Storia della strana e per molti versi ancora
sconosciuta intesa che, tra il 1934 e il 1945, legò saldamente le sorti del
Movimento Arabo Palestinese capeggiato dal Gran Muftì di Gerusalemme a quelle
del nazismo e del Terzo Reich.
La storia degli intensi e complessi rapporti che, tra il 1934 e il 1945, intercorsero tra il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al Husseini, capo spirituale dei mussulmani palestinesi, e il leader nazista Adolf Hitler rappresenta una delle vicende a sfondo politico-religioso più interessanti e meno note di quegli anni.
I motivi che spinsero la più alta e venerata personalità religiosa del Medio Oriente ad unire i propri destini a quelli del dittatore tedesco e, più in generale, alle forze dell’Asse, suscitano infatti un’indubbia curiosità, aprendo le porte ad un dibattito che, nell’attuale contesto politico internazionale, caratterizzato dalla recrudescenza dell’estremismo islamico antisionista e antioccidentale, assume una valenza ancora maggiore. La condivisione dei programmi antisemiti e la comune avversione nei confronti dei sistemi democratici furono tra gli elementi che, sessant’anni fa, cementarono le basi di un’intesa politica e militare tra il nazismo e il Movimento Arabo del Gran Muftì: un’alleanza di cui, tuttavia, per molti anni poco si è detto e scritto, almeno in Italia; fors’anche a causa di quel malinteso senso di tutela e di rispetto per la seppure giusta “causa palestinese”.
Che il Gran Muftì di Gerusalemme nutrisse molta simpatia nei confronti dell’ideologia antisemita è cosa nota, ma assai meno lo sono i documenti e i carteggi che testimoniano, in maniera chiara ed inoppugnabile, il tentativo condotto da Amin al Husseini e dai vertici del nazismo per dare vita ad un vasto e articolato programma di sterminio e di lotta armata sia nei confronti della comunità israelitica internazionale, che contro le democrazie occidentali: un piano dal quale, sotto certi aspetti, il “principe del terrore” Bin Laden sembra avere tratto più di uno spunto. Oggi, però, grazie all’impegno di un gruppo di storici israeliani e statunitensi e alle testimonianze emerse dagli archivi segreti del Terzo Reich, del governo americano, inglese ed ex-sovietico, è possibile ricostruire con precisione (purché ne sussista la volontà, ovviamente) la trama e il contenuto di uno dei più scellerati complotti di matrice razzista e terrorista mai progettati nel corso del XX secolo. Dopo anni di indagini e di studi, i ricercatori dell’istituto Simon Wiesenthal di Los Angeles sono riusciti a fare riemergere dagli archivi del controspionaggio nordamericano buona parte della corrispondenza segreta e dei diari personali del Gran Muftì di Gerusalemme e un certo numero di casse contenenti una voluminosa massa di documenti (in lingua araba e tedesca) attraverso la lettura dei quali è possibile fare luce sull’intera e complessa vicenda.
Dopo la caduta del muro di Berlino, gli studiosi israeliani e statunitensi (supportati anche da informazioni e suggerimenti forniti da colleghi inglesi, russi e serbi) hanno infatti passato al setaccio tutto il materiale e le testimonianze relativi all’attività di Husseini e dei gruppi arabi che, a cavallo degli anni Trenta/Quaranta, collaborarono attivamente con i nazisti. Nella fattispecie, la documentazione fa riferimento ai numerosi dossier redatti tra il 1936 e il 1945, dalla Kripo (la Polizia Criminale nazista) e dalla Gestapo, dalla Sezione Mediorientale dell’Abwehr (il Servizio Segreto tedesco diretto dall’ammiraglio Wilhelm Canaris); dal Dipartimento Affari Islamici e del “Centro Addestramento Elementi Mussulmani” delle Waffen SS (posto alle dirette dipendenze di Heinrich Himmler); dal “Comando Operazioni Oriente” della Divisione Speciale Brandeburg; dal Sonderstab F del generale Helmut Felmy (organismo incaricato di arruolare nella Wehrmacht volontari mediorientali, nordafricani, ma anche transcaucasici e russo-asiatici) e dall’Arab Bureau del dicastero degli Esteri di Joachim von Ribbentrop.
Amin al Husseini
(chiamato anche Al-Haji Amin) nasce nel 1897, a Gerusalemme, da una famiglia
molto religiosa che, fino dalla più tenera età, educa il figlio secondo i più
rigidi precetti islamici. Dopo avere compiuto i suoi primi studi nella città
natale, Amin li prosegue al Cairo e, in seguito, a Costantinopoli. Nel 1910,
entra nell’esercito ottomano, venendo assegnato ad una scuola di artiglieria.
