gli antenati dei grattacieli HOME Hitler e il
Muftì di Gerusalemme
Albanesi ed altre comunità dell’Est europeo in
Italia
La Puglia,
e in minor misura il Friuli, sono stati i due principali punti di passaggio in
Italia per parecchie popolazioni, o per possibili invasioni.
Il bagno di sangue nel Kosovo, alla fine, non è rimasto senza conseguenze. Col regolamento di conti finale tra cristiani e musulmani, un'ondata di albanesi si è riversata in Italia con tutte le imbarcazioni di fortuna possibili e immaginabili, attraverso il Canale di Otranto. Nè il flusso sembra destinato ad arrestarsi. Il governo è perplesso, di fronte a quella massa di gente dalla fama di facinorosi, e di cui molti sono ex-guerriglieri. Si cerca dunque di concentrarli in punti di raccolta dove, rifocillandoli, si possano però tenere d'occhio. Quanto alla popolazione, non manca chi accorre per aiutare ad accogliere i profughi, spesso incoraggiato dalla Chiesa. Ma la nota principale è la diffidenza. Anche perchè a volte gli albanesi sfuggono alla sorveglianza, e vanno a mettersi in case abbandonate o diroccate dai terremoti. Senza comunque mai mescolarsi ai locali.
Cronache del 2000? No, no. E' storia, di mezzo millennio fa, e oltre. Del 20 giugno 1389, quando alla battaglia di Kosovo Polje l'esercito turco del sultano Murad I annientò la coalizione di forze balcaniche guidate dal bosniaco principe Lazar di Raska. Di quando nel 1415 il re di Napoli Alfonso d'Aragona, in cambio di alcuni servigi ricevuti, nominò il capitano di ventura albanese Demetrio Reres governatore della Calabria inferiore, dando diritto ai suoi soldati di stanziarsi nelle zone di Catanzaro e Palermo. Edificando nuovi villaggi, e ripopolandone alcuni rimasti disabitati. E poi del 1467, quando la morte dell'invincibile principe Giorgio Castriota Scanderbeg, l'eroe nazionale albanese, permette infine ai turchi di dilagare, e trasforma il rivolo dei profughi in Italia in una vera fiumana.
Oltre 100.000 cittadini italiani mantengono ancora la
lingua e la cultura albanese di quegli avi, boat people ante-litteram. Un'emigrazione
che ha dato alla storia italiana cognomi come Crispi, Gramsci, Tanassi, Craxi
(Anna Oxa è invece figlia di un rifugiato dal più recente regime comunista).
"Arbresh" si autodefiniscono, per distinguersi dagli
"shipëtar", rimasti nella madrepatria. Pasquale Scura, storico
arbresh ottocentesco, ricorda che il governo del Regno di Napoli "si
tolse cura di dar loro conveniente destinazione, ma volle evitare il
concentramento di tanti uomini valorosi ed arditi guerrieri in una sola o poche
città, e tenerli quanto più possibile lontani dalla capitale". Quindi,
li mise in villaggi abbandonati per effetto di alcuni recenti eventi sismici.
Ma, continua sempre lo Scura, "essendo loro vietato di riunirsi tutti
in un punto e di formare una sola città in ciascuna provinmcia, si studiarono
almeno di costruire la maggior parte dei villaggi a breve distanza tra essi a
fine di prestarsi scambievole aiuto nei bisogni, che molti e gravi e frequenti
essere doveano pei coloni di mal sicura esistenza in terra straniera ed
incognita, e fra popolazioni che miravano non senza gelosia i nuovi ospiti e ne
deridevano gli usi strani, lo sconosciuto idioma, le costumanze, i riti e le
fogge di vestire alla maniera degli Epiroti". Ciò, anche se per la
verità le ballate arbresh ricordano ancora con gratitudine il soccorso del
"volontariato" pugliese dell'epoca. "Si stacca dalla sponda/
e innanzi va la compagnia dolente/ verso le spiagge d'Italia in occidente/ ...e
allor che le straniere/ donne in sembiante lieto/ accorreranno per vedere i
profughi" (anche la traduzione, ve ne sarete resi conto, è
ottocentesca). Sono ancora 47 i comuni e frazioni di lingua arbresh sparsi tra
le province di Pescara, Campobasso, Avellino, Potenza, Foggia, Taranto,
Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria e Palermo. E in Molise ci sono anche tre
villaggi croati. L'ultimo in ordine cronologico di questi centri albanesi,
Villa Badessa, è in provincia di Pescara, e fu fondato nel 1744. Tanto per dare
l'idea di quanto tempo il flusso dei fuggiaschi attraverso lo stretto di
Otranto sia durato, da quell'avanguardia del 1416.
