Uno
sguardo alla Riforma
dal
punto di vista storico
Il
movimento di contestazione alla Chiesa di Roma sorse intorno alla fine
dell’Undicesimo secolo, in un momento storico particolarmente significativo per
il nostro continente. Intorno all’anno Mille l’Europa conobbe una importante
ripresa economica e demografica che favorì la formazione delle città e la
ripresa degli scambi umani e
commerciali. Dal punto di vista politico invece la situazione si presentava
difficile. Le invasioni dei popoli del Nord erano cessate, tuttavia
l’incertezza e l’instabilità regnavano ovunque. Il feudalesimo aveva portato
alla disgregazione dello stato, delle istituzioni pubbliche, della certezza del
diritto. Nei tempi passati la Chiesa aveva garantito un certo ordine, ma il
progressivo diffondersi della corruzione, la contesa sul piano politico, con la
cosiddetta “lotta delle investiture”, il sorgere di numerosi antipapi,
emanazione di poteri diversi, avevano duramente minato la solidità
dell’istituzione.
Il
movimento di protesta contro la situazione politica e religiosa assunse aspetti
diversi: si ebbero movimenti intellettuali e popolari, alcuni rigorosi e
moralisti, altri invocanti un maggiore rispetto dell’essere umano, ma tutti profondamente contrari alla
corruzione e alla arbitrarietà di una Chiesa chiusa nella difesa dei propri
privilegi, che per i suoi fini non disdegnava di alterare gli insegnamenti del
Vangelo. Si ebbero movimenti di riforma all’interno del monachesimo, ordini
mendicanti, movimenti popolari locali di diverso tipo. Nel 1100 sorse in
Francia, a Citeaux, il cosiddetto movimento benedettino cistercense; esso
predicava non solo il ritorno a una chiesa povera e più austera, ma anche la
rivalutazione del lavoro e dell’economia, che poi divenne una caratteristica di
alcuni movimenti protestanti dei secoli successivi. Molti territori abbandonati
vennero colonizzati e bonificati dai nuovi benedettini, utilizzando uomini
liberi, anziché servi della gleba come avveniva in gran parte dell’Europa.
Quasi contemporaneamente sorsero nel sud della Francia, quelli che possono essere
considerati i due maggiori movimenti di rivolta religiosa a carattere popolare,
i Catari (conosciuti anche come Albigesi) e i Valdesi. I primi furono i
difensori del più rigido manicheismo: tutta la realtà era ricondotta alle
categorie del Bene e del Male, lo spazio dell’uomo era drasticamente ridotto, e
si arrivava a negare l’incarnazione di Dio, in quanto il Cristo non poteva
certamente svilirsi e mischiarsi con la corrotta materia. Più interessante
risulta invece il secondo movimento: predicava l’uguaglianza di tutti i membri
della Chiesa, il sacerdozio fondato sul merito, la facoltà di predicazione da
parte dei laici e la povertà. Entrambi i movimenti tuttavia privi di protezioni
politiche vennero duramente combattuti e dispersi. Anche l’Italia in quel
periodo conobbe il fenomeno della dissidenza religiosa, con la “Pataria”
milanese, l’ascetismo di Gioacchino da Fiore, e addirittura un riformatore,
Arnaldo da Brescia, che nel 1135 si stabilì a Roma, allora libero Comune.
Nel
secolo successivo si ebbero la nascita di diversi ordini mendicanti, fra i
quali quello più noto, l’ordine francescano, che in vari momenti manifestò il
suo dissenso nei confronti dell’alta gerarchia ecclesiastica, e l’ordine
domenicano che nei secoli successivi divenne invece il più integerrimo nemico
dell’eresia, e il fautore dell’Inquisizione. Il secolo XIV fu caratterizzato da
due grandi eventi la Morte Nera, la pestilenza che dimezzò la popolazione
dell’Europa occidentale con particolare durezza nelle sue regioni più densamente
popolate, e lo Scisma d’Occidente che portò alla contrapposizione di due, e
successivamente di tre, papi. L’autorità morale del Papato ne uscì a pezzi, e
negli anni successivi dovette affrontare le tendenze “autonomistiche” delle
diverse chiese, fra le quali quella potente di Francia, che diede vita, con la
Prammatica Sanzione di Bourges del 1438, al cosiddetto Gallicanesimo. Nel 1300
si ebbero molti uomini di cultura critici nei confronti della Chiesa: John
Wycliffe in Inghilterra, i Lollardi in Olanda e Gran Bretagna, Jan Hus in
Boemia, e Dante Alighieri in Italia. Il primo sosteneva l’abolizione della
gerarchia ecclesiastica e di qualsiasi potere che non fosse fondato su Dio, e
si fece promotore di alcuni principi che divennero la base di molti gruppi
protestanti, l’importanza della Bibbia, destinata ad essere conosciuta da tutti
i fedeli e non più riservata al clero, il ritorno alla povertà evangelica, la
condanna del culto dei santi e della vendita delle indulgenze, il rifiuto del
mistero della transustazione. Le sue teorie ebbero notevole influenza in Europa
e ispirarono Hus nel suo compito per la creazione di una chiesa autonoma in
Boemia.