Sembra che dopo le Guerre Balcaniche Husseini abbia completato in una scuola
coranica la sua preparazione culturale e religiosa. Ancora molto giovane, Amin
mostra simpatie nei confronti del Movimento Arabo che fa capo allo sceriffo de
La Mecca Hussein, uno dei più importanti vassalli della Sacra Porta. Nel 1914,
in seguito ad abboccamenti con i servizi segreti inglesi di base al Cairo e
agli aiuti promessi dal Foreign Office di Londra e dal Comando Supremo
dell’Esercito inglese in Egitto, lo sceriffo inizia, infatti, a progettare una
rivolta nazionalista araba con l’intento di liberare dal giogo ottomano la
regione dell’Hegiaz, posta sotto il suo governo, e le città sante di Medina, La
Mecca e Gerusalemme. Tra il 1914 e il 1918, Amin al Husseini segue e partecipa
con interesse alla lotta condotta dallo sceriffo contro i turchi, fornendo,
sembra, il suo appoggio alla causa attraverso attività segrete e di spionaggio.
Nel marzo 1920, partecipa al Congresso panarabo di Damasco che proclama
l’indipendenza dell’Iraq sotto il re Abdullah e della Siria sotto Feisal, uno
dei figli dello sceriffo Hussein della Mecca. Nel successivo mese di aprile,
Amin al Husseini aderisce all’organizzazione di una sommossa antiebraica in
Palestina (regione posta sotto mandato britannico) e, in seguito alla creazione
della Haganah (l’organizzazione armata di autodifesa ebraica),
contribuisce a fondare diverse bande terroristiche antibritanniche,
incominciando, nel contempo, a pianificare una strategia per “eliminare
fisicamente tutti gli elementi sionisti dal territorio mediorientale”. Nel
maggio 1921, Husseini fomenta nuove manifestazioni antisioniste in Palestina e,
poco dopo, viene nominato Gran Muftì di Gerusalemme, la più alta carica
religiosa dell’islam, acquisendo subito grande prestigio e potere. Nel 1925,
favorisce segretamente la nascita dell’Associazione Armata Araba guidata dal
fondamentalista siriano Izz al-din Qassam. Nell’agosto del 1929, Husseini dà la
sua benedizione ad una delle più violente persecuzioni antiebraiche. Con
l’intento di limitare il diritto di preghiera degli israeliti presso il Muro
del Pianto di Gerusalemme e le visite alla Tomba dei Patriarchi di Hebron,
Husseini sobilla nuovamente la popolazione mussulmana, contribuendo, tra
l’altro, alla soppressione della secolare comunità ebraica di Hebron.
Nel 1931, il
Gran Muftì sostiene la nascita del Partito Arabo per l’Indipendenza, uno
schieramento che reclama a gran voce l’unione politico-religiosa tra Palestina
e Siria, regione posta sotto mandato francese. Nel 1933, dopo la salita al
potere di Hitler in Germania, Husseini confida ai suoi discepoli e
collaboratori di “intravedere un nuovo, radioso futuro”, e predice “l’avvento
di una nuova era di libertà per i mussulmani di tutto il mondo”.
Galvanizzato dai risultati delle repressioni antiebraiche messe in atto dai
nazisti, il Gran Muftì, che ormai si avvale di un folto seguito di seguaci,
scatena nuove rivolte a Jaffa, Haifa e Nablus.
Il 21 Luglio
1934, il Muftì di Gerusalemme compie il passo decisivo. Con lo scopo di
stabilire uno stretto rapporto di cooperazione con il nazismo, si reca in
visita al nuovo console generale tedesco di Palestina, Döhle. Nel corso
dell’incontro, che verrà definito “molto cordiale e proficuo”, Husseini
conferma il suo incondizionato sostegno alla Germania di Hitler, domandando al
diplomatico “fino a che punto il Terzo Reich fosse disposto a sostenere il
movimento arabo contro gli ebrei”. Ricevute soltanto vaghe assicurazioni in
proposito, nel 1936, Amin al Husseini invia alcuni suoi collaboratori a Berlino
per “intraprendere amichevoli contatti con i capi del movimento nazista”.
E nel contempo, in Palestina, proclama la lotta armata contro le comunità
ebraiche e le forze di occupazione inglesi, affidando il compito di dirigere la
rivolta a Fawzi el Kawakij. Quest’ultimo, nel 1941, sosterrà assieme allo
stesso Muftì il fallito colpo di stato anti-inglese del leader nazionalista
iracheno Rashid Alì, e, successivamente, nel 1948, guiderà le truppe arabe irregolari
contro il neonato stato di Israele. In occasione dei disordini del 1936,
Husseini incita i mussulmani fondamentalisti ad attaccare anche le fazioni
moderate islamiche, causando (secondo fonti britanniche) non meno di 4.000
morti.
Informati della
rivolta dal console tedesco, il ministero degli Esteri e i vertici delle Waffen
SS, iniziano a prestare maggiore attenzione all’attività del Muftì e dei
suoi seguaci, pur mantenendo nei confronti del mondo islamico un atteggiamento
di sostanziale diffidenza. Nel settembre 1937, due giovani ufficiali delle SS,
Karl Adolf Eichmann (che diverrà in seguito il coordinatore supremo della
“Soluzione Finale”) ed Herbert Hagen, vengono inviati a Gerusalemme per cercare
di sondare il livello di affidabilità del Muftì e dei suoi collaboratori e,
eventualmente, trovare i presupposti per una più concreta cooperazione
politico-militare. L’ordine di Hitler è infatti quello di intensificare i
rapporti tra nazismo ed islamismo radicale, ma di procedere con assoluta cautela.
