o del Kurdistan.
Nell'ambito delle politiche di accoglienza dei migranti, una specifica assistenza è richiesta per minori (accompagnati e non) richiedenti asilo: nel corso degli ultimi anni si è infatti riscontrato un aumento di presenze di minori (con l'intero nucleo familiare o soli) fra i rifugiati e ciò richiede un'attenzione specifica alla tutela dei minori. I minori che arrivano in Italia spesso rimangono a lungo privi di uno status legale e di una specifica assistenza, poiché i tempi lunghi richiesti per l'adozione delle opportune misure di tutela ne riducono l'effettività.

I disagi dei minori immigrati in Italia provengono per lo più dalle condizioni economiche dei genitori, dal difficile accesso ai servizi sociali, dalle difficoltà di inserimento scolastico. Da una ricerca avviata dal Censis nel 1998 (dati Censis su "Il Mondo Domani", UNICEF gennaio 2000) in sette paesi europei: Italia, Gran Bretagna, Francia, Svezia, Belgio, Grecia, ?, risulta che:

  1. Non esiste nella maggior parte dei paesi (e in Italia in particolare) un reale monitoraggio dei minori immigrati e stranieri, rispetto a condizioni economico-familiari, rendimento e abbandono scolastico e sanità. In Italia non c'è una precisa cognizione del numero. Stime parlano di 180mila minori stranieri e 40mila di origine immigrata con cittadinanza.

  2. In Italia esiste una difficoltà di naturalizzazione (bisogna essere residenti da almeno 10 anni e il 70% delle mille domande di naturalizzazione vengono respinte), sì che "minori di origine immigrata" equivale a "minori stranieri".

  3. I tassi di nascita e mortalità natale dei bambini stranieri con percentuali maggiori di prematuri e morti fa rilevare le difficoltà di accesso ai servizi sanitari, difficoltà spesso culturali, delle donne straniere. Esistono problemi legati non solo a difficoltà linguistiche, ma anche alla mancata preparazione dello staff ospedaliero rispetto alle differenti esigenze culturali e religiose.

  4. Accesso all'istruzione.
    Riguardo all'accesso all'istruzione, il 1° rapporto su integrazione degli immigrati in Italia (30/11/99) della Commissione per le politiche d'integrazione degli immigrati (Dip. Affari Sociali) rivela che la presenza di studenti stranieri nelle scuole italiane era nell'anno scolastico 98/99 di 85.522 e nell'a. s. 99/00 già superava le 100mila unità. La maggior parte inseriti nelle scuole elementari. Esiste un forte ritardo scolastico nell'inserimento dei ragazzi/e stranieri nel percorso educativo. Il divario di età è dovuto anche al fatto che gli studenti stranieri vengono inseriti in classi inferiori rispetto all'età e carriera scolastica a causa della poca padronanza dell'italiano. Non vengono attivati percorsi personalizzati, che comprendano corsi di lingua e cultura italiana. Ne deriva che le percentuali di ripetenza sono maggiori fra gli studenti non italiani (scuola elementare: 97,68% i promossi italiani, 94,31% i promossi stranieri). Nelle scuole superiori il divario aumenta di circa l'8%.

    Non è sufficiente garantire l'accesso, è fondamentale una politica che garantisca effettiva partecipazione alla vita scolastica e successo scolastico. Esiste uno iato fra una legislazione innovativa, aperta, che considera la presenza di studenti stranieri una ricchezza, ed una ricaduta effettiva scoordinata, incerta, occasionale. Anche i libri di testo sono spesso troppo eurocentrici e discriminanti, pieni di stereotipi. La scuola è il luogo che più deve aprire nella direzione dell'integrazione scolastica e sociale.

    L'educazione interculturale è ormai una realtà da affrontare, opponendo all'intolleranza e alla paura del diverso la ricerca di una coesistenza nella diversità in una realtà sociale multiculturale, come l'Italia sta diventando. Occorre insistere sull'educazione interculturale, in applicazione dell'art.2 della Convenzione sul diritto all'uguaglianza e alle pari opportunità, interpretato come diritto alla differenza, prendendo in considerazione il valore di tutte le differenze, sessuali, etniche e territoriali con le quali bambine e bambini, ragazze e ragazzi si trovano a misurarsi nel loro processo di crescita.

    Azioni:

    • Attivare corsi formativi individualizzati (lingua italiana)
    • Tutelare identità ed esigenze di culture differenti
    • Formare personale scolastico adeguato
    • Rinnovare il sistema scolastico con scelte multiculturali (libri di testo)

  5. La criminalità è una realtà a rischio fra adolescenti stranieri. Il numero di arresti di adolescenti stranieri è doppio rispetto ai coetanei italiani. Circa 5mila l'anno. La provenienza è in maggior numero dalla ex Jugoslavia (circa due denunciati su tre); il resto prevalentemente marocchini e albanesi. Le ragazze sono il 60% dei minori jugoslavi, ciò è dovuto al fatto che molti immigrati della ex Jugoslavia sono Rom che vivono situazioni di maggiore precarietà sociale. La maggior parte di adolescenti denunciati sono non accompagnati, privi di nucleo familiare in Italia e la delinquenza diventa l'unica fonte di sopravvivenza.
Esiste un progetto che prevede la messa a punto entro il 2000 di una banca dati sulla condizione dei minori di origine immigrata e sulla valutazione di iniziative volte a favorire il benessere. L'esperienza in altri paesi indica che la qualità di accoglienza dipende più dall'eliminazione di resistenze - spesso razziste - e dall'accesso a pari opportunità. Esistono siti messi a punto da commissioni e dipartimenti parlamentari italiani che, oltre a fornire informazioni su normative e rilevamenti, danno spazi per segnalare casi e condizioni. Il punto è che sono poco conosciuti e divulgati. Manca ancora, al di fuori dei luoghi deputati, una politica di sensibilizzazione ampia: quasi sempre questa per iniziativa di singoli, fatta qualche eccezione nella scuola, dove opera l'Unicef.

In conclusione, fermarsi a considerare che in Italia ai bambini immigrati e rifugiati sono garantiti i diritti di base non basta. Occorre verificare che tali diritti siano effettivamente assicurati e occorre ricercare nuove sfide e nuovi traguardi da raggiungere. Occorre infine un'azione di sensibilizzazione sui valori della solidarietà con i bambini e ragazzi, che in altre parti del mondo affrontano problemi di sopravvivenza, per i quali è problema non solo l'accesso a strutture sanitarie di base o all'istruzione elementare, ma perfino avere cibo e acqua potabile.

Ada Donno
Marina Visciòla

[o] [/\] [<] [>]