Jonah Lomu - Warren Adler
"Jonah Lomu" Libreria dello Sport
Commento di
Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Jonah Lomu non è soltanto
un giocatore di rugby: è il più grande, il più conosciuto
e il più amato giocatore di rugby del mondo, è il rugby fatto
persona, è un atleta unico.
La sua vicenda umana ha appassionato
milioni di persone e quando, dopo il trapianto di rene, è tornato
a giocare con i Cardiff Blues, ha dimostrato un coraggio e una forza unici.
Un’infanzia difficile, i problemi
famigliari, soprattutto con il padre alcolizzato, il sofferto inserimento
nella scuola e la scoperta dello sport: da quel momento il rugby ha rappresentato,
per Jonah Lomu, il concetto della vita. Non è stata facile la sua
carriera, ha dovuto faticare per mettersi in luce, per raggiungere quello
che per ogni rugbista neozelandese non è un traguardo ma “il” traguardo:
la maglia nera degli All Blacks.
E di questa squadra famosa in tutto
il mondo, modello di forza, di unione, di vittoria, Lomu è stato
per anni la bandiera. L’haka, il grido di battaglia con il quale i neozelandesi
caricano se stessi e spaventano gli avversari prima delle partite, echeggia
nelle pagine del libro facendoci conoscere un tifo che, sebbene sulla carta,
non può non coinvolgere il lettore.
Warren Adler ha raccolto il racconto
di Lomu seguendolo nella malattia che lo aveva bloccato: “Una settimana
dopo l’inizio del mio lavoro su questo libro, i reni di Jonah Lomu si sono
dovuti arrendere agli attacchi della sindrome nefrotica. Con l’eccezione
di un emozionante viaggio tra le strade di Mangere - dove la malinconia
del racconto di questo grande uomo mi ha profondamente commosso - tutte
le interviste sono state fatte ai piedi del letto di Jonah. Proprio da
lì, tra l’intreccio dei tubi e l’incessante ronzio della macchina
per la dialisi, Jonah Lomu ha voluto raccontare la sua storia”.
Una storia di pallone ovale, di
persone che sono state importanti nella sua carriera, di amori e di dolori
ma soprattutto di un coraggio e di una determinazione a non arrendersi
che è quasi incredibile.
Il libro si conclude prima dell’operazione
di trapianto: “Ovviamente il mio futuro rugbistico rimane incerto. Ho da
poco scoperto che esiste un’altra procedura per il trapianto di reni. È
un’operazione un po’ più invasiva di quella normale; invece di lasciare
il nuovo rene esposto, lo si piazza più in alto, in pratica sopra
uno dei reni esistenti. Grazie alle costole è più protetto,
dà più tranquillità ai medici e al paziente. Se dovessi
riuscire a trovare un rene, se la neuropatia fosse reversibile, se le mie
condizioni fisiche dovessero tornare ottime, allora proverei ad avere un
altra chance nel rugby. È vero, i se sono molti, ma il rugby è
ancora la mia vita. Nel 2007, l’anno della Coppa del Mondo, avrò
32 anni. Amo il rugby e amo Parigi. Poi non dite che non vi avevo avvisati”.
Oggi sappiamo che è possibile
e tutto il mondo del rugby non può che esserne entusiasta.
gabriella bona
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