comunità genovese a Gibilterra home storia del veleno
il bipartitismo in America
i numerosi tentativi di creare un “terzo
partito”
negli Stati Uniti.
E' in crisi il
tradizionale bipolarismo americano? Nel 1992 il miliardario Ross Perot, con il 19%,
aveva ottenuto il miglior risultato di un terzo candidato presidenziale nel XX
secolo. Nel 1996 lo stesso Ross Perot, pur calando all’8%, aveva comunque
ottenuto un dato assolutamente eccezionale per qualunque paese a
uninominale-presidenziale secco, passando la soglia del 5% che dà diritto a un
rimborsi elettorale. In apparenza, nel 2000 le terze opzioni sembrano essersi
ridimensionate: contro il 48,3% del democratico Gore e il 48,1% del
repubblicano Bush Junior, con l’ex-repubblicano Pat Buchanan il Reform Party
già di di Ross Perot si è ridotto allo 0,4%, alla pari col libertarian
Harry Browne. E anche il verde Ralph Nader, dopo essere arrivato nei sondaggi
fino all’8%, ha dovuto infine fermarsi nel voto reale al 2,6%. Eppure, sono
stati proprio i suoi voti marginali a far perdere a Gore la Florida, e quindi a
permettere a Bush Junior di vincere per aver conquistato più stati, pur con
meno voti popolari. Allontanata nel padre dalla Casa Bianca per colpa del terzo
incomodo Ross Perot, la famiglia Bush ha potuto tornarci col figlio per merito
del terzo incomodo Nader.
In effetti, però, la
tentazione di un terzo partito negli Stati Uniti è antica. L'attuale
contrapposizione risale alle elezioni del 1860, quando Abrahm Lincoln, leader
di un Partito Repubblicano fondato appena 6 anni prima con l'obiettivo
dell'abolizione della schiavitù, battè i democratici, che sempre sulla
questione della schiavitù si erano divisi tra due candidati, nordista e
sudista. E quel voto fu anche l'ultima occasione in cui comparve il partito whig,
che era stato l'antagonista dei democratici dopo il 1832. Prima ancora il
Partito Democratico Repubblicano, antenato dei democratici moderni, si era
contrapposto al Partito Federalista, che in realtà, malgrado il nome, era
piuttosto "centralista".
Dopo il
1860, in effetti, ci fu una volta in cui il bipolarismo
repubblicani-democratici fu infranto: nel 1912, quando Theodore Roosvelt, già
presidente repubblicano tra 1901 e 1908, si ripresentò alla testa di un suo
Partito Progressista contro il presidente in carica William Howard Taft. Che
era stato suo ministro della guerra, e che aveva scelto lui stesso come
successore, ma che ora accusava di aver spostato il partito troppo a destra, su
una linea succube di quei grandi monopoli contro cui lui aveva condotto una
crociata anti-trust. Roosvelt prese il doppio dei voti di Taft, ma la divisione
tra i repubblicani permise solo l'elezione del democratico Woodrow Wilson, che
avrebbe poi portato gli Usa nella prima guerra mondiale. Malgrado il successo,
il Partito Progressista sarebbe durato solo quattro anni, visto che la stessa
sconfitta di Taft aveva spianato la strada per un rientro di Roosvelt. Ma gran
parte dei suoi seguaci della sinistra repubblicana finirono invece con i
democratici, ed è appunto a quest'epoca che si deve la definitiva inversione
dell'originario quadro nel 1860, che aveva visto i repubblicani a sinistra e i
democratici a destra.
L'etichetta di
Partito Progressista fu però riesumata nel 1924 da un antico seguace di
Roosvelt, il senatore del Wisconsin Robert Marion La Follette. Convinto bastian
contrario, era stato l'unico della sua assemblea a votare contro l'ingresso
degli Usa nella prima guerra mondiale. Ricevette 4.831.000 voti popolari, pari
al 16,5%, e conquistò lo Stato del Wisconsin, con i suoi 13 voti nel collegio
di grandi elettori che formalmente designa il presidente. Ma la sua morte,
l'anno dopo, fu anche quella del suo movimento. Una terza reincarnazione il
Partito Progressista l'avrebbe però avuta nel 1948 ad opera di Henry Wallace,
che era stato vice-presidente del democratico Franklin Delano Roosvelt tra 1941
e 1945, e ministro del commercio tra 1945 e 1946. Ma dopo la morte del
presidente, ruppe col suo successore Truman, non condividendo la rottura con
l'Unione Sovietica. E su posizioni filo-sovietiche si presentò appunto alle
successive presidenziali. La Follette aveva avuto l'appoggio del debole
movimento socialista, il cui picco elettorale sono stati i 919.799 voti alle
presidenziali del 1920 (negli anni ’90, è stato eletto un indipendente che si
proclamava “socialista” alla Camera per il Vermont, ma si è poi iscritto al
gruppo democratico). Wallace sarebbe stato ovviamente spalleggiato dai pochi ma
attivi, e come si è scoperto ora abbondantemente finanziati da Mosca, comunisti
americani. Con 1.157.172 voti non avrebbe conquistato però nessun grande
elettore, e l'ultimo Partito Progressista sarebbe morto di morte naturale
intorno al 1957.
