Giorgio Morale "Paulu Piulu"
Manni Editori
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
“Paolo ha una bussola per la memoria
dell’infanzia: sono gli spazi in cui ha vissuto, le case e le strade; ognuno
reca impressa una data. Una porta, una finestra, una lampadina su cui si
sono posati lungamente i suoi sguardi” e in questa memoria “si immerge
come un palombaro, per trarne fuori inattesi reperti”: troviamo il racconto
di un’infanzia in Sicilia, la famiglia, Avola e la sua periferia, la fabbrica
di mattoni dove lavora il padre e dove la famiglia vive, gli anni ’50 in
cui è nato e la lenta trasformazione del mondo che corre parallela
alla crescita di Paolo nelle pagine di Giorgio Morale, nato ad Avola nel
1954 e trasferitosi a Milano dal 1972 dove insegna lettere negli istituti
di istruzione secondaria.
La filastrocca, la sua filastrocca,
che un operaio gli ripeteva, cominciava con le parole “Paulu piulu”, i
giochi, la povertà, l’emigrazione, il collegio, i compagni e poi
la natura, l’orto, il giardino, la giostra delle stagioni che si susseguono
e che accompagnano le novità, la fatica della crescita, la scoperta
del mondo che lo circonda: Morale riesce a darci, con una scrittura piena
di emozione, il quadro di un mondo che cambia lentamente visto attraverso
gli occhi, i dubbi, i sentimenti di un bambino. Odia i soldi, Paolo, perché
sono i protagonisti di tutti i litigi tra i suoi genitori e sogna di bruciarli,
di distruggerli, perché non siano più causa di dispiaceri.
Poi, pian piano scoprirà che cos’è la povertà e che
cosa sarà necessario per superarla. Sono i sogni e i suoni, i profumi
e i giochi, le gioie e le delusioni, i nonni e gli zii, la fabbrica e la
Germania in cui emigrano i genitori, le cicale e le pozzanghere, i compagni
di gioco e di scuola, i protagonisti di Paulu Piulu, disegnati con pennellate
piene di colore e di tristezza, verso un mondo lontano nel tempo e nello
spazio, nel quale è sempre doloroso tornare ma che rappresenta un
viaggio obbligato, a cui non è possibile sottrarsi, perché
è il viaggio nel paesaggio che lo ha visto crescere, in cui si è
formato l’adulto.
Il racconto scorre rapido tra i
brevi paragrafi, in uno stile asciutto che permette di apprezzare sentimenti
semplici e ragionamenti infantili sullo sfondo di una società contadina
e meridionale che sta ormai scomparendo e che soltanto i ricordi possono
mantenere viva.
gabriella bona
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