Mauro Barletta "Il
calcio in farmacia" Edizioni Lindau
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Per anni l’Italia ha avuto leggi,
ha firmato trattati internazionali sul doping, per anni ha presentato statistiche
e documenti in cui la nostra nazione è apparsa come una delle meno
coinvolte nel mondo nel fenomeno doping.
Poi è arrivato il 1998, l’anno
che ha segnato un confine importante nella storia dello sport farmacologicamente
truccato. In quell’anno alcuni avvenimenti proiettarono il fenomeno sulle
prime pagine dei giornali e non soltanto di quelli sportivi: l’arresto
del massaggiatore di un’importante squadra francese al Tour de France,
il malore di Ronaldo ai campionati del mondo di calcio in Francia, la dichiarazione
di Zeman: “il calcio deve uscire dalle farmacie” e lo scandalo del laboratorio
analisi dell’Acqua Acetosa, l’unico in Italia autorizzato a predisporre
i controlli antidoping per il Coni e dove le provette erano controllate
poco e male, dal quale era sparita la documentazione, fino alla sua chiusura.
Un insieme di fatti che attirò l’attenzione non soltanto del pubblico
ma anche della magistratura, soprattutto di quella torinese.
Il processo alla Juventus e alla
sua sterminata farmacia viene ricostruito e raccontato nel libro di Mauro
Barletta, giornalista Ansa, che ci propone interviste, atti processuali,
elenchi di sostanze e che, come scrive Marco Travaglio nella prefazione:
“non lascia spazio alle interpretazioni, alle illazioni, alle opinioni.
Mette il lettore dinanzi alla realtà, che è sempre cruda
e impietosa”. Un processo che coinvolge anche altre squadre, giocatori
del passato oggi malati o morti e sulle cui malattie c’è l’ombra
del doping, che sottolinea la leggerezza con la quale vengono usati farmaci
e parole: gli uni dati a piene mani per aumentare le capacità fisiche
e per recuperare velocemente i calciatori stanche o infortunati; le seconde
per coprire e giustificare l’uso dei farmaci, per creare confusione, per
create sottili distinguo tra uso, abuso, largo uso, uso improprio di farmaci.
Il mondo del calcio ha tentato di
difendersi, gli interrogatori sono stati pieni di “non so”, “non ricordo”
ma gli atti dei magistrati torinesi sono chiari, il loro lavoro parte da
considerazioni tanto semplici quanto intelligenti: “o si è sani
o si è malati” e se si è malati ci si cura, con le terapie
adatte, non nascondendo il dolore con dosi massicce di farmaci perché
l’atleta possa continuare a giocare, non si può fare della terapia
antidolorifica preventiva perché non si senta dolore durante lo
svolgimento del gioco, non si possono usare farmaci impropriamente mettendo
a repentaglio la salute e la vita dei giocatori. Un discorso semplice:
allora perché è così difficile applicarlo; perché,
come ricorda Barletta a fine capitolo, i parlamentari “divisi su qualsiasi
questione, dalle quote latte al taglio delle tasse” sono riusciti a trovarsi
insieme, in base alla sola fede calcistica, per chiedere al ministro della
Giustizia ad avviare un’inchiesta a carico del magistrato torinese Casalbore
e del professor D’Onofrio che aveva accusato la Juventus di uso di Epo?
gabriella bona
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