Pur reputando interessante l’opportunità di agganciare al carro nazista un
elemento di prestigio come il Gran Muftì, il Führer - che non nasconde
il suo disprezzo non soltanto per gli ebrei, ma anche per tutta la razza semita
- non desidera, almeno per il momento, provocare una crisi mediorientale dai
risvolti imprevedibili. Mentre i due agenti tedeschi si apprestato a partire
per la Palestina, le autorità militari inglesi, che già da tempo indagano sulle
attività sovversive del Gran Muftì, spiccano un mandato di cattura contro Amin
al Husseini, costringendo quest’ultimo a darsi alla macchia. Tuttavia, una
volta giunti ad Haifa, Eichmann e Hagen riescono egualmente a contattarlo. I
colloqui segreti tra i due agenti e il Gran Muftì si rivelano abbastanza promettenti.
Alla fine, Eichmann offre ad Husseini la protezione dei servizi segreti
tedeschi e la fornitura di denaro, armi, munizioni ed esplosivi in cambio del
suo impegno ad operare a fianco della Germania per debellare il “demone
sionista”, ma anche per minare le fondamenta del dominio anglo-francese in
Medio Oriente. Husseini non pone alcuna difficoltà, dichiarandosi “felice di
cooperare per il trionfo di una giusta causa”, e promette di fare del suo
meglio, coinvolgendo anche i leader delle comunità mussulmane di Siria,
Transgiordania, Libano e Iraq.
Nel 1938,
secondo il carteggio Wiesenthal, il nome in codice del Gran Muftì risulta già
nel libro paga dell’Abwehr II. Verso la fine dello stesso anno l’Abwehr
II pianifica un programma per inviare in Palestina, tramite navi
battenti bandiera neutrale, alcune forniture di armi e munizioni destinate alle
forze di Husseini. Per motivi di sicurezza, il carico dovrebbe essere sbarcato
in un porto dell’Arabia, probabilmente Gedda. All’ultimo momento, però, l’operazione
viene sospesa. Hitler, già impegnato in Spagna, con la Legione Kondor, a
fianco del generale Francisco Franco, ed in procinto di annettere la Boemia
alla Germania, preferisce evitare di inasprire ulteriormente i rapporti con
l’Inghilterra, i cui servizi segreti, tra l’altro, sono già al corrente dei
legami tra i nazisti e il Gran Muftì.
Nel settembre
del 1939, all’indomani dell’invasione tedesca della Polonia, Amin al Husseini
dichiara pubblicamente di volere dare il suo esplicito sostegno al “meritevole
e coraggioso condottiero Adolf Hitler”, incitando “i mussulmani a
prendere le armi a fianco della Germania nazista”. All’inizio del 1941, dai
microfoni di un’emittente segreta, il Gran Muftì invoca “il diritto degli
arabi a risolvere il problema ebraico con le stesse modalità e gli stessi mezzi
adoperati dal Führer, e lancia un proclama affinché tutti gli islamici
contribuiscano con le armi al successo delle forze dell’Asse”. Tuttavia,
non potendo ancora usufruire di una protezione tedesca e temendo di essere
arrestato dagli inglesi, verso la fine del 1940, Amin al Husseini decide di
fuggire in Iraq e di muoversi per conto proprio, utilizzando il denaro che nel
frattempo gli è stato inviato dall’Abwehr. Grazie a queste risorse, egli
inizia a sostenere il partito nazionalista iracheno di Rashid Alì (compagine
che, tra l’altro, controlla buona parte dell’esercito), fortemente avverso agli
inglesi e agli ebrei. E la Mesopotamia diventa così il banco di prova
dell’organizzazione messa in piedi dal Muftì con i marchi tedeschi. Rashid Alì,
che sta aspettando il momento migliore per scatenare la rivolta anti-inglese,
accoglie Husseini come un fratello e lo nasconde in un rifugio segreto,
consentendogli di operare indisturbato. Tra la fine del 1940 e l’inizio del 1941,
molti funzionari iracheni stabiliscono rapporti di segreta cooperazione con
l’ormai fantomatico Muftì che, con molta abilità, continua ad eludere le
ricerche della polizia e dell’esercito inglese presenti anche in Iraq.
Nell’aprile 1941, il Movimento rivoluzionario di Husseini si consolida,
iniziando, tra l’altro, a ricevere sovvenzioni in denaro anche da dall’Italia,
dall’Arabia Saudita e dall’Egitto. Nel suo rifugio segreto sotterraneo
(situato, sembra, tra Baghdad e Mosul), protetto dai compiacenti militari
iracheni, il Muftì conduce una vita piuttosto agiata. Egli dispone, infatti, di
un attrezzato ufficio dotato di linea telefonica, di una potente stazione
radio, di servizi e di un ampio magazzino zeppo di armi, munizioni, viveri e
medicinali. Assieme a lui lavorano almeno una dozzina di collaboratori fidati
ed altrettante guardie del corpo, quasi tutte provenienti dall’esercito
iracheno. Nella primavera del 1941, Rashid Alì, sostenuto dall’esercito
nazionale e dalle cellule di Husseini, dà inizio alla sommossa antibritannica.
