Le recensioni on line di Gabriella
 
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    A cura di Jennifer Burns e Loredana Polezzi "Borderlines - migrazioni e identità nel novecento"
    Cosmo Iannone Editore 
     
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
      
      
    Molto spesso, come scrivono le curatrice, “il tradizionale approccio che vede i tre fenomeni (emigrazione, migrazione interna, immigrazione) come essenzialmente separati e distinti, tende a rivelarsi riduttivo ed a compartimentizzare esperienze che hanno invece frequenti punti in comune”. Raccogliendo nel volume gli scritti di Sergia Adamo, Clementina Sandra Ammendola, Jennifer Burns, Lorenzo Chiesa, Derek Duncan, Federico Faloppa, Deborah Holmes, Alessandra Masolini, Sante Matteo, Vincenzo Minutella, Catherine O’Rawe, Luisa Percopo, Kerstin Pilz, Loredana Polezzi, Susanna Scarparo, Stefania Taviano, James Walker e Kirsten Wolfs, le loro storie di migrazione e l’approfondimento attraverso studi, letteratura, poesia, cinema, è stato possibile far emergere un universo migratorio pieno di sfaccettature e di aspetti interessanti, nascosti, dimenticati. 
    L’Italia ha vissuto, nell’arco del ventesimo secolo, una grande storia di emigrazione, con quasi ventisei milioni di persone partite per l’estero e nella sola Argentina, come sottolinea Sandra Ammendola, scrittrice reimmigrata, si stima che vivano 15 milioni di persone italiane o di origine italiana. Molti sono stati i motivi che hanno creato “esuli politici, economici, sociali”. Più o meno gli stessi che oggi portano stranieri nel nostro paese e vedono il ritorno dei discendenti di emigrati del secolo scorso e della fine dell’Ottocento. 
    L’Italia, scrive James Walker, “posta simbolicamente fra il Medio Oriente e l’Occidente, tra i Nord industrializzati del mondo e I Sud cosiddetti sottosviluppati […] diventa una sorta di terra di mezzo […] un Medio Occidente” con tutte le contraddizioni che questa collocazione crea. 
    Viviamo tra emigrazione e immigrazione, migrazioni interne e colonialismo, reimmigrazione ed esilio; tra dimenticanza del nostro passato emigratorio e disprezzo e sfruttamento verso chi arriva soprattutto dai paesi più poveri, dimenticando che, come scrive Sergia Adamo, “ogni flusso migratorio risponde sempre, prima di tutto, a precise esigenze della società ricevente”; dimostrando insofferenza e ostilità verso quel ricreare il proprio paese all’estero che ritroviamo nelle nostre città e che è così simile alle Little Italy di cui abbiamo riempito il mondo, in bilico tra il ricordo e una difficile integrazione. 
    In questo contesto diventa particolarmente interessante il lavoro, riportato da Federico Faloppa, del laboratorio di scrittura che si è svolto a Torino nel 2001, organizzato dall’associazione culturale “Parole MOLEste”, dove persone di diverse regioni e nazioni, lingue e professioni, ha coinvolto le periferie della città nella realizzazione di un romanzo (Piovono storie, Fernandel), una sceneggiatura cinematografica, una mostra fotografica e un video che “non ha fuso gli autori in un’unica voce, ma ha fatto proliferare le voci per creare il coro di una moltitudine”. 
    Se, come scrivono le curatrici, “l’esperienza della migrazione rimane tradizionalmente marginale nella costruzione dell’identità ufficiale della nazione”, non potrà che derivarne un impoverimento per quelli che se ne vanno, per quelli che arrivano e per quelli che rimangono. 
           
    gabriella bona 
      
 
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