Venne
considerata negli anni Settanta uno spontaneo movimento di massa, presentava
connotati profondamente diversi in maniera drammatica.
Per un certo periodo di tempo La Rivoluzione Culturale, o per meglio dire la “rivoluzione totale per l'instaurazione
della cultura della classe lavoratrice” rappresentò
un mito, il tentativo di costruire un comunismo “diverso” e non burocratico.
Venne invece presto dimenticata per i suoi retroscena e le sue componenti che non
potevano conciliarsi con quelle di una sinistra “rivoluzionaria”.
Nel 1958 il regime maoista decise di dare un radicale cambiamento al paese che avrebbe consentito il “Grande Balzo in avanti” e il superamento della Gran Bretagna nel campo siderurgico. Tale cambiamento doveva essere realizzato attraverso un più rigido inquadramento della società, una organizzazione militarizzata del lavoro, e uno spostamento di enormi proporzioni di manodopera dal settore agricolo a quello industriale.
Il risultato di tale operazione fu
la grande carestia degli anni 1959-61, l’impoverimento della società, e la
produzione di massa di beni strumentali inservibili. Massimo responsabile
dell’iniziativa fu il presidente Mao, il Timoniere, che venne contestato da
quella parte più moderata del partito che sosteneva la necessità di un maggiore
equilibrio fra scelte economiche e politiche. Negli anni successivi prevalse
una maggiore moderazione nel campo economico, concedendo ai contadini piccoli
margini di libertà. Tale politica provocò malcontento fra i fedelissimi di Mao,
che aveva dovuto abbandonare la carica di presidente della repubblica, e a metà
degli anni Sessanta si scatenava un grande scontro politico che attraverso il
ricorso ai giovani e successivamente ai militari riportò Mao nell’indiscussa
posizione di leader.
Egualitarismo e sottomissione
dell'individuo alla collettività e allo stato, oltre che il disprezzo della
cultura, furono le principali caratteristiche della rivoluzione culturale. Uno
degli obbiettivi del nuovo movimento era la lotta ai burocrati, ma si deve
ricordare che Peng Te Huai e Liu Shao Chi, principali vittime degli estremisti,
non appartenevano a tale categoria ma furono esponenti di spicco, insieme a
Deng Tsiao Ping, della rivoluzione negli anni precedenti alla istituzione della
repubblica popolare. Secondo Lin Piao, giustamente considerato il massimo
esponente del movimento politico di quegli anni, “La grande rivoluzione
culturale proletaria mira ad eliminare l'ideologia borghese, a radicare l'ideologia
proletaria, a rimodellare l'anima del popolo, ad estirpare le radici del
revisionismo, a consolidare e sviluppare il socialismo”[1]. Ma il maggiore impegno del regime era orientato
verso la creazione di una società disciplinata. Secondo l'ex cancelliere
tedesco Helmut Schmidt la vita sociale e politica cinese risultava
essenzialmente anonima, e al termine della sua visita in quel paese concluse
che “[oltre
alle rappresentazioni teatrali] molte
altre cose non mi sono piaciute: i
rapporti interumani fra le diecimila persone che vivevano nella comune popolare
Stella Rossa, gli altoparlanti che per tutto il giorno frastornavano con i loro
slogan politici i passanti nelle vie principali di Urumqi, l'uniformità
dell'abbigliamento; e mi ha letteralmente scandalizzato la sfrontatezza con cui
l'individualità veniva soffocata”[2].
Vittime principali della grande
mobilitazione furono nuovamente come negli anni Cinquanta gli intellettuali;
scuole, università, centri culturali e librerie vennero chiuse e gran parte del
personale docente e degli studenti vennero inviati al lavoro agricolo nelle
province più remote. Secondo la testimonianza del diplomatico francese Alain
Peyrefitte i corsi di indottrinamento e le discussioni sui luoghi di lavoro che
dovevano sostituire l'insegnamento “neutro” costituirono la ripetizione meccanica e
acritica di slogan politici e la condanna dei comportamenti ritenuti “asociali”
o in contrasto con le direttive superiori. Per i capi della nuova rivoluzione
le discipline scientifiche e le capacità professionali dell'individuo non
avevano alcuna importanza né dal punto di vista speculativo né da quello
pratico o economico; così secondo Radio Pechino l'agricoltura necessitava più
di uomini indottrinati che di esperti, “I raccolti abbondanti” sosteneva l’emittente “non
vengono né dal cielo né dalla terra, ma dal pensiero di Mao Tse Tung”[3]. Tale concezione ebbe effetti fortemente negativi
sull'economia del paese, e favorì una serie di altri fenomeni come la distruzione
del patrimonio storico-artistico e la chiusura totale verso qualsiasi influsso
culturale straniero.
