Le recensioni on line di Gabriella
 
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    Dougie & Eddy Brimson "Derby days" Libreria dello Sport
    Valerio Marchi "Il derby del bambino morto" DeriveApprodi
     
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
       
    Dopo “Follie da stadio” – definito dal Daily Mail “probabilmente il miglior libro mai scritto sulla violenza nel calcio” e “England, My England” – commentato da Sky Sports Magazine come “semplicemente fantastico” -, arriva in Italia “Derby days”, pubblicato dalla Libreria dello Sport, il terzo libro di Dougie e Eddy Brimson, i più autorevoli autori sul fenomeno hooligan. 
    Profondi conoscitori del tifo inglese, dei gruppi che lo compongono, dei meccanismi e delle logiche con cui vengono preparate le partite, in casa e in trasferta, per culminare nella data più importante, quella del derby, i fratelli Brimson hanno, negli anni, cambiato il loro atteggiamento, proponendo novità che hanno saputo attirare grandi simpatie e profondi rifiuti. “Organizzare una campagna mirata a sottrarre il mondo del calcio da ogni forma di intimidazione – inclusa quella fisica, offensiva e razzista” è un’impresa notevole in una realtà come quella che “Derby days” ci racconta, fatta di tifoserie contrapposte e spesso violente, di rancori che si protraggono da decenni, di agguati, fughe, risse, feriti, durante, prima e dopo lo svolgimento dei derby tra le principali squadre inglesi ma anche tra quelle squadre piccole ma non meno “orgogliose” dei propri colori, desiderose di raggiungere o ribadire la supremazia sulla rivale. 
    Posizioni come quella di sostenere che campagne come “Dai un calcio al razzismo” non hanno più senso perché “siamo stati bombardati a raffica e il tifoso medio è diventato quasi immune al messaggio antirazzista” non significa che si sono messi dalla parte di chi pratica il razzismo (anche se di questo sono stati accusati) ma che ritengono che un messaggio, per essere recepito deve avere caratteristiche che, in questo caso, si sono ormai perse. Propongono gemellaggi tra squadre avversarie e l’esperimento del 1997 tra Watford e Barnet ha rappresentato l’inizio della loro iniziativa. Il loro sarà un lavoro lungo ma hanno deciso di percorrere forse l’unica strada che può portare a vivere il calcio come una sfida gioiosa e giocosa fuori da una logica di violenza e di scontri. 

    In Italia, a Roma, il 21 marzo 2004, durante il derby Lazio-Roma, in un clima “frutto della storica mediocrità delle due società, della supremazia cittadina vissuta come unico traguardo raggiungibile in stagioni spesso fallimentari […] e che si dibattono in una situazione economica difficilissima”, scontri con le forze dell’ordine si sviluppano davanti e dentro allo stadio. Quando si diffonde la notizia che un bambino è stato ucciso dalla polizia la tensione raggiunge l’apice e la richiesta della sospensione della partita è sentito come un dovere da parte di entrambe le tifoserie. Vengono ritirati gli striscioni, tre giovani entrano in campo e la partita è interrotta. Se il sistema-calcio non ha voluto interrompere il gioco l’11 settembre 2001, dopo l’attentato a New York, o l’11 marzo 2004, data dell’attentato a Madrid, i “teppisti della curva”, come li definiranno forze dell’ordine e giornali, hanno saputo fermarlo, dimostrando, come scrive l’autore che “nelle gradinate risiede l’ormai unica componente del sistema-calcio dotata di senso etico e morale”. 
    Il derby del bambino morto offre a Valerio Marchi, studioso del conflitto giovanile e autore di diversi saggi, l’occasione per raccontare non soltanto l’evoluzione del tifo ma anche quello delle società, sempre più alla deriva tra scandali, doping, TV e cinismo. Ricostruisce il percorso della repressione negli ultimi decenni, sottolinea le incongruenze delle leggi che regolano l’ordine pubblico, la disinformazione e il servilismo che spesso manifestano giornali e televisioni. “Il derby del bambino morto” è scritto da un tifoso, dalla parte dei tifosi e ha il grande pregio di superare quell’atteggiamento asettico che contraddistingue i saggi sull’argomento letti finora. 
           
    gabriella bona 
      


 
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