Alla
fine del Quattrocento in Inghilterra, in Francia e in Spagna venivano a
formarsi delle solide monarchie non più ostacolate dai poteri della rissosa
nobilita locale. Nel campo del pensiero le innovazioni erano anche superiori, e
la nuova cultura metteva in dubbio diritti e privilegi ormai consolidati. Nel
1510 Erasmo da Rotterdam compose una delle opere più celebri in campo religioso
del periodo rinascimentale: “L’Elogio della pazzia”, in essa si sosteneva che
molti uomini di chiesa “Pongono fiducia
in cerimonie e tradizioncelle umane; e par loro ricompensa inadeguata a
sì gran meriti un solo paradiso: non riflettono che Cristo, senza tener alcun
conto di queste pratiche, esigerà soltanto l’osservanza del suo comandamento,
quello della carità”.
I
tempi erano quindi maturi, non solo la gente comune e i pensatori contestavano
l’autorità della Chiesa Cattolica, ma anche molti sovrani vedevano nella
autorità ecclesiastica e nell’Impero sua emanazione, una ingiusta interferenza
nella autonomia dello stato. La Riforma si fuse quindi con il nascente senso
nazionale. Molti principi infatti abbracciarono la nuova fede per rivendicare
quell’autonomia che Papato e Impero gli impedivano. I predicatori comunque non
si trovarono più esposti alle ritorsioni delle gerarchie ecclesiastiche, Lutero
beneficiò della protezione del principe di Sassonia, e molti altri godettero di
favori. In Inghilterra il distacco dalla Chiesa di Roma avvenne per opera
diretta del re Enrico VIII, che tuttavia diede vita ad una chiesa non molto
diversa da quella romana, che si attirò le critiche di un’umanista come Tommaso
Moro, e successivamente quelle dei Puritani. In Scozia si ebbe il radicale John
Knox, in Svizzera operarono l’iconoclasta Zwingli, e Calvino che portò alle
estreme conseguenze le teorie sulla degradazione umana. I fermenti religiosi
protestanti furono alla base dei moti indipendentistici dell’Olanda, la prima
grande repubblica in Europa, mentre il luteranesimo si diffuse senza eccessive
scosse nei paesi scandinavi. All’interno della Riforma si crearono subito due
schieramenti, alcuni pensatori ritenevano che le autorità civili dovessero
essere rispettate e la religione non dovesse influire sull’assetto politico ed
economico dello stato, l’altra, della quale faceva parte Calvino, riteneva che
non vi fossero distinzioni di classe fra gli uomini e che tutti potessero
accedere alle maggiori gerarchie. Ancora più radicale fu la posizione degli
anabattisti che intendevano dare vita ad una organizzazione politica fondata
sull’egualitarismo e il precetto biblico, che ebbe successo soprattutto fra
contadini e classi popolari. La disputa ebbe conseguenze notevoli e non venne
risolta.
Non sempre è facile esprimere delle considerazioni
sul significato politico-sociale della Riforma, alcuni hanno visto in questa la
azione delle classi emergenti, tuttavia se in Inghilterra e in Olanda il
protestantesimo risultava maggiormente diffuso nella classe borghese, in
Francia (i cosiddetti Ugonotti), in Germania e nell’Europa centro-orientale la
distinzione non sempre appariva evidente.
La
tensione non decrebbe nei decenni successivi. Nella prima metà del Seicento si
ebbe la Guerra dei Trent’anni che portò con sé una serie di epidemie e
distruzioni che provocò la morte di una parte notevole della popolazione
tedesca, e la scomparsa della Germania come potenza nazionale per circa un
secolo. La pace di Westfalia nel 1648 portò il principio della scelta
individuale del sovrano, e poi del singolo, in materia religiosa. Le basi per
una corretta convivenza civile fra uomini di diversa fede, anche se a caro
prezzo, era stata posta. L’Impero uscì praticamente distrutto dalla prova, e
l’Europa acquisì quella fisionomia per nazioni che noi oggi conosciamo.
Negli
anni successivi la polemica antipapista venne attenuata, il problema religioso
divenne soprattutto un problema interiore, non così l’esigenza di una
religiosità autentica e il rispetto per le Sacre Scritture, che continuarono a
costituire il fondamento delle diverse chiese protestanti succedutesi nel
tempo.
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