Luciano Gallino "Il costo
umano della flessibilità" Edizione Laterza
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
“Da una decina d’anni, gran numero
di enti e personaggi autorevoli chiedono ogni giorno che sia accresciuta
la flessibilità del lavoro”, dall’OCSE al Fondo monetario internazionale,
dal Governatore della Banca d’Italia ai presidenti della Confindustria,
adducendo argomenti di varia natura: dalla necessità di “poter impiegare
esattamente la quantità di forza lavoro retribuita che è
necessaria alla produzione di un certo bene o servizio in un dato periodo”
ad un presunto aumento dell’occupazione che deriverebbe dalla flessibilità.
In realtà le varie forme
di flessibilità, dal lavoro interinale al part time ai contratti
di formazione lavoro, secondo Luciano Gallino, ordinario di sociologia
all’Università di Torino, sono un attacco generalizzato al diritto
al lavoro; frammentano le classi lavoratrici e le loro forme associative;
favoriscono la deresponsabilizzazione delle imprese; introducono nel mercato
del lavoro il principio del numero chiuso; mettono in secondo piano temi
fondamentali come quelli dell’attività di ricerca; comportano rilevanti
oneri personali e sociali a carico dell’individuo, della famiglia e della
comunità.
All’inizio del 2001, in Italia,
i lavoratori “flessibili” erano 7-8 milioni e il loro continuo aumento
da molti anni fa prevedere che il loro numero stia continuando ad aumentare.
Se a questi si aggiungono i circa 5 milioni dell’economia sommersa, è
facile intuire che il lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno coinvolge
un numero sempre più basso di persone.
Nonostante il tema del lavoro flessibile
sia estremamente sottovalutato nella letteratura specifica, esso annulla
o limita “la possibilità di formulare previsioni e progetti sia
di lunga sia di breve portata riguardo al futuro” per il lavoratore, sia
dal punto di vista professionale che personale. Inoltre, un lavoro tanto
frammentato non permette di accumulare esperienza professionale, impedisce
la formazione di un’identità e un’integrazione sociale, tende a
scaricare gli oneri più pesanti sulle spalle dei soggetti più
deboli, non permette un adeguamento al rapido processo tecnologico.
Per tentare di arginare i danni
personali e sociali che l’”egoismo” delle imprese e la pretesa di tassi
di redditività fuori misura pretesi dagli investitori tendono a
provocare in ancora maggior misura nei prossimi anni, Luciano Gallino propone
alcune misure che permettano, se non di superare, almeno di rendere sostenibile
la flessibilità. L’impegno delle associazioni di categoria e dei
sindacati, l’istituzione di una certificazione formale delle competenze
acquisite, la predisposizione di una formazione permanente, la possibilità
di scegliere orari adatti alla propria situazione personale, sono alcune
delle soluzioni prospettate.
Il libro di Gallino è uno
studio serio e importante, non soltanto per le informazioni che offre ma
soprattutto perché, tra tutti i libri che decantano i vantaggi del
lavoro flessibile, ha il coraggio di inserire l’opinione di chi, guardando
dall’altra sponda, valuta soprattutto i costi di questa operazione.
gabriella bona
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