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    Giacomo Papi "Accusare - Storia del Novecento in 366 foto segnaletiche" Isbn Edizioni 
     
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
       
      
    “Nei 156 anni di storia che vanno dallo sguardo della prostituta di Birmingham agli occhi abbassati di Enzo Baldoni, centinaia di migliaia di persone hanno interessato la storia ufficiale, e le istituzioni che hanno il compito di registrarla, soltanto nell’istante del loro arresto”: attraverso una selezione accurata di tutto il materiale disponibile, si dipana la storia della schedatura fotografica registrata in Accusare. 
    L’invenzione di Louis Daguerre, che nel 1839 riuscì per la prima volta a fissare le immagini fotografiche, “rappresentò, già al suo primo apparire, una potente e magica alleata delle polizie europee impegnate […] a imporre un ordine al caos”, senza tener conto che l’imponente mole di documentazione prodotta avrebbe avuto poca utilità pratica. Infatti, “sono pochissimi i casi in cui la polizia sia riuscita a individuare il colpevole attraverso la fotografia segnaletica del pregiudicato. E appaiono statisticamente trascurabili anche i casi in cui il manifesto ‘Wanted’ abbia effettivamente condotto alla cattura del ricercato […] Sono in compenso numerosi i casi di innocenti segnalati, e condannati, grazie a esso”. 
    Attraverso il rapporto creatosi nell’arco di pochi decenni tra la persona e il proprio ritratto, le mutazioni di atteggiamento rispetto alla pubblicazione della propria immagine, si creano condizioni diverse che tendono a ridurre il ruolo delle fotografie segnaletiche, da novella berlina a modo per acquisire un ruolo pubblico, talvolta “eroe, mito, esempio, volto fuori dalla folla”. Come scrive Susan Sontag in Sulla fotografia, “fotografare significa conferire importanza”. 
    Scorrendo le pagine del libro di Papi troviamo gli oppositori politici, tra cui Martin Luther King, Malcolm X, Gramsci, Pertini, Togliatti, Angela Davis, Sacco e Vanzetti, i regicidi, Gaetano Bresci, Lee Harvey Oswald, terroristi italiani e tedeschi, e poi mafiosi, come Riina, Badalamenti, Genovese, assassini, serial killer, attori e cantanti famosi spesso incriminati per detenzione di sostanze stupefacenti o guida senza patente, gli internati nei campi di concentramento nazisti, fino agli ultimi tempi, con i sospetti terroristi islamici e Saddam Hussein. Incontri strani, tra persone la cui unica affinità è di essere state fotografate da chi ha in mano il potere, dimostrando come dipenda dai tempi e dalle condizioni storiche il concetto di reato, di crimine e che, come sosteneva John Fitzgerald Kennedy, “ogni società produce il tipo di criminale di cui ha bisogno”. 
      
    gabriella bona 
   
 
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