A essere fiscali, però, neanche quella tra XV e XVIII
secolo fu la prima ondata. Il nome stesso di Otranto, attraverso il latino
Hydruntum, viene a sua volta dal greco Hydronton e dal messapico Hydrus,
entrambi connessi alla radice ellenica Hydor: acqua. Ricordano l'antichità di
una migrazione attraverso lo Jonio che qualche archeologo attribuisce
addirittura a coloni ittiti, qualcun altro alla proto-greca civiltà micenea.
Comunque, erano certamente illirici, venuti dalla Penisola Balcanica, gli
iapigi ed i messapi, i popoli trovati in Puglia centrale e meridionale da greci
e romani. E i moderni albanesi sono appunti gli ultimi discendenti puri degli
illirici. Scampati, grazie all'isolamento delle loro montagne, alla
latinizzazione di cui sono stati "vittime" i romeni, e all'invasione
slava che ha sommerso il resto della Penisola Balcanica. Ed erano forse
illirici anche i dauni della Puglia settentrionale, anche se loro si vantavano
di essere invece discendenti degli achei. Comunque, erano dovuti scappare
dall'invasione dei dori, i futuri spartani. E lo avevano fatto tanto in fretta
che, non avendo molta esperienza marinara, molti di loro erano annegati, e nei
superstiti era restato un'invincibile terrore del mare. Dicono che è per
questo, se nella cucina del Gargano e del Foggiano è mancato il pesce fino a
tempi recentissimi.
C'era però nell'Italia del primo millennio a.C. anche
un'altra avanguardia illirica, costituita dai veneti, che nel Nord-Est ci erano
arrivati invece per via di terra. E i veneti con gli iapigio-messapo-dauni,
insieme, ci mostrano come fin da allora si fossero delineati i due storici
percorsi di invasione dell'Italia da Est: la "soglia di Gorizia", e
la "soglia di Otranto". Attaccare i due punti assieme, se non c'è
dall'altra parte un sistema di difesa comune, significa una quasi certa
conquista della Penisola. E fu quello che stavano per fare i turchi del sultano
Maometto II. Quello che nel 1453 aveva infine risolto il secolare braccio di
ferro con l'Impero Bizantino occupando la stessa Costantinopoli, e che a un
certo punto si mise in testa di fare lo stesso anche con Roma, per completare
un'antica profezia del Profeta di cui aveva il nome. Nel 1473, dunque, un
esercito ottomano composto principalmente da bosniaci si lanciò in una prima
micidiale scorreria in Friuli. Nel 1477 venne una seconda scorreria, che a un
certo punto sembrò minacciare la stessa Venezia. Spaventatissima, la
Serenissima Repubblica si abbassò nel gennaio 1479 ad una pace umiliante, che
contemplava tra l'altro la cessione agli ottomani della base albanese di
Scutari. E fu appunto dall'Albania che il 27 luglio 1480 una spedizione turca
prese terra di fronte a Otranto, stringendola d'assedio.
"La sua campagna pare in primavera/ un giardino
dell'Eden/ Dal mare la sua riva è un tesoro che scorre", scrisse
in quell'occasione di Otranto un membro del corpo di spedizione con velleità di
poeta, corrispondente al nome di Ibn Kemal. "Il suo nome è Otranto/
biasimare non si potrebbe chi l'abita/ se vuoi trascorrere vita serena/ vai ad
abitare là". In effetti, era stato proprio per le vene idriche che la
rendono un'isola verde nel Salento bruciato, se fin dall'antichità greci e
messapi avevano dato alla città più orientale d'Italia quel nome evocativo
dell'acqua. Ma invece di "non biasimare chi l'abita", quando l'11
agosto i compari di Ibn Kemal occuparono infine la città la sottoposero a uno
spaventoso massacro, uccidendo almeno 12000 persone. Particolarmente odioso fu
l'olocausto degli 800 difensori superstiti, che furono obbligati dal
conquistatore Ahmet Pascià alla scelta tra l'abiura o la vita, e si fecero
tutti decapitare. Narra la tradizione che l'ultimo giustiziato fu lo stesso
carnefice, commosso per l'intrepido sacrificio di quelli che sono passati alla
storia come i "martiri di Otranto", e convertitosi quindi lui stesso
in extremis al cristianesimo al prezzo della propria vita. Lo stesso vescovo,
Stefano Pendinelli, fu segato in due.
Già tra 841 e 875 i saraceni erano riusciti a tenere
Bari e Taranto, facendone anche sede di un emirato. Ma in un contesto ben
diverso, in cui comunque la "soglia di Gorizia" era ben protetta da
una Penisola Balcanica ancora tutta cristiana o in via di cristianizzazione. E
con la potenza marittima di Venezia che era al suo inizio, e non al tramonto.
