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gli antenati dei grattacieli

dal mito biblico della Torre di Babele alle moderne costruzioni, oggi viste in maniera diversa rispetto al passato.

 

di Maurizio Stefanini

 

 

Ci si domanda oggi se i grattacieli hanno ancora un futuro, dopo l’ultima ecatombe a loro associata. Ma qual è il loro passato?

 

“Un tempo tutta l’umanità parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. Emigrati dall’oriente gli uomini trovarono una pianura nella regione della Mesopotamia e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: ‘Forza! Prepariamoci mattoni e cuociamoli al fuoco!’. Pensarono di adoperare mattoni al posto delle pietre e bitume invece della calce. Poi dissero: ‘Forza! Costruiamoci una città! Faremo una torre alta fino al cielo! Così diventeremo famosi e non saremo dispersi in ogni parte del mondo!’. Il Signore scese per osservare la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Disse. ‘Ecco, tutti quanti formano un sol popolo e parlano la stessa lingua. E questo non è che il principio delle loro imprese! D’ora in poi saranno in grado di fare tutto quel che vogliono! Andiamo a confondere la loro lingua: così non potranno più capirsi tra loro’. E il Signore li disperse di là in tutto il mondo; perciò furono costretti a interrompere la costruzione della città. La città fu chiamata Babele, cioè Confusione, perché fu lì che il Signore confuse la lingua degli uomini e li disperse in tutto il mondo.

 

Così il mito biblico della Torre di Babele, che con una gag quasi umoristica cerca di spiegare la pluralità delle lingue umane mettendo insieme la somiglianza tra il nome di Babilonia, in realtà Bab-Ili, “Porta di Dio”, e la parola ebraica balal, che significava “confondere”. E poi c’è l’uso babilonese di costruire le ziggurat, alte torri destinate all’osservazione del cielo; e l’idea che i babilonesi, storici nemici del “popolo eletto”, fossero per questo invisi a Dio, e dunque andassero considerate maledette le loro usanze. Compresa quella, appunto, di voler costruire edifici così alti, quali mai l’antichità ne avrebbe conosciuti di eguali. Addirittura un re babilonese, il verdiano  e biblico Nabucodonosor, aveva fatto costruire un palazzo pieno di fiori e piante agli ultimi piani, in modo da imitare una collina coperta di verde e consolare così la nostalgia di sua moglie Amyitis per la montagnosa Media dove era nata, l’attuale Kurdistan, così diverso dalla piatta terra tra il Tigri e l’Eufrate. Questa, almeno, è la famosa leggenda dei “Giardini Prensili”, una delle “sette meraviglie del mondo” della tradizione greca.

 

Non solo nel geloso monoteismo ebraico, tuttavia, l’idea di “avvicinarsi al cielo” attraverso costruzioni era considerata empia. Anche nella mitologia greca c’è la storia dei titani che ammucchiano montagne una sopra all’altra apposta per dare l’assalto al trono di Zeus, sull’Olimpo. In modo meno umoristico e più crudo, rispetto al mito biblico, il sovrumano piedistallo fu abbattuto dal dio del cielo a colpi di fulmini, e le eruzioni dell’Etna non sarebbero altro che le esplosioni di ira del capo-ribelle, rimasto sepolto dal crollo sotto il vulcano siciliano. Ma il mito greco sembra echeggiare una più antica tradizione indo-europea, di cui si conosce una versione ittita in cui al posto della torre c’era però un vero e proprio gigante di pietra, l’Ulikummi. Si può d’altronde ricordare che non solo gli alti palazzi ma un po’ tutte le costruzioni erano considerate dagli antichi violazioni dell’ordine stabilito nella natura, cui bisognava porre riparo con scongiuri e sacrifici, di cui resta ancora oggi un retaggio nell’annuale benedizione delle case fatta dalla Chiesa Cattolica. La stessa Chiesa Cattolica, d’altra parte, ha alla propria testa il Sommo Pontefice, carica presa di peso da quella del capo-sacerdote nella gerarchia religiosa della Roma pagana. E che era il pontifex,  se non un “facitore di ponti”? Insomma, era un ingegnere-architetto che, oltre a conoscere i segreti del mestiere, sapeva anche come far “accettare” agli dei la sfida del voler congiungere due rive che il loro volere aveva in precedenza diviso.