Rashid Alì obbliga il primo ministro iracheno, il filo-inglese Nuri Said Pasha,
a dare le dimissioni; dopodiché ordina alle sue truppe di chiudere i rubinetti
delle lunghe condotte che collegano i campi petroliferi mesopotamici al porto
di Haifa e di circondare le scarsamente presidiate basi dell’aviazione e
dell’esercito inglesi. Contemporaneamente, il Muftì lancia, attraverso un
messaggio radio, la jihad (la guerra santa) contro l’Inghilterra.
Nonostante il fulmineo avvio del Golden Square o “Blocco d’Oro” (il
brillante nome in codice con cui Rashid aveva voluto battezzare la sua
insurrezione), la manovra si rivela, però, intempestiva e male architettata.
Innanzitutto, perché sia Rashid Alì che il Muftì non tengono al corrente l’Abwehr
circa le loro mosse, e in secondo luogo perché le forze armate italo-tedesche,
impegnate in questo periodo in Grecia contro l’esercito inglese ed ellenico,
non sono ancora in grado di intervenire con la dovuta celerità ed incisività in
Medio Oriente. Hitler e Mussolini, infatti, non potranno che inviare agli
iracheni ribelli che qualche dozzina di consiglieri, meno di cinquanta aerei da
trasporto e da combattimento e - tramite il compiacente governo francese di
Vichy - un solo convoglio ferroviario carico di armi e munizioni proveniente
dalla Siria. A completare la frittata ci pensa poi il Comando dell’esercito
iracheno che, palesando un’evidente inettitudine, non riesce ad eliminare i
pochi presidi inglesi che, nell’arco di dieci giorni, vengono soccorsi da un
forte corpo di spedizione proveniente dall’Egitto e dall’India. Consolidata
nuovamente la loro presenza sul territorio mesopotamico, gli inglesi
schiacciano la rivolta nazionalista irachena e costringono sia Rashid Alì che
il Muftì a fuggire. Quest’ultimo, braccato dai britannici, riesce a trasferirsi
nel nord del paese da dove - grazie al denaro e alla connivenza di ribelli
mussulmani - passa in Iran e successivamente in Turchia. Giunto ad Istanbul,
Amin al Husseini si mette in contatto con alcuni agenti tedeschi che lo aiutano
a raggiungere la Germania.
Verso la metà
del novembre 1941, il Muftì giunge a Berlino, dove viene accolto da Eichmann.
Questi lo introduce nei palazzi della politica, dove viene interrogato da
alcuni alti ufficiali delle SS circa il fallimento del Golden Square.
Husseini non mostra alcun imbarazzo nell’addossare tutta la colpa del disastro
alla “quinta colonna ebraica che opera in Iraq”, aggiungendo che un più
concreto e sollecito sostegno da parte delle forze dell’Asse avrebbe
probabilmente evitato il grave infortunio. L’infelice osservazione del Muftì
irrita non poco i tedeschi e rischia di compromettere i futuri piani di
cooperazione arabo-nazisti. Tuttavia, Eichmann ci mette una pezza e convince il
Führer a continuare ad accordare fiducia e sostegno all’alleato. Il 20
Novembre 1941 il ministro del Esteri tedesco, Joachim von Ribbentrop, riceve il
Gran Muftì, e dal loro colloquio vengono poste le basi per il successivo
incontro con Hitler.
La trascrizione
della lunga conversazione tra il Muftì e Hitler venne messa a disposizione di
Husseini nel maggio 1945, in una villa nei pressi della capitale tedesca, e
trasmessa all’archivio dei servizi segreti statunitensi e successivamente a
quello delle Nazioni Unite, dove rimase ben custodita e, curiosamente, mai
pubblicizzata. Intervistato sull’argomento dal quotidiano Hadashot, lo
storico e orientalista israeliano Zvi Alpeleg ha affermato che l’esistenza di
questo documento (venuto alla luce pochi anni fa, grazie alle ricerche degli
uomini di Wiesenthal) era nota da tempo. Tanto che, nel gennaio 1946, in
seguito ad una fuga di notizie, il quotidiano americano New York Times
pubblicò un articolo sulla vicenda, il cui contenuto venne smentito da alcuni
governi arabi, come la Siria e l’Iraq. Guarda caso, proprio nel periodo in cui,
sempre da fonte stampa statunitense, il mondo venne a sapere che il governo di
Damasco e del Cairo, con la complicità dell’Unione Sovietica, avevano dato
rifugio ad alcuni “consiglieri” provenienti dalle file delle SS e della Gestapo.