Ovviamente, questo il
filo-comunista Henry Wallace non va confuso col razzista George Wallace, il
governatore dell'Alabama che nel 1968 ruppe con i democratici sulla politica di
integrazione razziale e si presentò nel 1968 alla presidenza per un American
Indipendent Party con cui conquistò il 13,5% del voto popolare e ben 46 voti
elettorali, da 5 Stati del Sud. Abbastanza da far perdere il democratico Hubert
Humphrey contro il repubblicano Richard Nixon. Anche questo fu un voto di
svolta, dopo il quale la destra del Sud "assimilò" definitivamente il
cambio di quadro politico che si era avuto tra 1912 e 1932, e passò dai
democratici, partito "sudista" della Guerra di Secessione, alla
"nuova destra" repubblicana. Wallace però tornò coi democratici, e
prima di morire fece anche in tempo a diventare anti-razzista.
Un'effimera candidatura
fu anche nel 1980 quella del repubblicano "liberal" John Anderson
contro Reagan e Carter. Senza grossi exploit alle presidenziali ma con un certo
radicamento nel territorio era stato nel secolo scorso quel curioso movimento
nato nel 1875 come Greenback Party, e fondato in origine da contadini
del West rovinati dalla depressione, che credevano di poter trovare sollievo
dai debiti se si fosse abolita la convertibilità in oro dei biglietti di banca
"dal dorso verde" (greenback). Trasformatosi in seguito in Greenback
and Labor Party ebbe il suo picco nel 1878, con un milione di voti e 14
eletti al Congresso. Entrato in crisi, fu sostituito nel 1891 dal Partito
Populista, che su una piattaforma socialisteggiante arriverà nel 1892 a
conquistare per il suo candidato, James Baird Weaver, un milione di voti e 22
grandi elettorali. Ma morì del suo stesso suuccesso, nel momento in cui i
democratici ne adottarono il programma, finendo così per assorbirlo.
Il Reform Party
di Ross Perot non ha mai conquistato alcun seggio in Congresso. Ma col 19% alle
presidenziali del '92 ha ottenuto il maggior risultato di un terzo partito dopo
il Partito Progressista di Roosvelt, pur riuscendo solo a far vincere Clinton
su Bush. Dopo 9 anni, è anche ormai il terzo partito di maggior durata dai
tempi dei greenbacks-populisti. E non è ormai più un partito personale,
dopo l'elezione a governatore del Minnesota dell'ex-lottatore Jesse Ventura e
le adesioni del miliardario Donald Trump e del leader della destra repubblicana
Pat Buchanan. Sono stati anzi proprio Trump e Buchanan, non Ross Perot, a
correre per la nomination. Ma problema, a questo punto, è stato un terzo
partito per farci cosa, visto che ogni nuovo leader ne portava un'idea diversa.
Se Ross Perot si limitava a contestare le tasse, Jesse Ventura è un libertarian
dottrinario, la cui richiesta di Stato minimo contemplava anche la
liberalizzazione della droga. E mentre Trump puntava a un partito di centro tra
repubblicani e democratici, Buchanan
voleva collocarsi invece stabilmente alla destra dei repubblicani. Incertezze
che hanno finito per compromettere definitivamente l’immagine del movimento.
Che succederebbe se
negli Stati Uniti non ci fosse il sistema uninominale ma il presidenziale? Non
siamo nella pura ucronia, perché in effetti, anche se è poco noto, esperimenti
di adozione del proporzionale vennero fatti in passato da alcuni consigli
comunali, tra cui anche quello di New York, tra 1936 e 1947. Ebbene, nel 1937
ottenero eletti ben cinque partiti: oltre a 13 democratici e 3 repubblicani, ci
furono 2 consiglieri di una lista democratica dissidente, 5 dell’American
Labor Party, sponsorizzato dai sindacati, e 3 City fusionists,
quella che definiremmo una lista civica.
Nel 1941 i partiti rappresentati nel consiglio della “Grande Mela”
divennero sei, con l’aggiunta di un comunista. E nel 1947 passarono a sette,
con la comparsa di una lista dissidente dell’American Labor Party
sostenuta dai sindacati dell’abbigliamento.
Maurizio Stefanini.
Romano, 39 anni, laureato in Scienze Politiche alla Luiss, giornalista
professionista. Collabora con diversi quotidiani e riviste a carattere
nazionale. Ha appena pubblicato, assieme a Giovanni Negri, I Senzapatria.
Avanti rispetto alla politica, indifferenti alla cosa pubblica, stanchi di un
Paese che non funziona. Il romanzo degli italiani fai-da-te per le Edizioni
Ponte alle Grazie. Altri suoi libri: Struttura e organizzazione del Primo
Gruppo Divisioni Alpine, Fidel Castro, Cinque secoli di storia di Timor Est.