 

Sarebbe facile oggi irridere a queste “superstizioni”, ma profondamente sbagliato. Sia che le si consideri inerenti all’Universo, sia che le si consideri manifestazione di una superiore intelligenza divina, le leggi della fisica infatti esistono, e vanno conosciute a fondo, se si vuole “correre verso il cielo” con la vetta di un edificio, senza vederselo crollare al suolo. Un esempio dall’esito fortunosamente felice, ma comunque eloquente di ciò a cui può condurre un progetto velleitario non sorretto da un’adeguata cultura costruttiva, è rappresentato dalla Torre di Pisa. Divenuta “pendente” proprio per essere stata costruita su un terreno sbagliato. Se a Roma il direttore dei lavori era il Sommo Pontefice e a Babilonia ci pensavano i sacerdoti-astrologi, nel Medio Evo cristiano la nascita delle grandi cattedrali gotiche diede origine a quelle corporazioni e confraternite di “Liberi Muratori” dalla cui elaborazione intellettuale pratica sarebbe scaturita quella filosofica e politica della moderna massoneria, incubatrice dell’illuminismo. Come è noto, la massoneria considera come suo mitico fondatore il fenicio re Hiram, “fornitore” e progettista del Tempio di Salomone. D’altra parte, anche il mito della Torre di Babele ci riferisce qualche “trucco” ingegneristico: ricordiamolo, bitume al posto della calce, e mattoni al posto delle pietre. Tradizioni sapienzali rabbiniche extra-bibliche specificano anche che l’empio progettista era stato Nimrod, il re-cacciatore, e che l’edificio consisteva in una fortezza su una roccia circolare su cui erano poggiati via via un trono di ferro, un trono di rame, un trono d’argento, un trono d’oro, una gemma gigantesca e, su di essa, lo stesso Nimrod, a pretendere empiamente l’omaggio dei popoli come una divinità. Una curiosa struttura come di un cannocchiale che si apre, e che torneremo ad incontrare…

 

Il Tempio di Salomone, le ziqqurat, i menhir e i dolmen delle culture celtiche e pre-celtiche, le piramidi, i campanili e la cattedrali gotiche del cristianesimo, i minareti del mondo islamico, i templi induisti, le pagode buddiste: come si vede, malgrado l’eco di sacrilegio del mito della Torre d Babele, gran parte degli edifici che in passato hanno sfidato il cielo avevano un interesse e un significato di tipo religioso. Le torri piramidali del templi indù, ad esempio, simboleggiano il mitico monte Meru, posto al centro dell’universo. Le guglie delle chiese gotiche concretizzano la spinta dell’umanità verso l’ascesi e il paradiso. Minareti e campanili aiutano a chiamare i fedeli alla preghiera anche da lontano. Altre volte, le alte costruzioni avevano invece un interesse militare. Una torre medioevale era infatti un effettivo mezzo di difesa, che consentiva ai suoi occupanti di scorgere il nemico da lontano e, quando si avvicinava, di bombardarlo con proiettili che l’altezza rendeva micidiali. Sempre nel Medio Evo, altre volte ancora l’altezza di un edificio aveva funzioni di prestigio. Dalla Bologna comunale ci arriva la nota storia delle due famiglie degli Asinelli e dei Garisendi che si sfidarono a chi faceva la torre più alta. Poiché gli Asinelli avevano finito per primi la loro slanciata costruzione lanciandola a una quota difficilmente superabile, i Garisendi tentarono di rivalersi lavorando sulla larghezza. Ma esagerarono, e la torre gli crollò. Le due torri, quella snella degli Asinelli e quella tozza e smezzata dei Garisendi, sono rimaste come popolare simbolo cittadino di Bologna. Così come una città nota per le sue torri è la toscana San Gimignano.