A titolo di cronaca, è ormai provato che negli anni Cinquanta, l’Unione
Sovietica abbia “fornito” allo Stato maggiore dell’esercito del dittatore
egiziano Nasser un’altra “partita” di “consiglieri” nazisti (tra cui diversi fisici
e chimici esperti in missilistica e in armi chimiche e batteriologiche) per
mettere a punto armi balistiche dotate di testate atomiche, a gas o a virus, da
utilizzare contro Israele. Ancora nel 1966, questa volta secondo fonti francesi
e israeliane, l’ormai anziano Amin al Husseini si sarebbe adoperato per
introdurre segretamente in Libano e in Iraq altri “tecnici” ex-nazisti da lui
conosciuti durante il suo lungo soggiorno in Germania.
Ma torniamo al
colloquio del 22 novembre 1941 tra il Gran Muftì e Adolf Hitler. Nel corso
dell’incontro, durato circa un’ora e mezza, il Gran Muftì dichiarò che “gli
arabi dovevano essere considerati amici naturali della Germania…” e
che “egli era pronto ad adoperarsi per convincere tutti i mussulmani
presenti in Africa Settentrionale, nell’Europa occupata e in Russia” ad
arruolarsi in una speciale Legione Araba (la Freies Arabien) al
servizio della comune causa antisionista e antioccidentale. “In questa
gigantesca lotta, gli Arabi si batteranno anche per scacciare gli anglo-francesi
dal Medio Oriente e per creare i presupposti di un grande Stato Arabo Unito,
comprendente la Palestina, la Siria, il Libano, la Transgiordania e l’Iraq”.
Dal canto suo, il Führer (che, in seguito allo smacco subito da Rashid
Alì, non si fidava più delle capacità organizzative e militari dei capi arabi)
assicurò che “la Germania, pur essendo decisa a richiedere alle nazioni sue
alleate (Italia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Croazia, Slovacchia e
Finlandia, ndr) di contribuire fattivamente alla risoluzione del problema
ebraico”, non riteneva ancora opportuno “dirigere un simile appello ai
popoli mediorientali e a quello iraniano, troppo strettamente controllati dalle
forze inglesi e sovietiche”.
Pur amareggiato
dalle dichiarazioni del Führer, Amin al Husseini tentò, nei mesi
successivi, di persuadere sia Hitler che Mussolini a sottoscrivere un documento
ufficiale con il quale “la Germania e l’Italia si sarebbero impegnate in
tempi brevi ad intervenire militarmente in Medio Oriente per aiutare i mussulmani
a scacciare gli inglesi”. Dichiarazione, questa, che i due dittatori non
sottoscrissero poiché, al momento, risultava tecnicamente inattuabile. Il Führer
preferì rinviare qualsiasi eventuale azione nella regione ad una data
successiva alla conquista del Caucaso e della valle del Nilo da parte delle
forze dell’Asse. Amin al Husseini dovette quindi accontentarsi. “In attesa
dello sfondamento italo-tedesco dei fronti egiziano e caucasico - annotò
sul suo diario - ai mussulmani non rimane che mettersi a disposizione della
Germania, partecipando alla distruzione dei sionisti in Europa”.
Per cercare di
andare incontro ad Husseini, nel 1942 i tedeschi lo posero alla direzione
dell’”Ufficio Arabo”: un ente controllato dalle SS al quale sarebbe
spettato il compito di fare propaganda antisemita e di favorire l’arruolamento
dei mussulmani nella Legione Araba di cui si è detto, ma anche nei
reparti delle SS appositamente costituiti da Himmler per inquadrare
elementi bosniaci e albanesi. Questi ultimi andarono, infatti, a formare la
13ma Divisione da montagna SS Handschar e la 21ma Divisione da
montagna Skanderbeg, indossando una divisa da combattimento abbastanza
simile a quella in uso nelle sezioni analoghe tedesche. Sul capo essi portavano
il fez rosso con appuntato il teschio, mentre al posto delle consuete scritte
runiche del colletto comparvero curiosi gagliardetti con una scimitarra
islamica. Va notato infine che, nonostante il suo personale disprezzo nei
confronti di tutte le religioni, Himmler concesse ai volontari mussulmani delle
due divisioni di praticare una dieta particolare vincolata ai precetti
mussulmani, di pregare pubblicamente secondo la ritualità, e di festeggiare e
osservare le feste e i digiuni imposti dal Corano.
Situato non
lontano da Berlino, il quartiere generale del Muftì controllava una fitta rete
di collaboratori, sia i Europa che nel resto del mondo. Esso, infatti,
estendeva la sua autorità a tutto il Medio Oriente, e al Nord Africa, ma anche
sulle più lontane regioni asiatiche abitate da minoranze islamiche. Tra il 1942
e il 1944, il Gran Muftì lavorò intensamente, consentendo l’arruolamento nella Legione
Araba e nelle Divisioni Waffen SS di molti uomini. Grazie alla sua
martellante propaganda, attuata tramite potenti stazioni radio messe a
disposizione dai tedeschi, e mediante frequenti viaggi, decine di migliaia di
mussulmani balcanici andarono a formare le nuove divisioni di Himmler. Queste
unità, divenute ben presto note per la loro ferocia, vennero spesso impiegate
nei Balcani in azioni antipartigiane e nei rastrellamenti di ebrei e zingari.
