Daniel Esteban Pittuelli
"Né oblio né perdono" Edizioni Ega
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
“Il golpe militare del marzo del
1976 era avvenuto pochi giorni prima e stavano militarizzando il paese”
quando Daniel Pittuelli e la moglie Estela vennero arrestati dalla polizia
argentina e reclusi. Il piccolo Adrián di un anno e mezzo e la nonna
rimasero a guardare senza poter fare niente. Estela era incinta e avrebbe
partorito in carcere, la polizia cercava un ciclostile che non riuscì
a trovare ma l’attività sindacale di Daniel e l’accusa di essere
il responsabile culturale dei Montoneros furono sufficienti. In quegli
anni furono molti gli arresti, le morti, le torture che non avevano un
motivo o motivi futili, inventati.
Inizia un periodo doloroso, assurdo,
di ingiustificata violenza, dal 2 aprile del 1976 al 7 settembre 1979,
giorno in cui Daniel, grazie alle sue origini italiane, poté salire
su un aereo diretto nel nostro paese, per ricominciare una vita in libertà.
Tre anni e mezzo vissuti tra la centrale di polizia di Córdoba,
il carcere di Sierra Chica e l’ultimo periodo trascorso nel carcere di
La Plata. Violenze, percosse, interrogatori, l’assenza di contatti con
l’esterno, i compagni morti, il bisogno di “trovare delle difese di fronte
a questi due nemici: il tempo e gli affetti”, perché un tempo di
detenzione che non si sa quanto potrà durare e i propri cari lontani
sono un dolore troppo grande.
I mesi trascorrono tra un trasferimento
e l’altro, tra vari carceri e, all’interno di ognuno, tra celle e settori,
sempre con la fatica di riorganizzare la propria vita, abituandosi ora
alla convivenza con molte persone in poco spazio, ora all’assoluta solitudine
e rendendosi conto che anche questo fa parte della pena, è una nuova
forma di tortura. La fatica di sopravvivere in quelle condizioni, la ricerca
di occupazioni, come i corsi che ognuno riesce a tenere sulle materie che
conosce meglio, sono un modo per far passare il tempo e riuscire a pensare
a qualche cosa di diverso dal dramma che l’Argentina sta attraversando.
Daniel è ancora in carcere nel 1978, quando si svolgono i Mondiali
di calcio, vissuti tra l’odio verso i dittatori che sperano di vincere
per sfruttare la conquista della Coppa del Mondo a loro favore e le urla
di gioia che segnano ogni gol, raccontato dalla radio sparata a tutto volume
nel cortile del carcere. La dittatura tenta di dividere, di creare anche
all’interno del carcere odi e ostilità, un mondo “pieno di sospettosi
e sospettati”: “volevano dividere gli uni dagli altri, usando le eterne
armi della repressione: la paura, la delazione e il ricatto”, usando ogni
occasione e ogni strumento.
Oggi Pittuelli vive in Italia, a
Torino, e in Argentina è tornato nel 2002, “a un anno dai gravi
scontri e dai cambiamenti che hanno sconvolto la società argentina”
alla fine del 2001: una débâcle che affonda le sue radici
in quel periodo, nella dittatura caduta soltanto nel 1983, nei nodi che
da allora non sono ancora stati sciolti e il suo libro è stato scritto
“in ricordo delle vittime e per la vergogna dei loro carnefici”, perché
il mondo sappia che cosa può succedere e possa impegnarsi perché
non succeda mai più, nunca más.
gabriella bona
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