Ora invece, sotto il colpo inatteso, anche se ormai prevedibile, l'Italia
tremò. Si parlò di complicità fiorentina, di inerzia veneziana, secondo
l'identico schema di dispetti reciproci tra i suoi staterelli che venti anni
più tardi consegnerà l'Italia a francesi e spagnoli. Lo stesso Papa, più
atterrito di tutti, iniziò i preparativi per trasferirsi ad Avignone, sapendo
benissimo che se un altro esercito turco si fosse affacciato proprio allora in
Venezia Giulia, nessuno sarebbe più riuscito ad impedire alla tenaglia di
chiudersi proprio intorno al Tevere. E se ci fu forse un'occasione in cui in
Vaticano si pentirono per non aver permesso all'Italia di unirsi sotto un
governo forte, fu quella.
Ma venne un miracolo. Sotto forma della morte, nel
maggio 1481, di Maometto II. Mentre i suoi eredi litigavano per l'eredità,
nessuno pensò più nè alla conquista dell'Italia e neanche a rifornire i
macellai che avevano conquistato Otranto, che così a settembre si dovettero
arrendere alle truppe di re Ferdinando in cambio dell'immunità. Un migliaio di
loro, anzi, vennero arruolati in un reparto speciale dell'esercito napoletano.
Ammaestrata dall'esperienza, Venezia cercò di supplire alla mancanza di unità
della Penisola occupando Otranto e Brindisi per conto suo, nel 1495. Ma,
appunto, quella coalizione di Stati italiani che non si era formata per
cacciare i turchi si compose invece subito contro i veneziani, che nel 1509
dovettero sgomberare. E infatti i turchi si ripresentarono puntuali nel 1537,
venendo però respinti.
Lo stesso rischio di attacco a tenaglia tornerà nella
Prima Guerra Mondiale, quando gli austriaci scendono in Albania dopo aver
occupato la Serbia. E' attraverso il canale di Otranto che la flotta italiana
evacua nel 1915 l'esercito serbo accerchiato, ed è tra Otranto e Valona che
stende poi un "cordone" di navi e mine per chiudere il nemico
nell'Adriatico. Ripetutamente l'Imperiale e Regia Marina Austro-Ungarica cercherà
di forzarlo, ma senza mai riuscirci in modo definitivo. E, alla lunga, la
tenuta della linea Valona-Otranto contribuirà probabilmente alla vittoria
italiana forse maggiormente che non la più sanguinosa, e famosa, difesa a
oltranza del Piave. Non a caso, dopo la prima guerra mondiale l'Italia cercherà
di mantenere quell'essenziale corridioio di sicurezza chiedendo prima un
protettorato sull'intera Albania, e poi l'annessione di Valona. Finendo infine
per accontentarsi dell'isolotto di Saseno, poi restituito all'Albania dopo la
Seeconda Guerra Mondiale. Isolotto che infatti resta una chiave di volta nel
controllo sulle rotte degli scafisti.
Durante la guerra fredda la frontiera di Otranto
cessò di costituire abbastanza presto una minaccia diretta. Nel 1948, infatti,
la rottura tra Tito e l'Urss isolò il bastione filo-sovietico dell'Albania, e
nel 1961 Tirana litiga anche con Mosca. Ma se i due terzi dell'esercito
restavano concentrati sulla "frontiera di Gorizia", la brigata
Pinerolo, di presidio nelle Puglie, era negli anni '80 l'unica unità
meccanizzata, dunque di prima linea, a stare al Centro-Sud. A parte i
Granatieri di Sardegna, intorno alla capitale. Dunque, un rischio restava.
Anche se non si pensava ancora che potesse assumere quella dimensioni esatte
che ha assunto l'alluvione dei clandestini attuale. In cui Otranto è non più il
molle bassoventre della sola l'Italia, ma di tutta l'Europa di Schengen.
E' anch'essa una guerra, se si pensa alle 637 persone
che tra naufragi e scontri vi sono morte in Adriatico tra 1990 e 1998, ai 173
morti del 1999, ai 6 del 2000, ai 7 del 2001, ai 60 di questi primi mesi del
2002. Ironicamente, il Pci nacque in Italia anche sull'ondata della protesta
antimilitarista contro i governi che si "ostinavano" a mandare truppe
in Albania dopo che era finita la prima guerra mondiale. "A che ci serve
che i nostri soldati muoiano là?", chiedevano. Una risposta trovata dopo
ottant'anni, proprio quando gli "eredi" politici di chi faceva quella
domanda sono andati loro al governo. Ed hanno mandato soldati e poliziotti a
tenere d'occhio "l'altra sponda".