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    Paolo Facchinetti "Quando spararono al giro d'Italia" Limina Editore
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    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
       
     
    Il Giro d'Italia del 1946 parte con la tappa Milano-Torino il 15 giugno, tredici giorni dopo il referendum istituzionale e l'elezione dell'Assemblea Costituente, tra speranze di rinascita e i disastri della guerra appena finita. "Ci pigliammo degli illusi, degli arroganti, degli scriteriati, dei matti. Dei poeti, per colmar la misura, essendo la poesia, com'è noto, una tara imperdonabile per chi, invece, dovrebbe ragionar con le suole appiccicate alla terra", scrive Bruno Roghi sulla "Gazzetta dello sport". Ma i fatti dimostrano che gli illusi, i matti e i poeti, tra mille difficoltà, non soltanto riuscirono a portare a buon fine la loro impresa ma poterono anche ridare alla popolazione italiana la sensazione che la vita poteva riprendere, che la corsa rosa stava riunendo la penisola in un unico obiettivo. 
    Ma in questo Giro la tappa simbolo è la Rovigo-Trieste, con il traguardo in quella zona di confine stiracchiata tra Italia e Jugoslavia, in attesa che le potenze che hanno vinto la guerra decidano il suo destino. 
    L'entusiasmo e l'emozione coinvolgono la carovana rosa e soprattutto i corridori della Wilier Triestina, maglie rosso-alabardate, e il suo capitano Giordano Cottur. Trieste attende il Giro in un clima di festa e di gioia. Ma a Pieris un'imboscata ferma i corridori: un lancio di pietre e chiodi, spari e paura, biciclette rotte e feriti. Il Giro si ferma, molti ciclisti non se la sentono di proseguire, l'organizzazione dichiara conclusa la tappa. Ma Cottur nella sua Trieste ci vuole arrivare e con altri 16 compagni, dopo un trasferimento in camion, proseguirà fino alla "Trieste sportiva [che] porge il benvenuto ai girini". Un atto più politico che sportivo, che vuole dimostrare affetto e solidarietà a una popolazione che sta vivendo giorni di grande disagio. 
    È il Giro del "vecchio" Bartali, ormai trentaduenne, di Coppi, ritornato dalla prigionia in Africa, dei giovani Ronconi e Martini, della nascita della "maglia nera" Luigi Malabrocca, un Giro raccontato da Paolo Facchinetti, un poeta affettuoso del ciclismo, attraverso le testimonianze raccolte tra chi ha vissuto quei giorni e, soprattutto, quel giorno, nella tappa di Trieste: Egidio Marangoni, Giordano Cottur, Aldo Ronconi, Vito Ortelli, Luigi Malabrocca e Alfredo Martini. Un Giro che rimarrà nella storia come uno dei più importanti, perché ha contribuito a dare una spinta per ricostruire il Paese e un atto di coraggio, a Trieste, che ha evitato lo scatenarsi di un conflitto politico ed etnico. 
    Paolo Facchinetti, giornalista e scrittore, ancora una volta è riuscito a creare un libro attento, documentato, pieno di entusiasmo e passione, di ciclismo di altri tempi e di ciclisti che hanno meritato di rimanere, con le loro imprese non soltanto sportive, nella memoria di tutti quelli che amano il ciclismo 
           
    gabriella bona 
      
 
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