Nel 1943, non meno di 50.000 mussulmani di varia provenienza risultavano
presenti nelle divisioni SS o nei reparti speciali tedeschi (1). Anche se la Legione Araba (l’unità sulla
quale il Muftì contava molto in quanto egli la considerava l’elemento
costituente del suo futuro esercito) non arrivò mai a superare gli effettivi di
qualche battaglione. L’unità, contrariamente alle aspettative dei tedeschi,
fornì inoltre risultati piuttosto deludenti sia sotto il profilo disciplinare
che operativo e bellico (2).
Nel corso del
conflitto, molto intensa risultò anche l’azione diplomatica svolta dal Gran
Muftì. Tra il 1942 e il 1944, egli effettuò diversi viaggi per l’Europa,
recandosi nelle regioni abitate da nuclei mussulmani (Bosnia, Kosovo, Albania)
per constatarne la fedeltà al Reich, e stringendo rapporti di amicizia e
cooperazione anche con i capi di movimenti parafascisti croati e serbo-cetnici
che avevano in comune un profondo odio nei confronti degli ebrei e delle
democrazie occidentali. Non solo. Sembra che nel 1942, tramite l’ambasciata
giapponese di Berlino, il Muftì abbia avviato contatti perfino con il governo
di Tokyo, il cui ministero della Guerra era intenzionato a servirsi di lui e
dei suoi seguaci per fare insorgere contro gli eserciti di Ciang Kai Shek e di
Mao Tse Tung le comunità mussulmane della Cina centro-occidentale (regioni del
Tarim e del Tsinghai) e per tenere buone quelle, assai più numerose,
dell’Indonesia e delle isole meridionali delle Filippine. Nella sua veste di
responsabile della supervisione della propaganda radio dell’Asse diretta verso
i popoli mussulmani, il Muftì utilizzò spesso le numerose ed efficienti
emittenti radio tedesche, potendo contare, nel 1942, su almeno sei stazioni. Ma
Husseini amava molto parlare anche davanti alle grandi folle. Nel giugno del
1943, a Berlino, in occasione di un’importante adunata nazista, il Muftì lanciò
strali contro la Dichiarazione Balfour, prendendosela, tanto per cambiare, con la
“cospirazione anglo-sassone, massonico-ebraica”. Rivolto agli alti
gradi delle SS presenti, disse: “Il trattato di Versailles non fu
soltanto un disastro per voi tedeschi, ma lo fu anche per il popolo arabo. In
ogni caso, oggi sappiamo come rimettere le cose al loro giusto posto e,
soprattutto, oggi siamo tecnicamente in grado di eliminare dalla faccia della
terra tutti gli israeliti”.
Tra il 1941 e il
1943, il Muftì e i servizi segreti tedeschi inviarono in Marocco, Algeria,
Tunisia, Egitto, Palestina, Siria e Trasgiordania un gran numero di opuscoli e
di altro materiale propagandistico antinglese e soprattutto antisionista. Anche
quando le armate del Reich dovettero abbandonare le steppe russe e
l’Africa settentrionale, arretrando sempre più verso i confini tedeschi,
Husseini continuò a lottare, lanciando messaggi alle popolazioni mediorientali,
africane e addirittura alle minoranze arabe residenti in Asia e negli Stati
Uniti, spronandole a combattere contro il demonio sionista e plutocratico. Il
1° Marzo 1944, nel corso dell’ennesima trasmissione radiofonica, il Muftì ebbe
modo di ribadire il suo immutato odio nei confronti degli israeliti: “Arabi!
Alzatevi come un solo uomo e combattete per i vostri sacrosanti diritti.
Uccidete gli ebrei dovunque li troviate. Ammazzate, e farete cosa gradita da
Allah”. Ma intanto la guerra stava volgendo al termine e le armate di
Hitler ripiegavano su tutti i fronti sotto la pressione delle forze
anglo-americane e sovietiche. Catturato nel tardo aprile del 1945 in un piccolo
paese della Germania occidentale dalle truppe statunitensi, Al Husseini venne
tradotto in un carcere francese da dove, nel 1946, riuscì però ad evadere,
rifugiandosi prima al Cairo e poi a Beirut, in Libano. In questa città egli
dedicherà il resto della sua esistenza ad elaborare piani e strategie
finalizzati alla distruzione della razza ebraica e dello stato di Israele,
dando, con immutata perseveranza e rabbia, il suo sostegno materiale morale a
tutti i nemici del sionismo. Venerato ma ormai messo da parte dai più giovani e
rampanti leader del terrorismo islamico, l’ex Gran Muftì di Gerusalemme Amin al
Husseini morirà nella capitale libanese il 4 luglio 1974.
FINE
1.
