Paolo Facchinetti "Gli anni
ruggenti di Alfonsina Strada" Edizioni Ediciclo
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Il ventesimo secolo è stato
caratterizzato dalle lotte delle donne per il diritto al voto, al lavoro,
alla parità salariale e da una lenta ma incredibile emancipazione
femminile. Alfonsina Strada, nata nel 1891, portò avanti, da sola,
la battaglia per il diritto femminile a correre in bicicletta. E lo seppe
fare con coraggio, passione, tenacia e il desiderio di venire “apprezzata
per la sua fatica concreta, la sua forza fisica e morale”.
“La matta” la chiamavano al suo
paese, in Emilia, per il suo desiderio, fin da ragazzina di correre, di
gareggiare. Le sue vittorie – “un giorno aveva vinto e con enorme orgoglio
aveva portato a casa il premio: un maiale vivo” – finirono per crearle
attorno ancora più diffidenza e difficoltà. Allora, nel 1907,
a sedici anni, se ne andò a Torino, dove c’erano già diverse
cicliste e una donna in bicicletta non era così scandalosa e nel
1909, riuscì ad andare fino in Russia, dove incantò con la
sua bravura lo zar e la zarina.
Ha trascorso tutta la sua vita su
una bicicletta, stabilendo tra l’altro un record dell’ora che avrebbe detenuto
dal 1911 al 1937, riuscendo a partecipare a due edizioni del Giro di Lombardia
(ultima nel 1917 e penultima nel 1918 ma sempre al traguardo: nel 1917
arrivarono 32 dei 54 partiti e nel 1918 22 su 36). Ma l’impresa più
clamorosa della sua carriera è stato il Giro d’Italia del 1924:
accettata dagli organizzatori per dare risalto a una edizione sottotono
per la mancanza di grandi campioni, la Strada riuscì a percorrere
tutti i 3613 chilometri previsti, suddivisi in dodici tappe, la più
lunga una Bologna-Fiume di 415 chilometri (e se teniamo conto dello stato
delle strade, delle biciclette e dell’abbigliamento sportivo dell’epoca
sembra un vero miracolo!), finendo fuori tempo massimo (ma l’organizzazione
permise a lei e ad altri due corridori di concludere – fuori classifica
– il Giro fino a Milano) soltanto alla decima tappa. In quel Giro partirono
in 90, soltanto 30, più i tre fuori classifica, arrivarono a Milano.
Incidenti di ogni tipo (nell’ottava tappa ruppe il manubrio e arrivò
al traguardo con le mani strette su un manico di scopa gentilmente offerto
da una signora incontrata sul percorso), cadute, forature, insulti e derisioni
non riuscirono a farla cedere: il suo entusiasmo e gli applausi che con
l’andare dei giorni crescevano intorno a lei la aiutarono fino alla fine.
Al ritorno dei campioni il suo contributo
non fu più ritenuto necessario ma continuò a correre, a partecipare
a moltissime gare su pista, poi iniziò a esibirsi in teatri e anche
in circhi ma sempre su una bicicletta, aprì un laboratorio e allenò
giovani che si affacciavano al mondo del ciclismo.
In carriera trentasei vittorie;
nella vita una battaglia femminista “vinta soltanto in parte. Fabiana Luperini
che alla fine del Novecento ha trionfato in quattro Giri d’Italia e tre
Tour, essendo donna non ha trovato riscontri adeguati alle dimensioni delle
sue imprese”.
Facchinetti, giornalista, scrittore
e appassionato di ricerca storica nell’ambito dello sport, ci porta con
attenzione e sensibilità su strade dissestate, tra gare massacranti,
riscoprendo e facendoci conoscere una delle figure più belle ed
entusiasmanti del ciclismo nostrano.
gabriella bona
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