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    Paolo Familiari "Un urlo oltre la meta" Scritturapura Editore
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
         
      
    Entusiasmo, fiducia in sé e negli altri, amore per lo sport, capacità di coinvolgere: un cocktail micidiale in grado di abbattere barriere, di aiutare a superare ogni sorta di ostacoli, di portare un sorriso dove nulla sembrava poterci riuscire. 
    È la ricetta di Paolo Familiari, il mundelè (uomo bianco) che nella citè, la parte più povera e abbandonata diPointe Noire, nella Repubblica del Congo, riesce a riunire una squadra di piccoli rugbisti e a farli gioire come mai nessuno avrebbe pensato possibile in quella zona dimenticata. 
    Paolo è un ex rugbista, ha giocato in varie formazioni italiane – Treviso, Novara, Parma, Piacenza e Milano – e non ha mai abbandonato l’amore per il pallone ovale, neppure quando ha smesso di giocare e si è trasferito in Africa, con la famiglia, per lavorare all’ENI. Ed è rimasto un rugbista nella testa, nel modo di fare sicuro e deciso: le difficoltà si affrontano, quando la situazione sembra scappare le si corre dietro, la si placca, si tenta di riprendere in mano il pallone per portarlo oltre la meta. Una meta fisica o metaforica, l’importante è arrivarci, perché è così che si vince, nel gioco come nella vita. E qui vittoria vuol dire poter portare sedici bambini congolesi al prestigioso Trofeo Topolino organizzato alla Ghirada di Treviso dalla Benetton. 
    “Era giunto il momento di lottare, di affrontare qualsiasi difficoltà per insegnare a questi bambini che i sogni esistono e che si possono raggiungere!”: bambini che arrivano al campo da gioco a piedi, senza scarpe, dopo aver percorso chilometri, per poter giocare, perché hanno trovato una persona che crede in loro, che è convinta che “in Africa la cosa più importante che puoi offrire non sono i soldi, né gli aiuti materiali […] Quello che ognuno di noi può davvero donare [è] la capacità di SOGNARE”. 
    “Chiamai i bambini intorno a me e chiesi quale fosse il loro desiderio più grande. Molti non capivano che cosa intendessi dire, i più non capivano neppure la parola ‘desiderio’!” 
    Ma Paolo Familiari, dopo aver affrontato ogni sorta di difficoltà – dalla mancanza di documenti ufficiali di nascita o di genitori vivi o reperibili, gli ostacoli messi dalle autorità locali alla concessione dei passaporti, l’assenza quasi totale di abbigliamento per poter viaggiare – è riuscito ad arrivare in Italia, a far giocare i suoi ragazzini (molti, in quelle partite sui bellissimi prati della Ghirada, era la prima volta che indossavano un paio di scarpe) che non avevano mai giocato una vera partita e a raccoglierli in lacrime, imbattuti per tutto il torneo, perché qualche pareggio di troppo li aveva relegati al quattordicesimo posto su 52 squadre presenti! 
    I più piccoli, quelle gambine nere e sottili, sono riusciti a sconfiggere squadre di bambini nutriti e allenati: il cuore, il coraggio, la bandiera congolese, quel nome “Congalie” che riassume il Congo e l’Italia, sono riusciti nella realizzazione di quella che è una vera impresa. 
    Ma è quasi un “miracolo” quello che è riuscito a portare a termine Familiari, perché nel viaggio in Italia i ragazzini non hanno soltanto giocato il torneo di Treviso ma sono stati in visita dal Papa, a Trigoria a conoscere i campioni della Roma Calcio, all’Università di Padova e a Piacenza, a conoscere i calciatori della squadra di calcio e a giocare un altro torneo. Da solo non ce l’avrebbe mai fatta, ma la capacità di coinvolgere chiunque è la dote principale di Paolo Familiari: lo hanno aiutato squadre di rugby e di calcio, giornalisti, comuni, la stessa ENI che non soltanto gli ha concesso i permessi necessari per permettere l’avventura ma lo ha supportato in ogni modo, ditte che hanno contribuito al vestiario, al costo del viaggio e degli alberghi, di tutte quelle persone che, con un passaparola veramente incredibile hanno permesso un insperato successo, anche in termini facilmente misurabili: i doni con cui la spedizione è tornata in Africa pesavano 700 chili! 
    Adesso Familiari ha deciso di andare oltre: non soltanto vuole tornare il prossimo anno in Italia ma ha anche lanciato un progetto di adozioni a distanza. “Andare su Marte” permetterà ai bambini della citè di frequentare una scuola privata, di andar a scuola per almeno tre anni, di non dover frequentare quelle pubbliche con “classi da 150-200 bambini di differenti età, senza lavagne, libri, quaderni.” Quelli fortunati, perché “gli altri restano a casa perché le loro famiglie non si potevano permettere neanche 3 euro al mese”. 
    Andare su Marte, perché sulla luna ci sono già andati e a Paolo piace andare oltre! 
       
    gabriella bona 
   
 
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