Nel corso
della campagna di Russia, i tedeschi ebbero modo di arruolare nelle file del
loro esercito un elevato numero di volontari mussulmani, inquadrandoli in
appositi reparti. Nella fattispecie vennero formati non meno di 10 battaglioni
a cavallo calmucchi; il raggruppamento battaglioni turchi Haroun el Rashid;
nove battaglioni tartari; quattro/sei battaglioni caucasici (formati da
georgiani e azerbaigiani e dell’Abhkazia); una brigata di fanteria cosacca; due
grosse divisioni di cavalleria cosacca del Kuban e del Terek e parecchie
compagnie formate da elementi provenienti da Kazakistan, Turkmenistan,
Usbekistan, Tagikistan e Kirghisistan. L’adesione spontanea di queste minoranze
alla causa nazista derivava in gran parte dalla dura, e spesso spietata,
politica di segregazione etnico-religiosa attuata nel corso degli anni Trenta
dal regime di Stalin.
2.
Già a partire
dal luglio del 1941, la Germania aveva intrapreso l’addestramento di speciali
unità formate da elementi arabi mediorientali e nordafricani. Poco dopo la
fallita rivolta antinglese di Rashid Alì, il Comando dell’Esercito tedesco
diede incarico al generale Hellmuth Felmy di provvedere all’addestramento di un
primo nucleo di combattenti mussulmani. Felmy cercò di inquadrare alcune
centinaia di uomini, costituendo l’845° Battaglione Arabo-Tedesco. I problemi
che Felmy dovette affrontare furono però molti e diversi. A parte l’assoluta
impreparazione militare evidenziata da quel primo nucleo di volontari assai
poco portati alla disciplina, il generale notò ben presto che all’interno della
truppa sussistevano anche diverse fazioni ideologiche. Una parte degli uomini
dell’845° simpatizzavano, infatti, con il partito guidato dal nazionalista
siriano Fauzi Kaikyi, un’altra si dichiarava seguace del partito nazionalista iracheno dell’ex-primo
ministro Rashid Alì, mentre una terza si dichiarava fedele al Gran Muftì di
Gerusalemme. Nell’estate del 1941, il battaglione venne trasferito in Grecia, a
Sounio, una località situata nell’estremo lembo meridionale dell’Attica, dove
avrebbe iniziato il suo ciclo di addestramento. I tedeschi scelsero questa
località sia per motivi climatici che strategici, in quanto essi pensavano di
utilizzare l’unità araba in Africa Settentrionale o in Medio Oriente
(specificatamente in Palestina, Transgiordania, Siria e Iraq). Durante prima la
fase di addestramento, gli istruttori tedeschi (ufficiali che, prima della
guerra, avevano soggiornato a lungo nei paesi arabi o che durante il Primo
Conflitto mondiale avevano prestato servizio in Medio Oriente nelle file dell’Asienkorps
tedesco del generale Erich von Falkenhein) impartirono alle reclute lezioni di
tedesco, insegnando poi ad esse l’uso di svariate armi ed esplosivi. I
risultati ottenuti furono però piuttosto scarsi, in quanto i volontari
mussulmani, molto preparati e determinati sotto il profilo ideologico e
politico, si rivelarono in realtà piuttosto pigri, indisciplinati, disordinati
e scarsamente portati al combattimento moderno. Il 24 luglio 1941, intanto, a
Potsdam, una seconda Unità di Addestramento, la Sonderverband 288,
riuscì a mettere insieme un altro gruppo di volontari mussulmani fedeli al
Muftì, inquadrandoli in uno speciale battaglione da impiegare nella guerra nel
deserto. Terminato il ciclo di addestramento, l’unità, che in realtà non contava
neanche 150 uomini, venne inviata a Bengasi, entrando a fare parte dei reparti
mobili dell’Afrika Korps del generale Erwin Rommel. In Libia, il
battaglione assunse anche la pomposa denominazione di Panzergrenadier
Regiment “Afrika”. Il 26 gennaio 1942, il capitano Schober assunse il
comando del raggruppamento arabo che ricevette anche nuove uniformi colore
sabbia. Sulla manica della giubba spiccava per la prima volta uno stemma di
tessuto che riportava una bandiera rosso, verde, bianca, nera, con impressa la
scritta “Libera Arabia”, sia in arabo che in tedesco. Nell’aprile del
1942, il battaglione contava 133 effettivi. Non si hanno notizie circa
l’impiego operativo di questa unità che venne affiancata da una compagnia
tedesca e da una compagnia formata da ex-legionari francesi fedeli al governo
di Vichy. Ciò che si sa è che 30 elementi considerati i meglio preparati
entrarono in seguito a fare parte di una speciale compagnia guastatori
dell’esercito tedesco, addestrata per compiere incursioni in Ciad e in Egitto,
all’interno delle linee inglesi. Il 4 agosto 1942, grazie anche all’opera
propagandistica del Gran Muftì, il Comando Supremo tedesco formò un terzo
battaglione arabo, la cosiddetta Sonder Verbande 287. L’unità, che venne
addestrata nel campo di Doberitz, era formata da circa 200/300 uomini e
raggruppava diversi elementi tratti dall’845° Battaglione. In occasione della
grande offensiva d’estate scatenata dall’esercito tedesco sul fronte del