 

Come sede di abitazioni, invece, nel passato gli edifici alti non erano molto diffusi. La Roma imperiale, col suo 1.200.000 abitanti, fu la prima metropoli della storia a trovarsi costretta a risolvere problemi di sovrappopolamento ricorrendo a un’edilizia popolare su più piani. Ma le cosiddette insulae, così chiamate perché circondate da quattro strade, non andarono mai oltre i quattro o cinque livelli. Tecnicamente, si sarebbe potuto farle anche più alte. Ma poiché gli abitanti potevano poi muovercisi solo attraverso scale, da un sesto piano in poi sarebbero divenute praticamente invivibili. O meglio, ancora più invivibili di quanto già non fossero, come ci mostrano gli esempi di insulae che gli archeologi hanno ritrovato, in particolare a Ostia. I locali erano infatti angusti, i soffitti bassi, le scale scomode. Pessima era in particolare la situazione igienica, visto che non esistevano latrine nelle case, e che l’acqua doveva essere prelevata dalle fontanelle pubbliche nella via. Per giunta, essendo alloggi a basso prezzo le insulae erano pure costruite con mattoni e materiali di reimpiego, e sono documentati crolli in cui vennero travolte molte persone. In uno stesso locale venivano disposti sia i letti, in genere di legno, sia i bracieri a carbone di legna usati per cucinare e scaldarsi. Una coabitazione dagli esiti spesso disastrosi, e che spiega i grandi incendi della Città Eterna molto più che le leggendarie smanie di rinnovamento architettonico di un imperatore come Nerone.

 

1852: è questa la data in cui viene inventato quello che, stando alle statistiche, è tutt’ora “il più sicuro mezzo di trasporto del mondo moderno”. Ovvero, l’ascensore. Ed è la combinazione tra questo nuovo ritrovato tecnologico e il sovraffollamento delle grandi città degli Stati Uniti, a partire dal boom industriale del secondo ‘800, a far nascere il moderno grattacielo. In italiano, traduzione letterale dello scherzoso inglese sky-scraper, in cui però resta sempre come un’eco della maledizione biblica. Non si sfida più il cielo, ma si cerca comunque di fargli il solletico! Per la cronaca, il primo vero grattacielo moderno fu la torre di dieci piani della Chicago Home Insurance, costruita nel 1883, e purtroppo demolita nel 1927. Fu il primo saggio di quella scuola architettonica ribattezzata appunto “Scuola di Chicago” (da non confondere con l’omonima scuola di economisti) e il capostipite di molti altri eretti in città come New York e Dallas, e il cui profilo, spinto fino alle nuvole, ha da allora caratteristicamente contraddistinto l’aspetto delle grandi città degli stati Uniti. E dagli Stati Uniti si sono poi diffusi in altre regioni del mondo, anche se non particolarmente in Italia, che sembra in qualche modo diffidente verso questo tipo di architettura. Non senza precise conseguenze, a proposito di estensione del tessuto abitativo. Roma, ad esempio, è la municipalità più estesa d’Europa, ed ha una superficie che è equivalente a quella di New York City. Ma con meno di un sesto dei suoi abitanti.

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Maurizio Stefanini. Nato a Roma nel 1961, laurea in Scienze Politiche (Luiss), giornalista professionista. Collabora con Foglio, Libero, Tempi, Macchina del Tempo, La nuova frontiera. Direttore responsabile della Scrittura Rivista Letteraria e del Mensile di Roma. Coautore dei libri L’Italia del fare (Ideazione edizioni), I Senza Patria (Ponte alle Grazie), Il paese del non fare (Ponte alle grazie). Di prossima uscita due suoi altri libri, su legislazioni indigeniste comparate  (Ase) e storia dell’Afghanistan (Guerini e Associati).

 

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