Edoardo Crisafulli "Igiene
verbale" Vallecchi Editore
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
“Il politicamente corretto ha questa
caratteristica: che preso sul serio è noiosissimo, ma nello stesso
tempo, se ci si vuole divertire, è spassosissimo. È una sorta
di baraccopoli lessicale, una bidonville dove il senso comune si perde
e il buonsenso scappa per i vicoli”: con queste parole Stefano Di Michele
introduce “Igiene verbale”, il libro in cui Edoardo Crisafulli analizza
il “politically correct” o Lgm, linguaggio geneticamente modificato, come
Di Michele lo definisce.
Nato negli Stati Uniti, il PC (politically
correct) è presto attecchito anche in altri paesi occidentali in
una “sagra dell’ipocrisia” che ha coinvolto intellettuali di destra e di
sinistra, anche se per motivi diversi, e superando ogni precedente schieramento.
Chiamare con termini come “conflitto”,
“intervento”, “azione di polizia” quello che è e rimane una guerra,
non toglie nulla alla sua violenza; i morti che provoca, la distruzione
di case, scuole, strade, monumenti storici, anche chiamandoli “danni collaterali”
rimangono morte e distruzione.
Né si allevierà la
sorte di un detenuto definendolo “cliente del sistema penitenziario” né
di un nano chiamandolo “persona verticalmente svantaggiata”; non saranno
superati il razzismo, il maschilismo, l’omofobia, la povertà, sostituendo
le parole ma affrontando le ingiustizie, i pregiudizi, una struttura sociale
che permette che esistano persone di serie A e di serie B.
Un linguaggio nuovo, inventato dall’Occidente,
che “autorevoli esponenti dell’establishment americano hanno accolto con
entusiasmo […] perché non scalfisce minimamente il granito del potere
costituito”, nasconde la mancanza di volontà, e talvolta l’incapacità,
di affrontare un mondo in continuo cambiamento, in cui i soggetti sociali
chiedono opportunità e riconoscimento, non nuove etichette appiccicate
su vecchie ingiustizie.
Un linguaggio che utilizza l’eufemismo
“‘pulizia etnica’ per denunciare le politiche del dittatore serbo Milosevic
nei balcani [ma non] per descrivere la conquista delle Americhe da parte
degli spagnoli o la triste storia del colonialismo europeo in Africa e
in Asia” è lo specchio di una realtà che non può che
fomentare i conflitti in atto e crearne di nuovi.
Il tentativo di assimilazione al
modello dominante, la negazione delle diversità, il tentativo di
omologazione a una cultura sedicente superiore hanno portato alla chiusura,
al rifiuto, al riaccendersi di fondamentalismi.
Il PC rivela un rifiuto verso quell’“incrocio
tra culture diverse [che] produce benessere e fa progredire l’umanità”,
tende a “far scomparire tutto nel gran calderone dell’omologazione”.
Non è soltanto una questione
di parole ma di situazioni concrete: come ci ricorda ancora Stefano Di
Michele, “il politicamente corretto […] non cancella alcun dolore, ne cambia
il nome e lo fa finire in un angolo buio. Ma se al dolore e alla discriminazione,
alla ferocia e alla stupidità, non diamo il loro vero nome, finiremo
per non riconoscerli più”.
gabriella bona
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