Caucaso, il Gran Muftì insistette presso il Comando tedesco affinché almeno un
reparto arabo venisse impiegato in quella regione, abitata in buona parte da
popolazioni di religione mussulmana. E lo stesso Hitler, che in realtà non
aveva mai nutrito eccessiva fiducia nelle capacità militari degli arabi,
ritenne opportuno dare il suo benestare. E fu così che il 21 agosto, il Gruppo
Speciale F (alias Sonder Verbande 287) venne trasferito da Doberitz a
Stalino (Ucraina), entrando a fare parte della 1a Armata Panzer alla quale
sarebbe spettato l’arduo compito di raggiungere e conquistare i grandi campi
petroliferi di Grozny e di Baku e di proseguire poi in direzione della Persia e
della Siria. Verso la metà di settembre, il Battaglione Arabo, adeguatamente
addestrato, armato e rinforzato da elementi tedeschi, venne trasferito nella
zona d’operazioni compresa tra il fiume Kuma e il canale del Manich, andando ad
integrarsi con i reparti tedeschi appartenenti alla 16ma Divisione di Fanteria
Motorizzata che controllava Elista e gli estremi capisaldi orientali situati
nella Steppa dei Calmucchi. Secondo le direttive del Comando supremo, il
battaglione arabo venne poi spostato un po’ più a sud, nella Steppa del Nogay,
per andare a presidiare i nodi di Acikulak e Urozajne. Giunto in questa regione
il reparto arabo venne integrato con diversi elementi locali di religione
mussulmana, e venne attrezzato per andare ad operare all’interno della catena
del Caucaso, assieme alle truppe da montagna della 1a Armata tedesca che, nel
frattempo, avevano ricevuto l’ordine di conquistare tutti gli alti passi
montani e di penetrare in Abhkazia e in Georgia. Obiettivo che tuttavia rimase
sulla carta in quanto, a metà di ottobre del 1942, i russi scatenarono una
poderosa controffensiva, costringendo l’intero Gruppo A dell’Armata Tedesca a
ritirarsi, e con essa anche il reparto arabo. In seguito al ripiegamento, il
battaglione venne sciolto e parte dei suoi componenti optarono per andare a
lavorare nel servizio segreto tedesco. I rimanenti soldati vennero inquadrati
in un piccolo distaccamento acquartierato in Germania. Dopo lo sbarco
anglo-americano in Nord Africa dell’8 novembre 1942, il Gran Muftì chiese al
Comando germanico di impiegare in Tunisia alcuni plotoni tratti dai tre
battaglioni arabi. Nel dicembre dello stesso anno, un centinaio di volontari
arabi, agli ordini di ufficiali tedeschi, venne inviato a Palermo per poi
essere trasferito, nel gennaio del 1943, a Tunisi. Giunto in Africa, il
raggruppamento ricevette una nuova denominazione: “Kommando
Deutsch-Arabischer Truppen” (Commando Truppe arabo-tedesche). Al reparto
vennero affidati compiti di sorveglianza della costa tra Capo Bon e la città di
Susa e di reclutamento di volontari tunisini. Nell’aprile del ‘43, in
concomitanza con le ultime operazioni della campagna, gli arabi vennero dotati
di armamento più moderno e pesante per contrastare le avanzanti forze
anglo-americane. E tra la fine di aprile e i primi di maggio, il gruppo venne
inserito nella Divisione Corazzata “Goering”, partecipando ad alcuni
aspri combattimenti. Il 10 maggio, infine, gli ultimi combattenti battaglione
arabo verranno catturati dagli americani e trasferiti negli Stati Uniti, nel
campo di Opaluka (Alabama), dove rimarranno, in compagnia di altri 1.800 arabi
filo-tedeschi, fino al 10 aprile 1946. I modesti risultati ottenuti
dall’impiego militare di volontari arabi, sconsigliò i tedeschi dal formare
ulteriori, analoghi reparti, anche se, nel corso della seconda metà del 1943,
un centinaio di arabi vennero ancora arruolati dal 1° Reggimento Paracadutisti
tedesco e dallo speciale Gruppo Commando del tenente colonnello Otto Skorzeny.
Con l’approssimarsi della fine della guerra, il Gran Muftì dovette rinunciare
al sogno di costituire un vero Esercito Arabo in divisa tedesca e a limitare la
sua azione alla pura propaganda.
BIBLIOGRAFIA:
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Lefevre, Brandeburg Division commandos of the Reich, Histoire &
Collections, Parigi, 2000.
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James Lucas, Kommando (German Special Forces of
World War Two), Arms and Armour Press, 1985.
Stefano
Fabei, La politica maghrebina del Terzo Reich, Quaderni del Veltro,
Parma.
James
Lucas, L’ultimo anno dell’esercito tedesco maggio 1944 - maggio 1945,
Hobby & Work Italiana Editrice, Milano, 1998
Alberto Rosselli Nato A Genova nel 1955, si è
laureato in scienze politiche, è giornalista e collabora a diverse testate
nazionali, come studioso di storia contemporanea e militare ha scritto diversi
saggi fra i quali “Il Conflitto Anglo-Francese in Nord America 1756-763”
pubblicato dalla casa editrice Erga di Genova, e “I Quaderni Carlo Rosselli”
per la Fondazione Carlo Rosselli di Firenze