Una descrizione dettagliata della
rivoluzione culturale, dell'attività del movimento delle Guardie Rosse, del loro puritanesimo e della loro xenofobia, è
stata lasciata dal giornalista inglese Paul Johnson: “Le bande di scalmanati che
infestavano le strade afferravano le ragazze con i capelli lunghi, avvolti in
trecce, e li tagliavano; ai ragazzi venivano strappati i pantaloni di foggia
straniera. Ai parrucchieri venne intimato di non tagliare i capelli a coda
d'anatra, ai ristoranti di semplificare i menù, ai negozi di non vendere più
cosmetici, vestiti con gonne a spacco, occhiali da sole, pellicce ed altri
articoli di lusso. Le insegne al neon vennero spaccate. Nelle strade bruciavano
grandi falò di merce proibite... Le Guardie Rosse fecero chiudere sale da tè,
caffè, teatri indipendenti e tutti i ristoranti privati; interruppero
l'attività di suonatori ambulanti, acrobati e attori girovaghi; vietarono matrimoni
e funerali, le passeggiate mano nella mano, e il gioco degli aquiloni”. Tale situazione è confermata in un
comunicato del Quartiere Generale delle Guardie Rosse, in base al quale
venivano proibiti esplicitamente gli articoli da regalo, il commercio di fiori
e pesci rossi, le merci straniere, l'affitto di libri, l'uso delle bare, e gli
studi medici privati; venne combattuta in altri termini “la decadenza e l'oscenità
che avvelenano e corrompono le menti”
come affermò Chiang Ching, la moglie di Mao, che per un certo periodo di tempo
volle dirigere la vita culturale del paese. Un altro elemento emergeva dal
grande movimento di massa, la tendenza ad etichettare gli esseri umani in base
alla loro provenienza, i figli di uomini sospetti e di elementi controrivoluzionari
non potevano essere mai messi alla pari con i figli del popolo. Le
testimonianze di efferatezze compiute in quel periodo sono numerose; molti
accusati erano costretti a percorrere le strade del paese con cartelli sui
quali era scritto frasi tipo “elemento
controrivoluzionario”, “rifiuto umano”, “figlio di cane”, venivano percossi e in alcuni casi
ammazzati, oppure inviati al lavoro forzato. Secondo l'agenzia France Press,
400.000 furono le persone uccise deliberatamente o in seguito ai maltrattamenti
subiti, ma secondo altri autori le vittime furono circa un milione.
Abbastanza interessante è notare
come sostiene Jean-Louis Margolin che “L’immensa energia di quelle decine di
milioni di givani fu puramente distruttrice: quando per brevi periodi è vero,
riuscirono a impadronirsi del potere non se ne fecero assolutamente niente, e
non modificarono in alcun punto di rilievo
i principi base del totalitarismo imperante”.
Molte delle vicende politiche del
paese e della dirigenza politica risentivano delle ambizioni personali di Mao
come messo in luce recentemente dalla grande biografia scritta dal medico
personale del Grande Timoniere, e una
conferma la si può trovare nella involuzione degli scritti di Mao che se nel
periodo di Yenan insisteva sulla umiltà del militante comunista e sul suo
legame con il resto della popolazione, negli scritti successivi prevale il
senso di subordinazione dell'individuo alla collettività e allo stato. Come
molte altre dittature del nostro secolo le restrizioni politiche non colpivano
solo la società ma anche lo stesso partito al potere che cessò nel corso degli
anni di essere luogo di dibattito politico.
Verso l'autunno del '67 il movimento
delle Guardie Rosse si divise in diverse formazioni, portando il paese sull'orlo
del caos e della guerra civile; la dirigenza politica ritenne allora di
utilizzare le forze armate per riportare l'ordine nel paese, e lo stesso Mao
giustificò l'azione militare ricordando che “I soldati non sono altro che operai e
contadini che indossano l'uniforme”.
Lin Piao, ritenuto il numero due del regime, venne accusato di complotto e
trovato morto in un misterioso incidente aereo, mentre molti dei giovani
militanti che non intendevano ubbidire alle nuove direttive vennero inviati,
come in precedenza le loro vittime, al lavoro agricolo nelle province interne
del paese.
Progressivamente
l'ordine venne ristabilito nel paese.
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